Interviste
Psicologia

Il carcere come tempo del riscatto sociale

Di Laura Cusmà Piccione - 25 Ottobre 2022

Alla fine del Settecento, sconvolse il regolamento penitenziario Cesare Beccaria, l’illuminista che dimostrò come la proporzione tra il delitto e la pena dovesse dipendere esclusivamente dalla gravità del danno sociale di ogni singolo comportamento considerato illecito. Ne derivava, come naturale conseguenza anticipatrice della modernità, il rifiuto della pena di morte, considerata ingiusta, non necessaria e neanche utile. Con Dei delitti e delle pene, Beccaria dà una lezione di civiltà intorno al Diritto penale e in particolare a quello penitenziario. La perdita, seppure temporanea, della libertà è proposta come strumento per isolare la mela marcia, ma anche come modo per riflettere sulle proprie azioni e capire i propri sbagli. Lo scrittore invece condanna la pena di morte perché la morte immobilizza per sempre chi ha commesso un delitto nella condizione di “criminale”, senza alcuna possibilità di riscatto sociale.

Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio.
(Cesare Beccaria, Dei delitti e delle Pene)

Il carcere, dunque, non deve essere considerato soltanto un luogo di reclusione per isolare persone delinquenti, ma deve anche essere un luogo di rieducazione dei detenuti al fine del loro reinserimento in società. La riflessione dello scrittore verrà accolta e approfondita nel corso dei secoli successivi, nei quali si prende in considerazione soprattutto la questione della riabilitazione, sicuramente non facile e che sempre inizia a partire dall’istruzione. Il diritto all’istruzione, così come viene sancito dall’art. 34 della nostra Carta Costituzionale, svolge un ruolo centrale nella promozione della dignità della persona anche all’interno degli istituti penitenziari in quanto rappresenta uno dei deterrenti più potenti ai fini della riabilitazione sociale. Al punto che già dalla fine dell’Ottocento con un Regolamento del 1891 veniva posta l’enfasi sul fatto che il carcere non fosse soltanto il luogo di espiazione della pena, ma anche un luogo di rieducazione. Regolamento abolito con l’avvento del fascismo che prevedeva il diritto allo studio soltanto per i cittadini liberi. Tuttavia, nel 1958 una legge (legge n. 503 del 3 aprile) sancisce la nascita ufficiale della scuola in carcere.

Verrà anche tenuto conto per rientrare in società dell’inserimento al lavoro di chi ha espiato la propria condanna. L’accesso al lavoro all’uscita del carcere dovrebbe anche garantire la ricostruzione di una rete di relazioni sociali che allontani l’individuo da quell’ambiente corrotto in cui è maturata l’azione criminale. Secondo Don Virginio Colmegna proprio l’inserimento al lavoro degli ex-detenuti a detta degli stessi rappresenta la maggiore difficoltà nel loro percorso di reinserimento nella società: è questo, infatti, il passaggio cruciale in grado di dar corpo alle finalità rieducative e risocializzanti della pena che la Costituzione esige, attraverso percorsi di vita fuori dagli spazi e dalle pratiche illegali.

Durante la permanenza in carcere sono le attività ricreative e la cultura il punto di partenza di ogni crescita personale. Alla metà degli anni Settanta, la disciplina carceraria faceva ancora riferimento al Regolamento penitenziario fascista, deliberatamente di carattere punitivo. La riforma giunse con la legge 26 luglio 1975, n. 354 “Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”.

“La cultura è un bene comune primario come l’acqua; i teatri le biblioteche i cinema sono come tanti acquedotti.”
(Claudio Abbado)

Finalità della riforma era l’attuazione dell’articolo 27 della Costituzione che prevedeva e prevede che la pena debba essere tesa alla rieducazione del condannato. In particolare, gli articoli 59 e 60 regolamentano le attività culturali, ricreative e sportive.
Su questa riforma ha preso vita una prassi che ormai si è consolidata e conta nel 2017 circa 700 attività diverse distribuite tra i 189 istituti penitenziari presenti sul territorio nazionale.
Oggi la maggior parte delle attività ricreative viene gestita da associazioni e volontari esterni all’Amministrazione penitenziaria, condividendo il tutto con l’amministrazione penitenziaria e altre realtà associative di imprese cercando di trovare quegli aspetti risocializzanti che lo spazio e il tempo consentono alle persone confinate, mentre un numero più esiguo è organizzato direttamente dagli istituti stessi. I programmi variano da istituto a istituto, ma tra i più diffusi troviamo il teatro, lo yoga e laboratori di lettura, scrittura, di cinema, attività legate alla musica (chitarra, coro), laboratori di scrittura creativa e di lettura.
Nel 2017 su un numero di detenuti pari a 58.163, circa il 25% era coinvolto in almeno un’attività culturale. Le attività culturali all’interno del sistema penitenziario hanno come fine ultimo quello di promuovere il reinserimento sociale dei detenuti, nonché la socializzazione tra persone che condividono uno stato di convivenza coatta, che proprio attraverso queste attività vuole sia la più pacifica possibile. L’importanza che le attività ricreative e culturali assumono nel sistema penitenziario diventa ancora maggiore nelle carceri minorili, dove il reinserimento dei giovani detenuti potrebbe fare la differenza per un futuro di opportunità lontano dalla delinquenza.

Giuseppe Falzarano, 2021. Istituto penale per Minorenni di Milano Cesare Beccaria

Approfondiamo il riscatto sociale dei detenuti con Stefano Corso, fotografo e da due anni presidente di Riscatti Onlus, l’associazione di volontariato che dal 2014 crea eventi e iniziative di riscatto sociale attraverso le fotografie scattate dagli stessi protagonisti della problematica sociale soggetto di mostre esposte al Padiglione d’arte contemporanea (Pac) di Milano. La nuova edizione dal titolo Per me si va tra la perduta gente, patrocinata dal Ministero della Giustizia, riflette le complessità, le difficoltà, ma anche le opportunità della vita negli istituti di reclusione, fornendo a detenuti e agenti penitenziari un corso fotografico per immortalare in scatti la vita in quattro istituti di detenzione milanesi: la Casa di reclusione di Opera, quella di Bollate, la Casa circondariale Francesco Di Cataldo, l’Istituto penale minorile Cesare Beccaria. Obiettivo dell’esposizione del Pac è anche la generazione di un confronto costruttivo e una sinergia concreta tra l’amministrazione cittadina, quella penitenziaria e le istituzioni culturali milanesi.
All’inaugurazione, Mauro Palma, presidente dell’autorità garante nazionale dei Diritti delle persone private della libertà personale, ha commentato: “Due parole tengono insieme queste iniziative: la prima parola è appartenenza e la seconda locuzione è significatività del tempo. Appartenenza perché queste sono iniziative che devono dimostrare che anche quel mondo appartiene alla collettività, che il mondo è tutt’uno e, quindi, questo è un punto determinante di una mostra che ci vuole far vedere la vita di chi opera e di chi è ospitato. E l’altra parola è significatività del tempo: io ho sempre detto che uno dei maggiori limiti delle situazioni detentive quando il tempo perde di significato, quando è tempo vuoto, allora credo che ridare il senso al tempo attraverso lo sguardo multiplo delle foto sia un momento molto importante, pertanto, come diceva Henri Cartier-Bresson fotografare è un modo di vivere non è soltanto un modo di rappresentare ma è un modo di vivere, e un modo di vivere noi lo leggiamo attraverso queste immagini che ci restituiscono che quel mondo è anche il nostro mondo. Io vorrei che queste iniziative dessero un contributo a riconnettere insieme questi aspetti”.

Che giovano a quell’uomo ottant’anni passati senza far niente? Costui non è vissuto, ma si è attardato nella vita; né è morto tardi, ma ha impiegato molto tempo per morire.
(Lucio Anneo Seneca)

Marta Cartabia, ministro della Giustizia del governo Draghi si è detta d’accordo con le parole del garante: “Sono d’accordo con quanto ha detto il garante, ossia che i momenti peggiori per un detenuto sono quelli in cui vedi che il tempo dei detenuti è un tempo vuoto e quindi un tempo che non ha una direzione, non ha un significato non ha un senso verso cui può dirigersi ma anche situazioni in cui per usare una parola – ricordo una visita al carcere di Bollate – quando don Gino aveva detto questo è il luogo del cambiamento possibile allora un posto che attira per i suoi problemi che attira per le sue potenzialità”.

Il riscatto sociale nelle fotografie dei detenuti
In mostra vediamo come i detenuti preferiscano riempire il tempo vuoto: c’è tantissimo sport – boxe su tutti – soprattutto nelle fotografie dei minori del Beccaria. Tante sigarette, compresa una con sopra la scritta “tempo” consumata dall’aria che passa tra le sbarre.

La mia più grande paura oggi? Di uscire e sapere che i miei figli non mi vogliono
(Riccardo, detenuto)

Uno scatto è soffocato negli ansiolitici consumati (“in una sola settimana” ci precisa Stefano Corso) dai detenuti nei momenti di sconforto spesso fotografati nelle scritte che vengono immortalate alternate a scritte che lasciano uno spiraglio alla speranza.

Vorrei andare al mare. Lo vivo come un sogno perché so che ci vorranno anni. (Ilaria, detenuta)

La vita finisce solo quando non respiri più Per tutto il resto c’è una soluzione

Gli affetti familiari rappresentano la maggiore speranza per i detenuti, così tanti di loro hanno immortalato la sala colloqui o la quotidianità in carcere: i pasti consumati, le stanze occupate dai panni stesi da cui i corpi sono cancellati come le esistenze di chi è detenuto.

Ilaria De Pascale, 2021. Istituto penale per minorenni di Milano Cesare Beccaria

Nella città seminterrata dei tuoi fantasmi te ne stai tu nella tua fluorescenza/ tenue e tu trasparente come non mai/ sotto le palpebre hai serrate le lacrime/ vista nel sonno pure ti avvedi di me/ come se ancora non vedessi/ se ci si vedesse domani
(Luca Quartana)

In uno scatto pure la musica è senza il corpo del violino di cui sono in fase di costruzione soltanto le sagome che forse un apprendista liutaio imballerà. Poi la speranza passa attraverso spazi che scambiano dentro e fuori, tra questi le sbarre (ce ne sono persino più delle sigarette!) sono le protagoniste assolute, ma questi scambi si hanno anche attraverso vetri rotti e finestre. In particolare, la luce delle finestre illumina in diversi scatti detenuti sui banchi di scuola, come fosse la luce divina che converte San Matteo nella Vocazione di San Matteo di Caravaggio, nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma.

Valentina Capraro, 2021. Istituto penale per minorenni di Milano “Cesare Beccaria”

Ma chi si aspetta fotografate tante letture e libri, si sbaglia Stefano Corso, presidente di Riscatti, ci spiegherà perché. Ma prima gli chiediamo come l’associazione che presiede da due anni svolga vere e proprie inchieste sul riscatto sociale degli individui più fragili, nel caso dei detenuti persino reietti dalla società, per offrirgli una nuova possibilità, possano davvero avere un riscatto sociale: “Nel caso dei detenuti possiamo parlare di una vera e propria inchiesta sul riscatto sociale che possono avere in quanto rappresentazione della categoria, ma molti dei progetti che portiamo al Pac non hanno bisogno di un riscatto sociale, come il progetto dello scorso anno incentrato su ragazze con disturbi del comportamento alimentare o quello sui ragazzi vittime di bullismo. Quello che cerchiamo sempre è di accendere un riflettore su una determinata situazione. Ogni anno cambia e questa situazione viene narrata con gli occhi di chi effettivamente la vive perché la nostra idea è che chi vive in una situazione è la migliore persona che può raccontarla”.

I soggetti della mostra di quest’anno sono i detenuti. Per coloro che vengono isolati dalla società perché potenzialmente pericolosi il riscatto si trova principalmente nel lavoro. Infatti, secondo i dati condivisi dalla startup Palingen attiva a Pozzuoli e forniti dall’Alleanza Cooperative Sociale, soltanto il 10% dei detenuti che hanno partecipato a un programma di reinserimento professionale all’interno del carcere, rischia di essere recidivo; viceversa, la soglia sale fino al 90% per i detenuti che non vengono inseriti in alcun progetto di recupero professionale.
L’associazione Riscatti avanza l’idea di attivare il processo di riabilitazione della persona nella cultura, proponendo un corso di fotografia agli autori degli scatti. Quale peso hanno lavoro e cultura nel riscatto sociale dei detenuti?

Corso ci spiega il progetto: “Il progetto di quest’anno non riguarda soltanto i detenuti, ma anche la polizia penitenziaria, che possiamo dire che anche loro nella società non godono di un’altissima considerazione per molta della narrativa sociale che c’è. E il riscatto è tramite la cultura nel senso che in questo caso stiamo cercando di portare fuori il mondo dentro, cercando di mostrare le condizioni in cui vivono entrambi attraverso la narrazione della condizione in cui non soltanto i detenuti vivono, ma anche lo stato in cui deve lavorare la polizia penitenziaria tutto quanto poi finalizzato a migliorare il livello di vita nel carcere perché un detenuto scontento e abbrutito dalle condizioni carcerarie poi diventa una persona che può tornare a delinquere all’infuori nella società”.

La mia vita trascorre sempre ugualmente monotona. Anche lo studiare è molto più difficile di quanto non sembrerebbe. Ho ricevuto qualche libro e in verità leggo molto (più di un volume al giorno, oltre i giornali), ma non è a questo che mi riferisco; intendo altro. Sono assillato (è questo fenomeno proprio di carcerati, penso) da questa idea: che bisognerebbe far qualcosa “für ewig”.
(Antonio Gramsci, “Quaderni dal carcere”)

In mostra non si vedono molti libri in mano ai detenuti, come il cinema e la letteratura di genere spesso narra. È ricorrente, per esempio, il topos del detenuto che legge la Bibbia, perché anche la religione è uno strumento di riscatto sociale.

Luca, 2021. Istituto Penale per Minorenni di Milano “Cesare Beccaria”

D’altronde anche nella società civile i dati riportati al Salone del libro del 2021 stimano un calo al 56% della percentuale di lettori italiani, ma chi legge lo fa più di prima.

Per quasi venti minuti rimasi seduto in attesa, facendo finta di leggere.
(Hayes B.- Hoffer W., “Fuga di mezzanotte”)

E come ci fa notare il presidente di Riscatti il ruolo che svolgono l’istruzione e la conoscenza nel riscatto sociale dei detenuti è affatto simile a quello dei cittadini incensurati: “ Diciamo che le carceri rispecchiano la società civile di oggi, quindi, se le persone leggono poco fuori non vedo perché debbano leggere tanto in prigione; diciamo che sono persone alle quali si cerca di dare degli strumenti per elevare il loro livello culturale, poi ovviamente è al singolo che tocca accoglierli e usarli. Tuttavia comunque lo specchio della società è anche dentro al carcere”.

Ho speso troppo tempo e il tempo s’è accorciato
Non giro più in cerca di occasioni…
Torno sempre a te
In questi giorni inquieti
Torno sempre a te
Perciò siediti e parlami di Mengele, parlami degli Hovitz
Parlami di Waterloo e Mogadiscio, di Oyama e San Paolo
(Emidio Clementi, “Litio”)

Quali opportunità vengono offerte ai detenuti per tornare alla vita?
Dipende sempre dal tipo di struttura penitenziaria perché ovviamente nelle carceri di massima sicurezza c’è un determinato tipo di trattamento; il carcere minorile di Beccaria per certi versi è un carcere modello. Ci sono gli educatori che tendono a insegnare non soltanto a livello culturale, ma anche a relazionarsi con la società civile e in più vengono fatti dei corsi professionali e vengono pure svolti dei lavori da parte del detenuto. Officine di elettricisti e simili formano i detenuti professionalmente su un mestiere”.

Antonio Perrone, 2022. Casa circondariale “Francesco Di Cataldo”, San Vittore

Quali speranze ha un detenuto “È sicuramente la libertà, ma anche la speranza di rientrare in una società che lo può in qualche maniera accogliere. Il problema è che molte volte non c’è lavoro per le persone incensurate, e diventa complicato per le persone con la fedina penale sporca”.

Tornando sulla cultura, dibattiamo sulle opportunità ricreative che offrono le carceri italiani: il carcere di Opera, di massima sicurezza, dà l’opportunità ai detenuti di unirsi nella Compagnia Opera Liquida, presso il Teatro della Casa di reclusione di Milano Opera. Quello di Rebibbia ha istituito corsi di scrittura creativa.
Stefano Corso afferma “Queste attività in qualche maniera sviluppano un senso di socialità. L’arte serve ai detenuti perché da sempre in qualche maniera nobilita gli spiriti degli uomini. E insegna anche come relazionarsi. Coloro che fanno arte possono lavorare estraniandosi da se stessi perché l’arte è liberatoria. Nel teatro ti metti nei panni di qualcun altro, fingi di essere qualcun altro”.

“Benvenuti a teatro. Dove tutto è finto ma niente è falso.”
(Gigi Proietti)

In questa mostra è stata usata da detenuti e agenti penitenziari l’arte fotografica.
Spiega il fotografo romano: “Fare arte permette di estraniarsi dalla propria condizione, in questo caso ha consentito a entrambi di essere nella propria condizione e di guardarla con la fotografia, ossia con un occhio esterno: sono loro stessi a guardare la propria condizione come se fossero al di fuori”.

Christian, 2022. II Casa di reclusione di Milano-Bollate

Si parla poco dei problemi che si riscontrano negli istituti detentivi italiani, l’ultima notizia sulle condizioni detentive che ha avuto risonanza nazionale riguardava le sommosse nelle carceri per la pandemia da Covid. Spiega il presidente di Riscatti: “Il lockdown ha amplificato il loro disagio, anche perché poi le visite magari erano anche dilatate o contingentate, i rapporti con il mondo esterno erano differenti e anche i pericoli di infezione o di contenimento erano ampliati.
La problematica principale che si vive oggi in carcere è il sovraffollamento perché non riesci a vivere in condizioni di disagio e di scomodità: 12 persone in una cella non aiutano una riabilitazione sociale e allo stesso tempo distraggono anche l’attività di educazione o di reinserimento perché più persone hai da gestire, più serve personale e molte volte i fondi per la Giustizia non sono sufficienti”.

Gli scatti in cui l’horror vacui è riempito da sigarette e ansiolitici, che rappresentano il consumo settimanale dei detenuti, e l’immagine che mostra le braccia tagliate di un autolesionista fotografano i disagi psichici di cui soffrono molti detenuti, altra drammatica questione delle carceri, acuita pesantemente durante la pandemia.

Poi c’è il problema del tempo che sembra non scorrere mai, definito per questo motivo“vuoto”. Il tempo in carcere è stato definito più volte “tempo vuoto”. Come scorre il tempo negli istituti di reclusione?
Corso afferma: “ Il tempo nelle carceri è un tempo scandito, quindi, ogni giornata è simile all’altra. Il tempo è scandito durante tutta quanta la giornata e ognuno deve trovare la migliore maniera per trascorrerla, con il supporto delle istituzioni ovviamente anche della amministrazione di un singolo carcere per ottimizzare questo tempo in una chiave di crescita e di miglioramento”.

“Per molti dei detenuti che hanno seguito il corso di fotografia e realizzato gli scatti esposti saranno organizzati dei permessi per venire a vedere la mostra”, continua Stefano Corso. “Per loro è stata un’esperienza da quello che mi hanno riferito – perché non ho partecipato direttamente ai corsi – che li ha molto coinvolti nell’attività. I loro cognomi e i volti sempre negati all’obiettivo dipendono ovviamente dall’anonimato, una questione forzata sia per garantire loro una maggior sicurezza per l’inserimento successivo, ma anche perché ci sono molti nomi noti e, quindi, si sarebbe creata una curiosità morbosa per capire chi sono e non vogliamo dare l’attenzione sul singolo, ma l’attenzione di Riscatti va su quello che il singolo racconta.

Nelle fotografie in mostra c’è una contrapposizione netta tra chi mette in mostra il corpo e chi lo “cancella”, per esempio, fotografando stendini con il bucato steso che ci informano che i corpi in carcere esistono per negazione. Il corpo c’è e non c’è a seconda – continua Corso – “di ogni singolo fotografo, anche se in carcere non hai tanti scenari su cui spaziare, quelli sono gli ambienti, quelle sono le persone, quelle sono le sigarette. È una scelta personale. In molte situazioni per dare comunque anche un rilievo al lavoro che ha fatto la polizia penitenziaria a volte se non sai che le sale sono divise tra gli scatti dei detenuti e quelli degli agenti, non riesci a capire chi tra i due ha fatto quelle foto, perché di fatto si vive reclusi insieme”.

Soltanto raggiunta la libertà può esserci riscatto sociale. Cos’è la libertà? Stefano Corso risponde: “La libertà, per me è uno stato mentale, di fatto è uno stato anche fisico per molte delle persone che possono raggiungerlo in una chiave di riabilitazione sociale, mentale e culturale cui possono tendere. Io auspico così perché una persona migliore fa una società migliore. Chi ha sbagliato anche la nostra costituzione prevede che abbia un ruolo e un reinserimento sociale”.

Ho appiccicato i piedi sul pavimento di gelo
ho spalancato la finestra
e finalmente
volo
(Giancarlo Onorato, “Il ritorno di lei”)





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