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Acqua rubata ai poveri per darla ai ricchi

Di Giordana - 13 Novembre 2013


La sensazione di impotenza che si prova davanti alla grande impellenza dei bisogni primari di gran parte delle popolazioni del mondo può avere varie attenuanti come le condizioni climatiche e il contesto geografico che caratterizza le zone desertiche o a grande rischio sismico, ma quando nulla di questo giustifica carenze primarie come l’assenza d’acqua, allora il senso di impotenza si trasforma, doverosamente, in indignazione. Nelle zone dell’India del Nord e del Pakistan si vedono spesso bambini che chiedono soldi e cibo, come accade in tutto il resto del paese e del sud est asiatico e come accade in Europa ed in Italia, anche se in una percentuale ridotta, ma da un po’ di tempo a questa parte la situazione è cambiata ed incominciano a chiedere acqua.
Qualche tempo fa ero in viaggio tra India e Pakistan, all’uscita di un ristorante ho visto un bimbo di circa nove anni che, con una ciotola di metallo in mano, chiedeva qualcosa. Inizialmente ho pensato che volesse soldi, poi il bambino indicando la bottiglia d’acqua che avevo in mano: “pani didi pani”. Pani significa acqua e didi significa sorella maggiore. La sensazione che ho provato è difficile da spiegare, vedere qualcuno che chiede acqua nel deserto ha un senso, duro, difficile, ma sensato, ma il Pakistan e l’India del nord, a livello idrico, non sono aree penalizzate dal punto di vista geografico.

Il Pakistan è montuoso per il 90% del suo territorio e l’area kashmira amministrata dal Pakistan comprende alcune delle montagne più alte del mondo, tra cui il K2, inoltre l’intera zone è attraversata dall’Indo. La configurazione geografica penalizza la fertilità del terreno, ma non la disponibilità idrica, specialmente se consideriamo che le popolazioni locali, specialmente le fasce più povere, sono abituate a bere l’acqua dei fiumi e delle sorgenti, anche se non depurata.
Quello che ha penalizzato queste zone non è la posizione geografica, ma le multinazionali che deviano l’acqua, se ne impadroniscono e la imbottigliano rivendendola agli indiani ricchi ed ai turisti. Il furto d’acqua ai danni del Pakistan è a carico di Nestlè, ma ad onor del vero, chi è stato in quelle zone sa che Nestlè non è l’unica multinazionale che si macchia di questo reato contro uno dei diritti fondamentali dell’uomo, privando le popolazioni di un elemento vitale, indispensabile al più primario dei bisogni primari: l’Acqua.
Già Vandana Shiva, nel suo“Le nuove guerre della globalizzazione”,(edito in Italia nel 2005) parlava della carenza d’acqua dovuta all’interevnto di vari multinazionali. La macchina micidiale che si crea è letale per la popolazione e per l’ambiente, inoltre le stesse popolazioni che si vedono derubate dell’acqua si ritrovano a lavorare per le medesime multinazionali, con stipendi improponibili che non basteranno per ricomprare dai loro “datori di lavoro” quella stessa acqua di cui sono stati privati, quella stessa acqua che è patrimonio indiscusso dell’umanità e non dovrebbe essere altrimenti.
Attualmente è possibile firmare una petizione per salvaguardare il Pakistan dal furto d’acqua.
 
 





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