Significati Simbolici

Il meraviglioso significato del termine “Baraka”

Di Sandra Saporito - 23 Maggio 2022

Baraka è una parola antica dal significato condiviso da molte nazioni e culture diverse, questo potrebbe bastare a suscitare la nostra curiosità se non fosse per la traduzione stessa, che riveste questa parola di bellezza e stupore. Questo termine, tornato alla ribalta negli anni 90 grazie ad un documentario sull’umanità e poi di nuovo dimenticato, meriterebbe di essere riscoperto, ora più che mai.

Baraka: origini e significati nel mondo

In swahili, Baraka significa “benedizione”, in gergo francese viene usato per indicare “buona fortuna”, nelle tribù animiste dell’Africa occidentale questo termine indica il potere, la forza spirituale che pervade una persona in connessione con l’Essenza del mondo e la rende in grado di compiere guarigioni e miracoli.

Nella lingua araba, Baraka (بركة‎ ) esprime “grazia divina”, ” benedizione” e rappresenta il respiro, l’essenza della vita, da cui si dispiega il processo evolutivo. Nel sufismo, la corrente mistica dell’Islam, Baraka rappresenta una forza, un potere, o meglio un flusso di energia divina capace di confluire nell’essere umano che ha raggiunto un alto livello di consapevolezza e che può essere percepito dai più anche nei luoghi sacri, nell’arte sacra e nelle persone che rivelano e manifestano la Divinità sulla terra.

Secondo lo studioso Fergus Sharman, il termine Baraka nasce dal ceppo linguistico delle lingue afro-asiatiche e potrebbe condurci all’Antico Egitto: “Bar(a)ka” significava nella lingua ormai estinta dei faraoni “dono divino”, “benedizione”. La radice semitica brk ci porta anche al termine Beraka (בְּרָכָה), un vocabolo ebraico con l’accezione di “benedizione”, che è possibile ricevere da Dio oppure offrire ad un’altra persona attraverso le preghiere in modo da far convergere verso di essa la grazia divina.

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L’essenza dell’umanità al di là della parola

Se ci fosse quindi una parola benevola che ognuno di noi potrebbe rivolgere al prossimo o condividere con esso con una grande probabilità di essere compreso anche se proviene dall’altro lato del mondo, sarebbe Baraka.

Sembra essere il motivo per il quale Ron Fricke decise di nominare in questo modo il documentario che diresse nel 1992, un classico del genere che ognuno di noi dovrebbe vedere almeno una volta nella vita, e che ripercorse 152 località in 24 paesi diversi distribuiti tra Africa, America, Asia, Europa, e Oceania.

La particolarità di questa produzione cinematografica non-narrativa, caratterizzata, da una fotografia mozzafiato, è proprio quella di dipingere davanti ai nostro occhi, fotogramma dopo fotogramma, il ritratto del nostro mondo, anzi, “la relazione dell’umanità con l’eterno” come afferma il regista stesso parlando del tema che connette i suoi diversi progetti, tra cui anche Samsara (un’altra parola di derivazione antica e dal profondo significato), il sequel di Baraka presentato in anteprima al Toronto International Film Festival nel settembre 2011 e acclamato dalla critica.

L’assenza totale di dialoghi nel documentario consente una visione senza barriere linguistiche, incoraggia le interpretazioni interiori personali, permette di cogliere un significato quasi universale attraverso le immagini che colgono l’essenza della vita che scorre, dalle gocce d’acqua che si trasformano nel furore del mare alle lacrime che potremmo versare, di meraviglia e tristezza, nell’osservare la storia dell’uomo e come esso si relaziona al mondo intorno a lui.

La trama del documentario non si limita allo schermo ma ci include, ci invita a fare parte della storia rappresentata attraverso un’esperienza visionaria che porta a riconoscere le sfumature del dono dell’esistenza.

La vita è un linguaggio universale

Mentre le immagini del documentario defilano davanti ai nostri occhi, comprendiamo quanto il mondo ci riflette e quanto cerchiamo di estraniarcene, quanto nel bene e nel male plasmiamo la società a secondo delle nostre scelte e quanto le nostre azioni possano trasmutarsi in simboli, nell’alfabeto di un linguaggio universale dimenticato che possiamo tuttavia recuperare se riusciamo ad aprirci al mondo, alla vita che brulica tutt’intorno a noi, alle relazioni che tessiamo con gli altri nei modi più disparati: attraverso l’arte, l’artigianato, il commercio, la spiritualità, la fratellanza.

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Certo, queste relazioni sono fragili e non mancano di certo in questa trama complessa le verità scomode che possono causare sussulti all’anima. Ma forse è meglio così. Avere il coraggio di porsi domande e rispondervi con autenticità è parte del processo di evoluzione che l’umanità è chiamata a seguire se non vuole trasformare la benedizione della vita in maledizione.

La visione che Ron Fricke ci offre attraverso il suo spettacolare lungometraggio è forse la migliore traduzione possibile di “Baraka”, in quanto le parole hanno un limite che la coscienza umana è in grado di oltrepassare. È proprio oltre questo confine che si trova il dono, la benedizione, e spetta a noi comprenderlo e accoglierlo. E trasmetterlo, ognuno a modo suo.

Fonti:

Baraka, film documentario diretto da Ron Fricke, USA, 1992.
• Goerling Fritz,  Baraka as  (as divine blessing) a bridge in Manding languages. Especially in Jula of Côte d’Ivoire. Journal of Translation, Volume 6, Number 1 (2010).
• Sharman Fergus, Linguistic ties between ancient Egyptian and Bantu: Uncovering symbiotic affinities and relationships in vocabulary, Universal-Publishers, 2013.

Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e operatrice in Discipline Bio-Naturali

www.risorsedellanima.it





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