La morte della madre è uno degli eventi più profondi e trasformativi. Non è solo un lutto, è uno spartiacque invisibile, un punto di rottura nell’anima che segna il “prima” e il “dopo”. È la perdita di chi ci ha dato la vita, di chi ha intrecciato la propria esistenza alla nostra con fili invisibili di amore, aspettative, paure e sogni.
Dal punto di vista psicologico, la morte della madre richiama un dolore primordiale: non perdiamo solo una persona amata, ma un pezzo della nostra identità.
Spesso ci siamo rispecchiati nel suo sguardo; con la sua scomparsa, viene meno quel primo specchio che ci ha raccontato chi siamo. Questo lutto ci costringe, lentamente e dolorosamente, a riscrivere la nostra storia senza il suo sguardo a testimoniarla.
Non tutte le relazioni madre-figlia/o sono state idilliache; molti si trovano a elaborare un lutto ambivalente, fatto di amore e rabbia, di nostalgia e sollievo. Anche in questi casi, la morte della madre apre un varco spirituale: l’occasione per perdonare, per lasciare andare, per accogliere quella madre interiore che, nel tempo, abbiamo imparato a costruire dentro di noi.
Tutte le tradizioni spirituali ci dicono che il legame con la madre diventa, dopo la sua morte, più sottile ma anche più potente. Non è raro che, nei sogni o nei momenti di bisogno profondo, si avverta ancora la sua presenza: un soffio, un pensiero improvviso, una frase che ci rincuora nella mente.
Affrontare questo tipo di perdita significa anche imparare a “nascere di nuovo”. La madre, nella simbologia universale, rappresenta la terra, il nutrimento, la radice. Quando essa viene a mancare, è come se dovessimo imparare a radicarci da soli, a nutrirci da fonti nuove, più interiori e autentiche. In questo senso, la morte della madre può diventare, nel tempo e con il giusto accompagnamento interiore, un’esperienza di profonda rinascita spirituale.
Nel dolore, impariamo che siamo figli della Vita stessa, e che l’amore materno, nella sua forma più pura, non si estingue: cambia forma e diventa parte del nostro respiro quotidiano.
Chi ha perso una madre sa che il lutto non ha una fine netta. È un percorso a spirale: si ritorna, a volte improvvisamente, a sentire il vuoto. Ma ogni ritorno è anche un passo avanti nella costruzione di un ponte invisibile che unisce mondi diversi, quello terreno e quello spirituale, dove l’amore, e non la morte, è la vera legge.
Quando la morte di mia madre è arrivata, la mia anima si è riempita di dolce tristezza, mentre nella mente ha preso forma un dispiacere razionale: “Avrei dovuto capire prima”, “Avrei potuto fare di più”, “Se solo avessi…”.
Ma la verità spirituale e psicologica è che non ci è dato salvare chi amiamo, né togliere la sofferenza a chi percorre il suo cammino finale.
Siamo figli. E il compito dei figli non è salvare: è amare. Con tutti i limiti, le imperfezioni e le mancanze umane. Accettare questo significa attraversare una delle prove più dure del lutto: il perdono di sé.
Perdonarsi per non essere stati onnipotenti, per essere umani, fragili, spaventati. Abbiamo fatto il possibile con le forze e la coscienza che avevamo in quel momento.

Immagine per gentile concessione di Selene Calloni Williams
Nel processo spirituale di guarigione, spesso si arriva a sentire che la madre, liberata dalla sofferenza, non ci chiede perfezione, non ci rimprovera per ciò che non abbiamo fatto. Ci guarda con amore più grande di quanto potessimo immaginare, un amore che comprende anche i nostri errori, i nostri limiti e quelli dei nostri antenati e discendenti.
La morte di mia madre mi ha liberata definitivamente dall’illusione di salvare, e mi ha aiutata a vivere nell’umiltà di amare, accettando la misteriosa libertà della vita e della morte.
Ho potuto abbracciare dentro di me quella madre che, nel profondo, non mi ha mai chiesto di essere eroe.
Mi ha chiesto, solo e sempre, di amarla come potevo. E questo, anche se imperfetto, è stato abbastanza.
Quando mia madre è morta io avevo già fondato la Società di Nonterapia e l’Imaginal Academy, avevo pubblicato dei libri, ma mia madre non sapeva nulla di tutto questo, perché gli ultimi anni della sua vita sono stati accompagnati dalla demenza senile e a stento poteva riconoscermi.
Il paradigma terapeutico oggi è propagandato ad oltranza ed è visto come il solo modo per affrontare mali, disagi, disturbi e problemi, anche il lutto. La via terapeutica, che è fondamentalmente anestetica, trova la propria alternativa nella visione estetica, che è propria dei grandi cammini spirituali e dell’arte, con la sua capacità di nobilitare mali e
peccati. La morte di mia madre mi ha permesso di compiere un grande balzo in avanti lungo il cammino che mostra nei mali, disagi, disturbi, peccati, problemi e persino nella vecchiaia e nella morte gli strumenti per proseguire lungo il sentiero estetico e spirituale che conduce alla libertà. La bellezza è nel darsi, nella fragilità, nell’impermanenza, nella capacità di svanire, nella mancanza, nel vuoto e in ciò che è leggermente oscuro.
Tutto ciò è nei miei libri e in particolare in “Daimon, scopri i tuo spirito guida e guarisci con i miti”, che mostra la via poetica per affrontare la vita e in “Wabi Sabi, la bellezza della vita imperfetta”, che spiega il metodo giapponese di trasmutazione delle nostre fragilità in forze.
Con molto rispetto e cura per il tema, voglio adesso suggerirti una meditazione guidata. Può essere letta lentamente, o registrata e poi ascoltata:
Siediti o sdraiati, chiudi gli occhi.
Porta una mano sul cuore, e lascia che il respiro si faccia più lento.
Inspira profondamente ed espira lasciando andare ogni tensione.
Ad ogni respiro, immagina di entrare sempre più dolcemente dentro te stesso,
nello spazio sacro del tuo cuore.
Ora, evoca dolcemente l’immagine di tua madre. Non il momento della sua sofferenza,
non l’istante della sua morte, ma il suo sorriso, un ricordo in cui i suoi occhi brillavano di vita.
Senti la sua presenza accanto a te. Vicino, molto vicino. Senza dolore, senza paura.
Parla con lei, nel silenzio del cuore. Dille ciò che forse non sei riuscito a dire.
Poi ascolta. Ascolta con il cuore.
Immagina che la tua madre spirituale -la madre che ora conosce la verità più grande,
liberata dal dolore- ti risponda.
Lascia che le sue parole scendano in te come una pioggia leggera che lava via la colpa, la
paura, il dolore.
Ad ogni respiro, senti il peso che si scioglie.
Ad ogni respiro, senti il perdono che nasce.
Ad ogni respiro, riconosci che sei stato sufficiente.
Che sei stato amore.
Che sei ancora amore.
Rimani in questo spazio per qualche minuto.
Infine ringrazia tua madre.
Ringrazia te stesso.
E dolcemente, riapri gli occhi, portando con te la certezza che nulla, nemmeno la morte, può separare chi ha amato davvero.
Eccovi il video della meditazione:
Articolo di Selene Calloni Williams
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