Esistono dolori che non chiedono spiegazioni. Non hanno parole, non vogliono consolazione. Uno di questi è la perdita del partner, del compagno di vita, di colui o colei con cui si è condivisa la casa dell’anima. Quando muore la persona che abbiamo amato profondamente, non se ne va solo un corpo: muore una parte del mondo che ci abitava. E muore anche una parte di noi.
La separazione invisibile
Nella visione della psicologia immaginale, ogni evento della vita è portatore di immagini, archetipi, figure interiori che ci chiedono di essere ascoltate. La morte del partner è l’ingresso in una soglia archetipica: quella del vuoto sacro. Non è solo un trauma, ma una chiamata al sacro. Si entra in un tempo liminale, un’ora crepuscolare dell’anima, dove nulla è più certo ma tutto è carico di possibilità misteriose.
L’altro, che amavamo nella carne, comincia a parlarci in altra forma: nei sogni, nelle coincidenze, nelle lacrime che sgorgano all’improvviso mentre camminiamo per strada. La relazione non si spezza. Cambia luogo.
Morte come iniziazione
Quando un compagno muore, anche noi attraversiamo un piccolo bardo, una morte in vita.
Il lutto è un sentiero iniziatico. Ci si sente smarriti, perché l’identità che avevamo si dissolve: non siamo più “moglie di”, “marito di”; “noi due”. E tuttavia, è proprio in questo annientamento che può nascere una forma superiore d’amore: l’amore libero dal possesso, l’unione oltre la materia, l’identità che ama senza nome.
Il partner non ci viene tolto. Ci viene restituito come figura interiore. E qui inizia il lavoro: non restare nella nostalgia, ma danzare con la sua immagine trasformata. Questo è il compito dell’anima.
Lavorare con l’immagine, non con il ricordo
Ogni notte possiamo incontrare il nostro partner nel sogno, sedere con lui sotto l’albero della vita interiore, ascoltare cosa ha ancora da dirci, e cosa noi abbiamo da offrire a lui.
Il cuore spezzato è la porta del risveglio, perché solo nel vuoto si può accogliere l’infinito.
L’amore che sopravvive alla morte è quello che non cerca più l’altro nel tempo, ma lo sente ovunque nello spazio.
La morte non spezza l’amore. Lo porta oltre.
E tu, che ami ancora, non sei sola/o.
Nel cuore, il partner è diventato la tua guida immaginale.
Non resta che camminare con lui/lei. E lasciare che viva, in te.
Il cerchio del ricordo vivo
Questa è una pratica immaginale e contemplativa da fare quando si è soli, in silenzio.
Serve a trasformare il dolore in un dialogo con l’invisibile.
1) Prepara lo spazio
Accendi una candela. Metti una foto o un oggetto appartenuto al partner davanti a te.
Siediti comoda/o. Chiudi gli occhi.
2) Respirazione silenziosa
Porta l’attenzione al respiro. Lascia che ogni inspiro apra il petto. Lascia che ogni espiro svuoti il ventre.
3) Invocazione dell’immagine
Immagina il volto del tuo partner. Non come ricordo, ma come presenza viva. Lascialo emergere. Non forzare. Osserva come appare: giovane? Stanco? Luminoso?
4) Il cerchio del cuore
Visualizza un cerchio di luce attorno a entrambi. Sei seduta/o di fronte a lui/lei. Guardatevi.
Non dite nulla. Lasciate che sia l’anima a parlare.
5) Il dono
Offrigli un oggetto simbolico: un fiore, una parola, un respiro. Ricevi anche tu un dono simbolico da lui/lei. Cosa ti offre? Può essere luce, una piuma, un abbraccio.
6) Ritorno
Lascia che l’immagine si dissolva lentamente. Ringrazia. Riapri gli occhi solo quando il cuore è tornato calmo. Scrivi, se vuoi, ciò che è emerso.
Articolo di Selene Calloni Williams
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