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L'idea della morte nelle religioni orientali

Di Giordana - 12 Gennaio 2014


L’atteggiamento che un popolo, inteso come comunità sociale, a prescindere dalle scelte e dai percorsi individuali, ma nel suo insieme costituente una società, ha verso la morte ed il lutto è molto influenzato dalla religione o dalle religioni ufficiali che hanno contribuito, positivamente o negativamente, al formarsi della comunità stessa ed alla crescita del paese.
Le religioni orientali che in questi ultimi dieci anni sono entrate più seriamente a far parte anche del nostro contesto nazionale (l’aspetto positivo della globalizzazione a parer mio è la facilità con cui si possono incontrare idee e filosofie ed abitudini a volte più consone al nostro essere di quanto non lo siano quelle in cui siamo nati e cresciuti), hanno un’idea della morte molto diversa da quella presente solitamente in occidente, in parte perché legata alla cremazione che ultimamente si sta diffondendo anche nel nostro paese, che genera un tipo di attaccamento molto diverso verso la persona scomparsa, non c’è un luogo dove poi andare ” per ricordare” ma piuttosto un non luogo interiore, dove ricordare e mantener vivo l’affetto per qualcuno senza però che questo sia legato alla fisicità rituale dell'”andare al cimitero”.

In secondo luogo perché sia nel buddismo (non mi addentrerò in questo caso all’interno della polemica tra chi sostiene che il buddismo non sia una religione a tutti gli effetti, ma una vera e propria filosofia, quindi si intenda il termine religione nel senso più ampio possibile) che nell’induismo, che sono le due religioni maggiormente praticate in oriente e sicuramente le più conosciute e diffuse anche in occidente ed assolutamente anche in Italia, si ritiene che l’anima si reincarni dopo la morte in un altro corpo e continui così a ripetere il ciclo di nascita e di morte che la porterà infine al compimento del suo karma e al raggiungimento di uno stato superiore raggiunto il quale non avrà più bisogno di reincarnarsi ulteriormente.
E’ ovvio ed evidente come l’idea di migrare in un altro corpo dopo la morte, di incontrare nuovamente persone a cui eravamo legati durante le vite passate possa cambiare totalmente l’approccio alla morte, al lutto ed al dolore.

Sia il buddismo che l’induismo tendono ad esorcizzare e sconfiggere la paura della morte che in effetti, è vissuta con più tranquillità rispetto all’atteggiamento occidentale, non mi riferisco ovviamente al grado di dolore, argomento intimo e delicato che riguarda profondamente ogni individuo, qualunque siano il suo credo e la sua nazionalità, nel momento in cui entra in contatto con un lutto, ma all’atteggiamento, per così dire, sociale. Il dolore c’è, ma non c’è la memoria continua della persona scomparsa, si ritiene che sia necessario lasciarla andare (la pratica della cremazione aiuta molto in questo) che sia necessario lasciare che l’anima si avvi verso il suo percorso senza i lacci con cui chi rimane vorrebbe aggrapparla qui, l’anima è libera è l’espressione stessa della divinità che è in noi e deve compiere il suo cammino, il suo destino, il suo karma, incarnarsi ancora ed imparare altre lezioni.
C’è comunque una ritualità espressa in offerte (per gli hindu è usanza fare offerte di foglie fiori ed incenso da versare nel fiume sacro, il Gange) e l’abitudine di offrire opere di beneficenza (solitamente si dona cibo ai poveri) in nome della persona che è venuta a mancare, ma sono abitudini e rituali che variano da villaggio a villaggio, da famiglia a famiglia.
In conclusione potrei dire che l’atteggiamento è più sereno e forse questo è uno dei motivi per cui proprio queste due religioni si stanno diffondendo anche da noi, in ogni caso, la vera spiritualità credo non abbia confini, nè religiosi nè sociali, in questo tempo o in un altro, in questa vita o in un altra.





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