Ci sono presenze che non se ne vanno.
Non perché non trovino pace, ma perché continuano ad amarci. Continuano a parlarci, anche quando noi non abbiamo più orecchie sottili per udire. La morte non è una fine, ma un cambio di frequenza. E la comunicazione con i defunti non è un evento soprannaturale: è un’arte dell’ascolto.
L’immaginazione come soglia

Comunicare con i morti significa attraversare la soglia che separa il mondo visibile dal mondo delle immagini. I defunti non vivono “altrove”: vivono nell’Immaginale, quella dimensione intermedia che Henry Corbin chiamava “mundus imaginalis”, dove l’essere si esprime in forma di visione, sogno, simbolo.
Quando sogni una persona amata che non c’è più, non stai “immaginando” nel senso di inventare, stai partecipando a un incontro reale in una forma diversa. Il sogno è il tempio in cui la vita e la morte si toccano.
Il lutto come iniziazione
Nel buddhismo, la morte è vista come un processo di trasformazione della coscienza. Non si muore, si cambia stato. Nella Satipaṭṭhāna Sutta, il Buddha invita a contemplare la dissoluzione del corpo e la caducità dei fenomeni, non per negare la vita, ma per renderla piena.
Quando una persona cara muore, possiamo scegliere: o chiuderci nel dolore, o trasformare quel dolore in via di conoscenza. Il lutto è un rito di passaggio, un’iniziazione che ci insegna ad amare senza possedere.
Il linguaggio dei segni

I defunti parlano un linguaggio simbolico. Non usano le parole, ma le coincidenze, le visioni, i profumi improvvisi, le melodie che si ripetono, i fenomeni naturali che ci toccano in momenti precisi.
Se desideri comunicare con loro, smetti di cercare messaggi diretti: entra in uno stato di attenzione poetica.
Accendi una candela, siediti in silenzio e ripeti interiormente:
“Sono disponibile all’incontro, senza paura.”
Poi lascia che l’immaginazione si apra. A volte arriva un’immagine, altre volte una sensazione, una presenza calma che non giudica. Non cercare di interpretare: limita a ricevere. È in questo ricevere senza voler capire che la comunicazione accade.
Meditazione dei tre tempi
Possiamo praticare una meditazione in tre tempi per dialogare con i defunti:
Siediti, rilassa il corpo e porta alla mente la persona cara. Visualizzala non com’era, ma come luce. Offrile parole di gratitudine: “Ti vedo, ti riconosco, ti ringrazio.”
Respira lentamente. Immagina che il suo respiro e il tuo si fondano in un unico ritmo. Non chiedere nulla, ascolta.
Lascia che l’immagine si dissolva nella luce. Ripeti: “La tua forma cambia, ma la tua essenza rimane nel mio cuore come compassione.”
Questa pratica scioglie l’attaccamento e trasforma il legame in energia di presenza viva.
La relazione che non finisce

Comunicare con i defunti significa riconoscere che la relazione è eterna, ma la forma cambia. Ciò che chiamavamo “loro” ora è parte del nostro campo di coscienza. Quando sorridiamo con amore, li facciamo sorridere. Quando ci apriamo alla vita, li liberiamo.
Non esiste distanza; ogni pensiero benevolo, ogni atto di bellezza, ogni gesto consapevole è un ponte che collega i mondi.
E in quel ponte, invisibile e luminoso, si compie la più grande delle comunicazioni: quella del cuore che riconosce di non essere mai stato solo.
Ed ecco una formula meditativa ispirata alle meditazioni contenute nel mio libro “1 minuto al giorno, 365 meditazioni quotidiane”:
“Non sei mai andato via.
Sei l’immagine che mi abita,
la luce che si fa respiro,
la compassione che mi insegna a restare.”
Sempre nel libro “1 minuto al giorno”, consiglio un mantra per rivolgersi a coloro che sono al di là della grande soglia e costituiscono un esercito invisibile di alleati, animali compresi.
Questo mantra potente, che chiama a raccolta i nostri fedeli protettori, è RATNAKUTA, significa “cumulo di gioielli”. Ripetilo ogni volta che ne senti il bisogno per ricordare che non sei solo.
Articolo di Selene Calloni Williams
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