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Rassegna Etica

La vita di Siddharta Gautama, il Buddha, fra verità e leggenda

Di Laura De Rosa - 20 Novembre 2015

Si narra che nel V secolo a.C., in Nepal, presso la ricca e nobile famiglia Śakya, la bellissima Maya, moglie del Re Suddodhana, si fosse improvvisamente sentita mancare, colpita da un’insolita sonnolenza. Maya, il cui nome significa “illusione”, si stese a letto e si addormentò. In sogno le apparvero i quattro Re dei punti cardinali, intenti a trasportarla oltre le catene dell’Himalaya. Una volta giunti in quel luogo di pace adagiarono il suo letto accanto a un albero. Giunsero quindi le mogli dei quattro Re, che si presero cura di lei ripulendola e purificandola. Dopodiché l’adagiarono nuovamente sul letto, questa volta orientandolo verso est.

In cielo brillava una stella che, tutt’a un tratto, discese per avvicinarsi a Maya, tramutandosi, una volta a terra, in un elefante bianco. L’elefante raccolse con la proboscide un fiore di loto e lo ripose accanto a Maya. Presto il fiore scomparve per penetrare nel suo utero. Fu così che Siddharta Gautama, il Buddha, venne concepito.

Quando Maya si svegliò, corse dal Re Suddodhana per svelargli lo strano sogno. E lui, puntualmente, si rivolse ai Bramini affinché ne dessero un’interpretazione. Gli venne rivelato l’arrivo di un essere speciale nella sua famiglia, un Buddha, ovvero un illuminato. Ma il Re non voleva un figlio asceta bensì un condottiero forte e coraggioso.

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La nascita di Siddharta

Siddharta nacque all’ombra di un albero che si piegò verso Maya per darle appoggio durante il parto. Tutto andò bene ma a soli 7 giorni di distanza dalla miracolosa nascita, Maya si spense. Il piccolo crebbe insieme al padre e venne educato come un vero Re. Crebbe ancora e prese in sposa Yosodhara: da lei ebbe un figlio, “Rahula”, che tradotto letteralmente significa “impedimento”.

Siddharta aveva sempre vissuto nell’opulenza all’interno delle mura del Palazzo reale, il padre lo aveva deliberatamente protetto dal mondo circostante onde evitare che le profezie sul suo conto potessero avverarsi. Ma il Principe aveva un destino ben diverso e all’età di 29 anni, mosso da una morbosa curiosità, riuscì a varcare le porte del Palazzo. La prima volta incontrò un anziano, la seconda volta un malato, la terza vide un cadavere e infine si trovò innanzi a un asceta. I tentativi di suo padre di nascondergli la verità fallirono e Siddharta, profondamente scosso dall’esperienza della vita reale, decise di abbandonare per sempre il Palazzo e di dedicare la sua esistenza alla scoperta delle cause di tanto dolore e tanta sofferenza. Quattro furono le sue uscite dal Palazzo perché quattro sono le verità sacre da risvegliare.

L’inizio del cammino spirituale

Ebbe così inizio il suo cammino spirituale alla ricerca della liberazione. Abbandonò i suoi abiti scambiandoli con quelli di un uomo incontrato lungo il cammino, tagliò i capelli e si inoltrò nel bosco. Inizialmente seguì le orme di due eremiti Bramini molto potenti. Fu con loro che imparò a praticare lo Yoga e una forma di meditazione tesa a far sperimentare il cosiddetto “nulla” interiore. Ma presto si accorse che quelle pratiche non lo soddisfavano e decise di dedicarsi all’ascetismo più estremo insieme ad alcuni Bramini. Si ritirò nei boschi sottoponendo il corpo a mortificazioni di vario genere al fine di liberare lo spirito. Ma queste vere e proprie torture gli parvero presto altrettanto inutili.

Capì che il solo modo per conquistare la tanto ambita libertà era l’equilibrio. Comprese che gli estremi, nel bene e nel male, nello sfarzo e nella povertà, appartengono alla logica del dualismo e in quanto tali non servono a nulla. Solo la via di mezzo, la conciliazione degli opposti, conduce alla liberazione. Fu così che iniziò nuovamente a nutrirsi recuperando salute e chili persi. Ovviamente gli altri asceti non compresero la motivazione del suo cambiamento, additandolo come rinunciatario.

L’illuminazione

Un giorno, sempre alle prese con la sua ricerca interiore, Siddharta si sedette sotto a un albero di fico assumendo la posizione del loto, ostinato a trovare risposta alle sue domande. In quel momento Mara, ovvero l’ego, fece la sua comparsa nel tentativo di dissuaderlo, suggerendogli di lasciar perdere la sua ricerca visto che la strada della liberazione era troppo dura da percorrere. Siddharta non rispose al richiamo dell’ego e all’alba, finalmente, raggiunse l’illuminazione, trasformandosi in un Buddha. Attraversò i quattro stradi di dhyana, la meditazione profonda, e quando riuscì a destreggiarli tutti, volse l’attenzione alla ricerca dell’origine della sofferenza. Visualizzò così le sue vite precedenti, i sei regni attraverso cui l’anima deve passare per raggiungere la liberazione, scoprì la legge del Karma e del Dharma, infine giunse alle 12 cause dell’eterno ritorno.

Laura De Rosa

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