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Sonno bifasico: l’alternativa al dormire di notte per otto ore consecutive

Di Marco Grilli - 31 Gennaio 2017

Funzione biologica indispensabile, il sonno occupa un terzo dell’esistenza di ogni essere umano e permette il recupero delle energie fisiche e mentali, lo svolgimento delle normali funzioni immunitarie e metaboliche, la facilitazione delle funzioni motorie e il consolidamento della memoria. Oggi diamo per scontato che la soluzione migliore sia quella di dormire per otto ore di fila nel corso della notte, ma siamo sicuri che questo trend sia il più efficace e, soprattutto, sia stato il più ricorrente nella storia dell’umanità?
Chi parla di sonno bifasico (o segmentato) nell’età preindustriale è lo storico della Virgina Tech A. Roger Ekirch, autore di successo che nel 2005 ha pubblicato il volume “At day’s close: night in times past”, un originale saggio sulla concezione della notte nell’era moderna. Ricco di documenti e frutto di una ricerca pluriennale, il libro nella sua ultima parte tratta il tema del sonno, estremo rifugio dai travagli della vita quotidiana. Attingendo a una vasta serie di fonti, quali diari, registri medici, documenti di corte e testi letterari, Ekirch ha notato la continua ricorrenza delle espressioni “primo sonno” e “secondo sonno” e le ha ricollegate a un modo di dormire alquanto diffuso prima dell’avvento dell’industrializzazione, definito appunto segmentato o bifasico.
Sonno bifasico
Tali documenti dimostrano che i nostri antenati non dormivano ininterrottamente per otto ore durante la notte, ma dopo una prima fase di sonno di alcune ore si risvegliavano verso mezzanotte per almeno un’ora, prima di riaddormentarsi fino all’alba. Il periodo di veglia tra il primo e il secondo sonno non era un’anomalia ma costituiva una parte dei ritmi della vita, dedicata non solo ad attività futili ma anche alla meditazione, alla preghiera, alla lettura, al dialogo, all’introspezione e al sesso.
Un momento di pace, calma, profonda riflessione e scoperta/affermazione della propria identità, considerato addirittura da molti medici dell’epoca come l’arco temporale ideale per il concepimento.
«La gente rimaneva sveglia, restando a letto o in piedi, per un periodo della durata all’incirca di un’ora al massimo, nel quale si faceva praticamente qualsiasi cosa concepibile, dallo spillare birra all’andare a rubare la legna da ardere del vicino. Altri invece non si alzavano da letto. Per loro si trattava di un momento importante, anzi sacro, nel quale avevano modo di riflettere sugli eventi del giorno appena trascorso, di meditare e di pregare», ha dichiarato Ekirch in un’intervista rilasciata all’Huffington Post.
Sonno bifasico
La ricerca dello storico statunitense dimostra che la consuetudine del sonno segmentato era diffusa non solo nel mondo occidentale preindustriale ma in molte altre culture, prima che intervenisse la rivoluzione industriale a stravolgere ritmi e stili di vita. I riferimenti al primo e al secondo sonno tendono a scomparire verso la fine del XVII secolo, a partire dalle classi urbane del Nord Europa. Negli anni ’20 del Novecento il sonno segmentato è ormai soltanto un ricordo. I motivi sono facilmente comprensibili: con la civiltà industriale si impone il dogma dell’efficienza, i tempi si dilatano, l’energia elettrica rompe la tradizionale alternanza luce-buio e sorge una nuova concezione del tempo libero e del divertimento notturno.
Secondo Ekirch, la “graduale eliminazione” della notte ha peggiorato la qualità dei nostri sogni e ci ha privato di una “miglior comprensione del nostro io interiore”.
D’altronde, il sonno segmentato non deve essere inteso come una tendenza innaturale: lo dimostra anche un importante studio condotto nei primi anni ’90 dal dott. Thomas Wehr del National Institute of Mental Health. Un gruppo di volontari furono chiamati a trascorrere 14 ore al buio ogni giorno per un mese, così come avveniva prima della diffusione dell’energia elettrica. Privati di mezzi tecnologici ma lasciati liberi di seguire le proprie abitudini (sonno compreso), a partire dalla quarta settimana i partecipanti a questo esperimento iniziarono a dormire di notte per otto ore non consecutive, intervallate da una proficua fase di veglia di una o due ore dedicata alle più varie attività. Rieccoci al sonno segmentato studiato da Ekirch.
Il brusco inizio del sonno dopo la fase di veglia fu posto in relazione dal dott. Wehr con la secrezione dell’ormone serotonina da parte della ghiandola pineale posta nel cervello, un processo che avviene durante le ore notturne in presenza di buio. Questo sonno bifasico è dunque un modello ben più naturale di quel che si possa pensare, tanto che è stato osservato anche in molte specie animali e tra le popolazioni indigene. In quest’ultimo caso – noti sono i lavori dell’antropologa Carol Worthman ­­­– il risvegliarsi di notte si rivela utile per questioni di sorveglianza e sicurezza, così come lo era sicuramente nell’antichità.
Sonno bifasico
Il sonno segmentato, così naturale per l’uomo ma che necessita della naturale esposizione ai periodi di luce e di buio, è andato scomparendo con il dominio della luce artificiale nella società moderna. Tutto è cambiato con l’avvento dell’energia elettrica, quando si è imposta la tendenza a estendere le attività giornaliere anche nelle ore notturne, comprimendo così il sonno naturale. Non dobbiamo però credere che tutte le persone si possano sottomettere facilmente alla luce artificiale, perché coloro che hanno un ritmo circadiano molto forte potrebbero incorrere in questo modello di sonno primitivo, scambiato erroneamente per un disturbo.
«L’insonnia nel bel mezzo della notte, cioè quella che oggigiorno è la forma più comune d’insonnia, ha cominciato ad esser interpretata come un problema di natura medica solo fra la fine del diciannovesimo e gli inizi del ventesimo secolo. Prima di allora, il fatto di svegliarsi nel bel mezzo della notte veniva considerato qualcosa di assolutamente naturale. Io spero che la gente che soffre d’insonnia possa rendersi conto che il proprio sonno non è anormale, almeno non guardandolo da una prospettiva storica. Quella consapevolezza dovrebbe essere in grado di fornirci una qualche forma di consolazione», spiega Ekirch.
Tradotto in parole povere, invece che riempirsi di sonniferi per la gioia delle case farmaceutiche, potrebbe esser molto più utile abbandonare la tecnologia e dedicarsi a qualche leggera e piacevole attività in quella fase di veglia, per facilitare il ritorno del sonno.

La concezione che le otto ore consecutive di sonno notturno siano l’unico standard per uno stato di perfetta salute è messa in dubbio dai sostenitori del sonno polifasico (termine coniato dallo psicologo J. S. Szymanski nel primo Novecento), ossia spezzettato in più parti della giornata.
Per chi vuole vivere al massimo e ridurre al minimo le ore di sonno, senza perdere in efficienza, vi sono vari metodi, alcuni dei quali piuttosto estremi, che ben si accodano alla celebre frase di Benjamin Franklin: «Svegliatevi, poltroni, viviamo; dormiremo abbastanza nella tomba».
Se il ciclo Everyman prevede di dormire tre ore notturne con tre pennichelle di mezzora durante il giorno, ben più complesso è il ciclo Uberman, che si basa solamente su riposini di 20 minuti ogni quattro ore.
Al di là dei potenziali vantaggi e rischi di questi metodi del sonno polifasico (consigliamo di chiedere il parere di un medico prima di provarli), è bene sapere che chi si trova a svegliarsi di notte potrebbe farlo perché sta vivendo un ritorno al modello di sonno bifasico. Niente panico dunque: come dimostra lo studio di Ekirch si tratta semplicemente di una tendenza che affonda le sue radici in uno stato naturale dell’uomo.
Se poi il fatto di dormire poco non vi dà pace, consolatevi con la frase ripetuta dal condottiero Napoleone ai suoi fedelissimi: «Agli uomini bastano quattro ore di sonno, alle donne cinque, agli imbecilli sei».
Marco Grilli





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