Psicologia

Jung invita tutti a realizzare il proprio germe di vita

Di Sandra Saporito - 1 Giugno 2022

Nel 1932, Carl G. Jung, psichiatra, psicoanalista, antropologo, filosofo, esoterista e accademico svizzero, tenne al Club psicologico di Zurigo quattro conferenze inerenti all’interpretazione psicologica del Kundalini yoga. Fu per Jung un’opportunità per proporre al pubblico una visione della psicologia ampliata grazie al pensiero orientale, con l’intento di fondare una disciplina terapeutica più evoluta, realmente al servizio della complessa psiche umana.

Durante i suoi interventi, Jung introdusse il concetto di realizzazione del germe di vita racchiuso in noi come espressione del processo di individuazione, ovvero dell’avvicinamento dell’Io al Sé. Secondo Jung, la realizzazione del nostro essere non si baserebbe su un processo intellettuale ma sull’agire nel mondo: lasciare una traccia di sé, una prova del proprio passaggio sarebbe la conditio sine qua non per raggiungere lo scopo della nostra esistenza e di conseguenza la felicità, lo stato di fioritura personale, l’espressione dell’anima.

La vita, secondo il padre della psicologia analitica, non ci chiederebbe quindi soltanto di esistere ma di realizzare la nostra finalità interiore, o entelechia, altrimenti quale bisogno avrebbe avuto l’anima di incarnarsi, rivestirsi di carne, pensieri ed emozioni?

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La profonda riflessione di Carl G. Jung

Durante uno dei quattro seminari sulla psicologia e il Kundalini Yoga tenutosi nel 1932, Carl G. Jung propose ai partecipanti una riflessione sull’importanza dell’azione concreta allineata al proprio essere. A 90 anni di distanza, il suo pensiero può ancora ispirarci profondamente…

C’è una quantità di persone che non sono ancora nate. Sembra che siano qui e che camminano ma, di fatto, non sono ancora nate perché si trovano al di là di un muro di vetro, sono ancora nell’utero. Sono nel mondo soltanto provvisoriamente e presto ritorneranno al pleroma da cui hanno avuto inizio. Non hanno ancora creato un collegamento con questo mondo; sono sospesi per aria, sono nevrotici che vivono una vita provvisoria.

Dicono: ‘Adesso sto vivendo in queste condizioni. Se i miei genitori si comportano secondo i miei desideri, ci sto. Ma se dovessero mai fare qualcosa che non mi piace, allora tiro le cuoia.’

Questa, vedete, è la vita provvisoria: una vita condizionata, la vita di qualcuno che è ancora collegato al pleroma, il mondo archetipico dello splendore, da un cordone ombelicale grosso come una gomena da nave. Bene, nascere è importantissimo; si deve venire in questo mondo, altrimenti non si può realizzare il Sé, e fallisce lo scopo di questo mondo. Se questo succede, semplicemente si deve essere ributtati nel crogiuolo e nascere di nuovo. […]

Vedete, è di un’importanza assoluta essere in questo mondo, realizzare davvero la propria “entelechia”, il germe di vita che si è, altrimenti non si può mai mettere in moto Kundalini e non ci si può mai distaccare. Si viene ributtati indietro e non è successo nulla, è un’esperienza assolutamente priva di valore.

Si deve credere in questo mondo, mettere radici, fare del proprio meglio, anche se bisogna credere alle cose più assurde. […] Si deve infatti lasciare qualche traccia di sé in questo mondo, che certifichi che siamo stati qui, che qualcosa è successo. Se non accade nulla del genere, non ci si sarà realizzati; il germe di vita è caduto, per così dire, in uno spesso strato d’aria che lo ha tenuto sospeso. Non ha mai toccato il suolo, e quindi non ha potuto produrre la pianta. Se invece si entra in contatto con la realtà in cui si vive, vi si rimane per diversi decenni e si lascia la propria impronta, allora può avviarsi il processo di impersonale.

Vedete, il germoglio deve sbocciare dalla terra, e se la scintilla personale non è mai entrata nella terra, da lì non uscirà nulla, non ci saranno né linga Kundalini perché si è ancora nell’infinità che c’era prima.” (Carl G. Jung)

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Realizzare il proprio germe di vita significa manifestarsi nel mondo

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Credit foto © Pexels

Secondo Carl G. Jung, la nostra felicità, la nostra fioritura personale, si cela nella relazione col mondo, nell’unione della nostra unicità con la dimensione collettiva. Il processo di crescita richiede tuttavia di radicarsi nella realtà concreta delle cose per poi sbocciare e fruttificare. Queste tappe, seppure quasi universali, possono rivestirsi di significati diversi per ognuno di noi. Spetta al singolo comprendere cosa rappresentano nella sua quotidianità, nella sua esistenza. Proprio di “quotidianità”, si dovrebbe parlare in quanto l’anima abita ogni momento, giorno dopo giorno, cerca di manifestarsi nella azioni del quotidiano, in tutti i presenti che si susseguono, s’intrecciano, per partorire il tempo indeterminato della nostra esistenza terrena.

Il radicamento del germe di vita, della scintilla personale, è in stretta relazione con il suo posto nel mondo, dove può dispiegarsi l’ essere. L’anima si rispecchia nel luogo che gli permette di esprimersi, agire, secondo la sua natura profonda. L’essere nel mondo si allinea quindi al luogo, alla terra, per agire secondo ciò che lo rende unico, singolare, irrepetibile. Il germe di vita attecchisce alla realtà e canta la sua esistenza portando alla collettività la sua meraviglia, la sua luce, un messaggio di speranza. E lo fa vivendo, attimo dopo attimo.

Non vi è quindi un tempo più sacro, più “dell’anima”, che il presente: il tempo vissuto tra un respiro e l’altro. Il nostro germe di vita è nutrito dalla consapevolezza esperita attimo dopo attimo ed è questo tempo così sfuggevole ma potente allo stesso tempo a costituire il terreno fertile per tutte quelle piccole azioni che l’anima brama per sbocciare nel mondo.

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Bibliografia:

• Carl G. Jung, La Psicologia del Kundalini Yoga. Seminario tenuto nel 1932, Bollati Boringhieri Edizioni, 2004.

Sandra “Eshewa” Saporito
Autrice e operatrice in Discipline Bio-Naturali

www.risorsedellanima.it





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