Psicologia

Lasciateci il sacrosanto diritto alla disconnessione

Di Cristina Rubano - 13 Settembre 2021

Recentemente sono stati varati alcuni provvedimenti legislativi che sia da noi che in altri paesi europei vorrebbero salvaguardare il diritto alla disconnessione dei dipendenti in smart working. La normativa sul telelavoro non è nuova nel nostro Paese (vedasi la legge 81/2017), ma ha visto senz’altro un’ulteriore accelerazione in parallelo con il diffondersi dello smart working a causa della pandemia da Sars Cov-2.

La legge sullo smart working in Italia è il DL n. 30 del 13 marzo 2021 nella quale la definizione di diritto alla disconnessione è intesa come diritto del lavoratore a non essere reperibile e/o a non rispondere a telefonate, messaggi, mail al di fuori dell’orario di lavoro. Il rischio altrimenti, come molti avranno sperimentato, è di vedere le richieste di lavoro “allagarsi” bel oltre le 8 ore lavorative e interrompere e invadere imprevedibilmente ogni possibile momento della vita privata e personale.

Fermo restando che determinate normative dovrebbero essere accompagnate da politiche e culture aziendali coerenti (cosa che spesso non avviene), cosa possiamo fare noi, come singoli, per riprenderci il nostro diritto alla disconnessione?

“La rivoluzione informatica ha fatto guadagnare un sacco di tempo libero agli uomini. Il problema è che gli uomini lo passano con il computer.”

(Anonimo)

Staccare dal lavoro, facile solo in apparenza

donna che lavora da casa

Credit foto
© Pexels

Spesso senza volerlo e senza accorgercene siamo proprio noi ad avere difficoltà a porre un confine, un limite, alle richieste altrui anche se queste arrivano fuori dall’orario di lavoro. D’altra parte siamo stati abituati per molti mesi alla possibilità di lavorare da remoto in una condizione che almeno all’inizio era “emergenziale”. Questo includeva possibili difficoltà logistiche o organizzative, la necessità di adottare modelli e orari flessibili, di rendersi disponibili oltre l’ordinario nel tentativo di ripristinare i necessari ritmi lavorativi.

Quando qualcosa viene fatto improvvisamente in un contesto emergenziale si rischia però che questa cornice diventi una premessa sulla quale basare tutte le pratiche e consuetudini anche per i tempi a venire. In altre parole: passata la fase “critica” (il virus non sarà andato via, ma per le aziende il lavoro da remoto non è certo più una novità), l’emergenzialità, che tutto giustifica e tutto chiede, rischia di diventare non più un dato di realtà, ma un presupposto della cultura aziendale.

Si finisce per lavorare in emergenza anche se non lo si dovrebbe più essere: le richieste continuano ad arrivare pressanti e invasive e si trasformano in silenti pretese mentre pian piano si legittima l’erosione dello spazio privato e personale quasi che una modalità di lavoro stacanovista questo fosse il “prezzo” da pagare per la “comodità” di lavorare dalla propria abitazione.

Ma benché tutti coloro che si ritrovano in simili ingranaggi non avranno difficoltà a riconoscersi in questa descrizione, non è scontato che si riveli facile invertire la rotta.

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Se non sono connesso non esisto…?

È difficile rivendicare, nei tempi e modi in qui ciò è possibile, il proprio diritto alla disconnessione perché questo sistema di cose affonda nell’uso stesso che facciamo degli smartphone e degli altri device. Qualcuno ha definito la nostra realtà come una realtà ormai costantemente ibrida dove non è più così facile separare la dimensione online da quella offline poiché ci interfacciamo con chat e social network costantemente durante le nostre attività.

Per questi motivi la dimensione in cui oggi viviamo e operiamo è stata ribattezzata onlife (Floridi 2016) giacché in un mondo iperconnesso sfumano le differenze fra l’una e l’altra dimensione. Siamo quindi talmente abituati a questo da avere difficoltà a svolgere una qualunque attività mettendo da parte i device tecnologici che consideriamo spesso ausili indispensabili per il suo svolgimento.

Interessanti studi nel campo della psicologia e delle neuroscienze hanno d’altro canto evidenziato come il nostro cervello si sia evoluto in questi anni per funzionare sempre più prontamente in modalità “multitasking”. Il rovescio della medaglia è una soglia di attenzione più bassa, capacità di concentrazione più limitate.

Questo non deve stupirci oltre tanto: se siamo abituati a studiare o lavorare o andare a cena con un amico aspettandoci di poter ricevere una notifica del nostro smartphone da un momento all’altro, questo impegnerà in “background” una certa quota delle nostre risorse cognitive. Più o meno come un uomo primitivo abituato a muoversi rimanendo costantemente in “allerta” per il possibile sopraggiungere di una minaccia; così noi, uomini e donne del terzo millennio, siamo implicitamente in attesa di qualcosa che da un momento all’altro ci costringerà a interrompere ciò che stiamo facendo per prestare attenzione a una richiesta, notifica, alert di qualche tipo.

Se questo poi è una richiesta o un aggiornamento di lavoro le cose possono diventare davvero difficili. Non basta spengere o silenziare il tanto amato e odiato apparecchio: solo averlo a portata di vista instaura nel nostro cervello un meccanismo di attesa: ci distrae anche solo vederlo perché in fondo sappiamo che lì dentro, mentre noi cerchiamo di concentrarci a fare altro, potrebbero star accedendo una marea di cose.

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Giochi di strategia per mettere di confini digitali

Come fare dunque a porre un limite sano e lasciare le richieste di lavoro confinate solo nelle ore a questo dedicate?

  • Provate la tecnica del pomodoro (ma per far questo dotatevi proprio di un contaminuti da cucina e mettete via lo smartphone!): potrebbe essere il giusto compromesso per programmare le proprie attività alternando concentrazione e pause “digitali” durante un’attività.
  • Iniziate con qualcosa di semplice. Forse vi sarà impensabile posticipare anche solo di qualche ora la risposta a una mail del vostro capo o a un messaggio su un progetto importante. Ma può darsi che il vostro tempo libero sia abitualmente bersagliato anche di richieste o aggiornamenti di minore importanza a cui date retta un po’ per abitudine un po’ per levarvi il pensiero… Scegliete quello di minore importanza per voi e allenatevi a…. posticiparlo! Se volete potete annotarvi su un post it – che metterete prontamente sul vostro pc – di rispondere a quel messaggio non appena ricomincerete il giorno seguente a lavorare. Potrebbe essere un’ottima strategia di pulizia mentale mentre vi rassicurate che non vi perderete nessun pezzo importante.
  • Programmate il vostro tempo libero (almeno un po’). Il lockdown è finito da un pezzo, ma il rischio a volte è che il tempo libero, un po’ per stanchezza un po’ per pigrizia, sia lasciato al caso… Se trascorrete le ore fuori dal lavoro transitando dal pc al divano o dedicandovi solo ad altri doveri domestici vi sentirete più facilmente “prede” di intrusioni inopportune: dopotutto non state facendo nulla di speciale! Provate una o due volte alla settimana a programmare in anticipo qualcosa di piacevole da fare non appena finito il lavoro: vi aiuterà a straccare dedicandovi a qualcosa di gratificante che avete progettato di fare da giorni; questo darà più “valore” a quel tempo ai vostri occhi e forse riuscirete con più tranquillità a rimandare le richieste lavorative ai momenti più opportuni.

“Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero.”

(Aristotele)

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Cristina Rubano





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