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Coscienza dopo la morte: cosa accade quando moriamo?

Di Giordana - 16 Ottobre 2014

Esiste una coscienza dopo la morte? Dove andremo? E soprattutto se andremo da qualche parte, la nostra coscienza, il nostro ego, la nostra capacità di percepire noi stessi e il mondo esterno rimarranno inalterate o sarà tutto perso nell’oblio?

Questa domanda affastella la mente dell’uomo da sempre, il grande mistero della vita a cui tutte le religioni e le filosofie hanno cercato di trovare una risposta o una scappatoia, è ancora al centro di molte ricerche.

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L’Università di Southampton, ha finanziato una ricerca per cercare di stabilire qual è il grado di percezioni dei pazienti in assenza di battito cardiaco.

Dal 2008 ad oggi sono state studiate oltre duemila persone colpite da arresto cardiaco in quindici ospedali tra Regno Unito, Stati Uniti e Austria, per capire cosa provassero mentre il loro cuore era fermo e per utilizzare queste esperienze per ipotizzare o meno la presenza di una coscienza dopo la morte.

Dopo 30 secondi dall’arresto del battito cardiaco anche il nostro cervello smette di funzionare, ma nonostante questo i dati emersi dalla ricerca (come testimonia Sam Parnia, uno dei responsabili del progetto, al Telegraph) riportano le testimonianze del 40% dei pazienti sopravvissuti i quali affermano di essere stati in qualche modo coscienti durante l’assenza di battito, di aver avuto percezioni, visioni di tunnel di luce e di ricordare cosa stesse accadendo intorno a loro.

Tra i pazienti che sono stati presi a campione per lo studio, c’è un uomo di 57 anni di Southampton che dopo esser rimasto privo di coscienza per tre minuti, tanto da esser dichiarato clinicamente morto, quando si è poi ripreso e risvegliato, ha descritto accuratamente ed esattamente tutto quello che era accaduto intorno a lui, quello che facevano i medici e il segnale di un macchinario presente nella sala.

Quest’ultimo dettaglio è il punto focale della questione, perché la macchina emette il segnale ogni 3 minuti e questo ha permesso ai ricercatori di individuare meglio la durata della sua percezione extracorporea.

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Inoltre dalla ricerca è emerso che il 13% dei pazienti racconta di aver avuto un’esperienza extracorporea vera e propria, ovvero, di aver avuto percezione di sé al di fuori del corpo, come se lo stato di coscienza permanesse ma al di là del corpo fisico.

C’è chi tra gli studiosi di tutti i tempi, e parlo di studiosi e ricercatori non di religiosi, sostiene che si tratti di esperienze extracorporee non giustificabili esclusivamente con i processi cerebrali e chi, come lo psicologo britannico Chris French, sostiene che possa trattarsi di un disturbo dissociativo provocato dalla situazione di pericolo estremo.

In ogni caso, qualunque sia la spiegazione con cui ci troviamo più in sintonia, la cosa più importante è ricordare che dobbiamo fare del nostro meglio per onorare questo dono/mistero che abbiamo ricevuto, dobbiamo fare del nostro meglio per essere felici.

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