Spiritualità

La vacuità, il “sentirsi vuoti”: perché è positiva secondo il Buddhismo

Di Redazione - 28 Novembre 2024

La vacuità è ciò che ci permette di aprire gli occhi per vedere direttamente che cos’è l’essere. […] Dobbiamo assumerci la responsabilità dei risultati di ciò che abbiamo fatto, ma l’obiettivo finale è quello di non farci ossessionare dal risultato, che sia buono, cattivo o neutro. È questo che chiamiamo vacuità. Questo è il significato principale della vacuità.”

Ritorno al silenzio di Dainin Katagiri

Una mattina ti svegli con una sensazione di vuoto che non sai spiegare e più nulla ti sembra degno di importanza: è difficile conviverci perché, da occidentale, non sei abituato a fare spazio, ti è più congeniale riempire. Temi di essere diventato nichilista, cinico, insensibile, mascheri la sensazione concentrandoti sulle incombenze quotidiane. Eppure rimane lì, dentro di te, a tratti si manifesta, la scacci via, ritorna.

Passano i giorni e ti accorgi che non è momentanea. La vacuità è entrata nella tua vita, fedele compagna. Perché? La vita scorre e ciò che prima faticava a decollare, come per magia inizia a dare frutti. L’assenza di attaccamento ai risultati, la mancanza di aspettative favorita da quel senso di vuoto, anziché bloccare il tuo progresso gli danno un’accelerata. Che sia merito della vacuità?

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Cosa si intende per vacuità nel buddhismo

La vacuità è normalmente associata al non-senso, al vuoto, all’inutilità, al nichilismo. Il dizionario la descrive come “caratteristica di ciò che è vuoto”, “mancanza di contenuti logici, di valori morali”. Sentirsi vacui, secondo la concezione occidentale, è spiacevole perché il vuoto è destabilizzante. Eppure la vacuità è elemento centrale della dottrina Buddhista che in essa riconosce una fonte di liberazione anziché una forma di nichilismo. Liberazione progressiva dall’egocentrismo. La vacuità indicata dal Buddha è la famosa via di mezzo, che riconosce un’esistenza intrinseca a tutti i fenomeni.

La cosa importante è non farci prendere dall’ossessione o dalla fissazione per i risultati che vediamo, sentiamo e sperimentiamo. Tutti i risultati, buoni, cattivi o neutri, vanno accettati fino in fondo. Non dobbiamo fare altro che seminare buoni semi giorno dopo giorno, senza lasciarne traccia, senza creare alcun attaccamento

Dainin Katagiri

La vacuità, grazie al vuoto, libera spazio per la manifestazione delle possibilità: è un “vuoto riempibile” grazie al quale tutto è possibile. Non si rimane imprigionati nei pregiudizi, nelle aspettative, nelle credenze: c’è spazio per tutto!

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Perché la vacuità è un concetto centrale nella pratica buddhista

testa del Buddha

La vacuità, nel Buddhismo, aiuta a comprendere che, essendo tutti i fenomeni interdipendenti, l’Io non può essere indipendente da tutto, come appare in una prospettiva egocentrica, ma è prodotto di tante altre cose, esiste in una rete di relazioni in continuo cambiamento. L’egocentrismo risulta pertanto illusorio per quanto appaia solido, inducendoci a difenderlo strenuamente poiché inconsapevoli dell’inesistenza di un sé intrinseco.

In “Cos’è la vacuità” di Bernie Glassman si legge,

nella prima parte del nostro studio comprendiamo come tutti i fenomeni non sono che vacuità, non sono che l’Unico Corpo. Dio, fiori, alberi, letame, insetti, vermi e farfalle sono l’Unico Corpo. Avendo visto tutto come l’Unico Corpo, lo consideriamo poi come l’insieme delle differenze, ed è questa la seconda parte dello studio. Nella terza parte, comprendiamo la relazione: vacuità e differenze si equivalgono. Quando vediamo che la forma è vuota e la diversità è unità, quando comprendiamo veramente cosa significhi, conseguiamo prajna. Ma ricordate che, se ne abbia coscienza o no, siamo essenzialmente prajna. Siamo tutte le cose, ma dobbiamo realizzarlo, dobbiamo farne esperienza.[…] Quando capiamo chiaramente che la vacuità è forma, che l’unità è tutte le forme, realizziamo la compassione. Ogni fenomeno nella vita è unità, ogni fenomeno nella vita è me. La compassione implica che non siamo più attaccati al mondo del Nirvana. […]” .

Nel Buddhismo la vacuità apre la porta del silenzio interiore, della meditazione, della preghiera, della concentrazione autentica.

Come la vacuità viene esplorata nella meditazione

Per entrare in uno stato meditativo profondo e rigenerante è necessario ricercare la vacuità: il vuoto che tanto cerchiamo di allontanare è in realtà il nostro più grande maestro di pienezza.

Durante le meditazioni si cerca di rimanere nel vuoto, di accoglierlo, di toccarlo. Si prova ad allacciare con esso un dialogo profondo, fatto non di parole ma di intuizioni, idee, ricordi. Solo sperimentando il vuoto è possibile creare vera pienezza che non consiste nel voler a tutti i costi e in fretta riempire qualcosa che non riusciamo a vivere, ma dare forma consapevole e creativa a qualcosa che è potuto nascere solo grazie al nostro contatto con il vuoto: è un’unione d’amore, non di paura o di fuga.

“Lo spazio vuoto è quello che permette alle persone e agli oggetti di entrare in relazione. Lo spazio vuoto separa e collega. Non siamo abituati a percepirlo, a vederlo, a riceverlo. Man mano che meditando lasciamo che i pensieri sorgano, transitino e passino, come nuvole in un cielo ampio, entriamo in confidenza con lo spazio aperto, con la vastità dello sfondo, e man mano questo spazio da semplice sfondo diventa sostanza di ogni cosa, non è più che il vuoto sta dietro ogni cosa, è che ogni cosa è vuoto. Ma ci vuole intimità con questo vuoto per sapere che niente va perduto, che il vuoto è creatore, informa, vibra, trasmette, accoglie, fa sentire a casa.”

(Cit. da “il silenzio è cosa viva” – Chandra Livia Candiani)

La vacuità e il “sentirsi vuoti”: differenze e connessioni

Quando ci sentiamo vuoti cerchiamo di non correre nell’immediato ad agire per riempire questo vuoto. Spesso ci buttiamo sul cibo, sull’azione, sui passatempi più inutili e malsani. Proviamo a rimanere in questo vuoto, a parlarci, a dipingerlo, a trasmutarlo in un’esperienza costruttiva.

Siamo qui per fare esperienza, soprattutto del vuoto.

Cerchiamo allora di destarci dai nostri lamenti, dalle nostre scuse, da tutto ciò che ci distrae dalla nostra missione di vita: trovare un senso a tutto ciò che ci accade. Un senso non da spiegare, ma da vivere!

Cerchiamo di collegare il senso di vuoto che proviamo come la vacuità: fondiamole insieme queste due esperienze dell’anima, facciamole divenire un tutt’uno, celebriamole!

Benefici della comprensione della vacuità nella vita quotidiana

statua del buddha

Ricercare il vuoto nelle nostre giornate vuol dire fermarci, essere presenti, non lasciarci manovrare dalla mente e dai suoi pensieri assillanti, significa non dare attenzione ai giudizi, ai risultati, non fossilizzarci sul passato e nemmeno lanciarci continuamente nel futuro.

Vacuità è presenza, armonia, ascolto interiore, silenzio: è la strada per una vita piena e vera!

Chiesi alla foglia se aveva paura: era venuto l’autunno, molte altre foglie erano già cadute. Mi rispose di no. “Durante la primavera e l’estate ho avuto una vita piena. Ho lavorato duro per nutrire l’albero, e ora molto di me e nell’albero. Ti prego, non pensare che io sia solo questa forma, perché la forma di foglia è solo una piccola parte di me. Tutto l’albero è me. So che sono ormai nell’albero, e anche quando sarò caduta per terra continuerò a nutrirlo. Così non ho nessuna paura. Quando mi staccherò del ramo, cadendo farò un fluttuante santino all’albero, e gli dirò: “arrivederci a presto“.

(Essere Pace, Thich Nhat Hanh – Ubaldini Editore – Pag 28)





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