Libri e Corsi

Tempi di crisi, tempi tecnologici, tempi da Oltrepassare

Di Redazione - 7 Aprile 2022

Di Carlo Mazzucchelli

Viviamo dentro una crisi sistemica che si manifesta attraverso crisi successive. I tempi sono tecnologici, con le loro cornici, narrazioni e piattaforme virtuali hanno cambiato la nostra percezione e comprensione della realtà, modificato il linguaggio e colonizzato le relazioni sociali. Per comprendere quello che sta succedendo è diventato urgente oltre che necessario adottare nuove cornici e approcci ermeneutici-interpretativi, a partire dal linguaggio che utilizziamo, sempre più povero di significati e fatto di parole inadatte a raccontare la complessità delle tante realtà che abitiamo.

Tutto questo è stato raccontato da Carlo Mazzucchelli e Nausica Manzi in un saggio da poco nei punti vendita online dal titolo: OLTREPASSARE – Intrecci di parole tra etica e tecnologia (disponibile anche in versione cartacea), pubblicato nella collana Technovisions di Delos Digital. Un libro scritto a quattro mani ma che vede anche la collaborazione di numerosi esperti che hanno contribuito con loro testi sui temi oggetto di riflessione nel libro.

I temi fondamentali del libro

Per gentile concessione di Carlo Mazzucchelli

La riflessione parte dal senso diffuso di inadeguatezza ai tempi presenti che suggerisce la ricerca di nuove pratiche filosofiche ed esistenziali. Quella proposta nel libro, denominata Oltrepassare, suggerisce di andare oltre gli (ab)usi, i significati e le interpretazioni correnti delle parole, assegnando loro nuovi significati, per cercare di rigenerarle, ridando loro la ricchezza polisemica di cui sempre sono portatrici ed espressione.

Grazie alle nuove tecnologie e alle piattaforme social, moltitudini di persone stanno imparando a conoscere il potere trasformativo delle parole e la loro capacità nel dare forma alla realtà, in molti casi anche alla verità (da non confondere con la Verità). Molte si stanno anche interrogando sulle abitudini linguistiche prevalenti e sui cambiamenti in corso. Lavorare sul linguaggio significa riflettere sulle forme attuali della comunicazione, delle conversazioni, delle narrazioni e del dialogo disincarnati, e non solo, tipici delle piattaforme tecnologiche che quasi tutti frequentiamo.

Altro tema di fondo del libro è la sparizione dell’Altro, inteso come essere umano dotato di corpo, volto (diverso da faccia) e sguardo. L’assenza del corpo ha fatto da spunto per una riflessione filosofica sull’importanza dell’Altro, inteso come unità mente(psiche)-corpo, volto e sguardo, come un “tu” e un “noi” di una molteplicità e multidimensionalità che ci costituisce interiormente ed esteriormente, dimensioni con le quali il nostro “io” è destinato sempre a confrontarsi e a scontrarsi. Nella ricerca di ognuno verso l’individuazione della propria soggettività individuale e singolarità, attraverso l’esperienza della relazione con l’Altro, del “Noi”, inteso anche in senso psichico.

La pratica dell’Oltrepassare suggerita sta tutta dentro una visione etica relazionale del mondo. Una visione che suggerisce il recupero delle parole necessarie per ridare nuovi orizzonti di senso a una umanità in cerca di sé stessa, per fornire risposte alla solitudine esistenziale che caratterizza la vita di molte persone nell’era della connessione, della globalizzazione, e dei social ma anche della crisi, della disconnessione, del cinismo e del nichilismo diffusi. Parole come solidarietà, accoglienza, generosità, gentilezza, condivisione, sollecitudine, compassione e molte altre. Lo scenario che fa da sfondo è tecnologico, digitale, automatizzato ed è stato usato nel testo come ambiente scenografico, da palcoscenico, per una riflessione critica e filosofica sulla tecnologia e i suoi effetti.

Il libro è nato da un’urgenza, germogliata dalla percezione condivisa di vivere tempi strani, pieni di rughe e di crepe, di rottura (l’orlo del caos delle teorie della complessità) paradigmatica, di cambiamento e di incertezza, per alcuni dentro un’epoca nuova in emergenza, forse rivoluzionaria come lo è stata quella del 1789. Tempi definiti, da filosofi come Slavoj Žižek e altri, alla fine dei tempi perché caratterizzati dall’emergere di fenomeni di complessità e criticità che obbligano a ripensare modelli, punti di vista e sguardi sulla realtà, ad esempio abbandonando la visione antropocentrica del mondo, ridefinendo la contrapposizione natura e cultura, riflettendo sul ruolo assunto dalla tecnologia nell’evoluzione dell’umano e prestando maggiore attenzione alle disuguaglianze sociali ed economiche, politiche e digitali . Sono tempi la cui straordinarietà e criticità cerchiamo di rimuovere, che affrontiamo con rabbia e che per alcuni sfociano in depressione, spesso manifestazione di un’accettazione di fondo della realtà, percepita cinicamente e con nichilistica rassegnazione come immodificabile.

L’urgenza nasce anche dal bisogno di ripensare la centralità dell’essere umano incarnato, oggi messa in discussione dalla volontà di potenza della tecnologia, attraverso una lettura dell’umano digitale disincarnato e delle sue pratiche relazionali desomatizzate. Necessaria è anche una riflessione etica sui mutati orizzonti dei valori e sulle parole che li descrivono, su quanto siamo disponibili a dare autonomia decisionale alle macchine, sull’evoluzione delle intelligenze artificiali, su come regolare i rapporti tra essere umani e robot, su come continuare a rimanere umani.

Siamo ormai tutti mobilitati e imprigionati dentro schermi-specchio che i nostri volti e sguardi non riescono più a frantumare. Viviamo tempi di continue trasformazioni, anche esperienziali, tempi dominati da tecnologie digitali potenti, accelerate e pervasive che stanno prendendo possesso del mondo attraverso codici software matrix, dispositivi, reti di oggetti, assistenti personali, intelligenze artificiali, piattaforme e protesi digitali, Big Data (non solo contenitori di dati ma strumenti analitici e conoscitivi potenti e pervasivi), modificando la nostra sensibilità e percezione umana della realtà (tempo, spazio e non solo), il nostro modo di relazionarci come individui incarnati sempre più deprivati di corpi, occhi (“ha due bellissimi occhi, come avete veduto, due occhi che dicono tutto quello che vogliono”), volti, mani e sguardi.

Modificati sono anche il nostro sé e il nostro inconscio. Il riferimento è all’inconscio tecnologico di cui parla Umberto Galimberti ma anche a ciò che ha scritto Eleonora de Conciliiis nel suo bel libro del 2016 Psychonet. Secondo la filosofa quando navighiamo in rete noi siamo ormai diventati passivi, accettiamo senza esitazione tutti i contenuti con i quali veniamo in contatto. La passività si traduce in un’accettazione automatica delle informazioni senza alcuna sottoscrizione cosciente e consapevole.

Le modificazioni in corso mirano a digitalizzare la vita trasformandola, in modo riduzionistico, in semplici ma efficienti algoritmi (dall’arabo al-Khuwārizmī), in tanti elementi indifferenziati, tutti sostituibili come singoli pezzi di un puzzle a innesto i cui incastri sono già stati da altri predefiniti. Stanno determinando mutazioni profonde con effetti imprevedibili sulla vita individuale delle persone, molto diversa da un puzzle, nella società e su tutti noi come esseri umani.

Su questi effetti, sulla realtà mediata e ibridata tecnologicamente è diventato urgente interrogarsi, antropologicamente, umanisticamente, criticamente ed eticamente, fuori dai solchi già tracciati, ponendosi continue domande, provando a suggerire alcune risposte, per andare Oltre, Altrove, verso scenari futuri sempre umani, sempre limitati e incompleti ma umani.

L’interrogarsi non deve essere dettato dalla tecnofobia, neppure dal vittimismo che molti esprimono nei confronti della tecnica. Deve essere guidato dalle responsabilità che ci competono come esseri umani, dai nostri doveri verso l’umanità, verso noi stessi e gli altri, a partire dalla consapevolezza che non siamo degli automi, almeno non ancora.





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