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Essere Felici per Igor Sibaldi non vuol dire accontentarsi ma avere il coraggio di cambiare

Di Laura De Rosa - 10 Gennaio 2018

Sentiamo continuamente parlare di felicità ma qual è il significato autentico di questa parola? Felicità è sinonimo di contentezza? Secondo lo studioso Igor Sibaldi i due termini non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro sebbene vengano spesso utilizzati come sinonimi. La contentezza presuppone un accontentarsi e, quindi, il rimanere contenuti, soddisfatti di ciò che si è già. Un po’ come quando si dice, “accettati come sei o accettati per quello che sei“, affermazione oggi molto in voga, che forse andrebbe messa in discussione.
Sibaldi sottolinea infatti che la felicità, quella autentica, ci costringe a cambiare e a rompere con il passato: “Una persona è davvero cambiata quando non riesce più a spiegare perché prima si è comportata in un certo modo. Una persona ha veramente smesso di fumare, per esempio, quando non si ricorda più perché fumava. D’altra parte, è un passaggio che fa paura perché se rompi col passato non torni più indietro. E se abbiamo paura della felicità è proprio perché abbiamo paura di rompere i ponti col passato”.

Secondo Sibaldi la filosofia occidentale ha abbandonato la felicità addirittura a fine 700′. Fino ad allora la felicità era argomento di reale interesse perché il mondo cercava condizioni di vita migliori, come gli Ebrei in marcia per la terra Promessa. Nel suo libro, “Il coraggio di essere idiota”, Igor Sibaldi scrive: “Se non c’è ricerca della felicità non c’è storia. Adamo ed Eva non hanno avuto storia finché sono stati contenti. Quando hanno deciso di voler essere felici tutto ha avuto inizio”.
Nell’ambito della letteratura russa dell’Ottocento, Tolstoj e Dostoevskij, sottolinea Sibaldi, sono stati gli autori che hanno cercato più strenuamente la felicità, sebbene in modi diversi, entrambi profondamente convinti che “la felicità si può raggiungere se crolla il mondo“. Nella letteratura contemporanea la ricerca della felicità sembra essere scomparsa perché, secondo lo studioso, siamo sempre più indottrinati dalla logica del pensiero positivo, e quindi dall’idea di doverci accontentare dello status quo in quanto esseri perfetti così come siamo.

Il messaggio di Sibaldi è chiaro: finché l’uomo vive “contento”, quindi sereno, tranquillo, senza problemi, come Adamo ed Eva nel loro Eden, non è felice, ma si accontenta. Quando capisce di voler essere autenticamente felice, inizia a Vivere. La felicità sembrerebbe quindi qualcosa che non garantisce una vita all’insegna del benessere e della tranquillità, ma una vita Vita, con tutto ciò che questa scelta coraggiosa comporta.
Tornando al significato del termine “felicità”, Sibaldi ci spiega che esso deriva dal latino felix, che indica una persona che genera cose nuove perché quello che ha non le basta. Pertanto essere felici non significa “stare bene” o “essere contenti“, sembra piuttosto a che vedere con il cambiamento, strada più articolata e complessa rispetto a quella della contentezza.
Come trovare il coraggio per essere felici nella vita di ogni giorno?
felicità
Ma pensando alla vita di ogni giorno, come possiamo mettere in pratica queste riflessioni per perseguire un’autentica felicità? Innanzitutto smettendo di confondere la felicità con la contentezza, con il vivere bene, e anche con il benessere. Perché non è detto che essere felici significhi avere una vita comoda, rilassata, facile, sicura. Potrebbe essere esattamente il contrario.
Avete mai visto il cartone della Pixar “Wall-E”? L’umanità, in perenne crociera su una flotta di navi spaziali gestite da una grande azienda commerciale che governa il mondo, e che vuole impedire agli uomini di tornare sulla Terra, appare totalmente assoggettata alla logica dello “stare bene”. Pigra, informe, flaccida, si sposta su poltroncine tecnologiche, non dialoga se non attraverso lo schermo di un simil-tablet, nutrita a suon di spot pubblicitari. Talmente abituata alla comodità da non aver abbastanza forza per cambiare e per porsi domande. Vi ricorda qualcosa? Gli umani di Wall-E sono apparentemente felici perché hanno tutto il necessario, e il superfluo, per vivere comodamente e si illudono che nel frattempo, sul pianeta Terra, “qualcuno” sistemi i danni dell’inquinamento, rimanendosene fermi sulle proprie poltrone.
L’umanità di Wall-E ignora il concetto di felicità proposto da Sibaldi confondendola con l’appagamento dei sensi, con la comodità, con il benessere, termine che il dizionario descrive così: “stato di buona salute fisica e psichica, felicità”, e come “prosperità economica, agiatezza: vivere in condizioni di b. || società del b., quella occidentale, caratterizzata da agiatezza collettiva e un elevato reddito pro capite“.
L’umanità di Wall-E riscopre l’autentica felicità quando l’ultimo, e vecchio, robot rimasto sulla Terra, decide di inseguire il suo grande amore, la robot Eve, proveniente dalla nave spaziale avanzata, sconvolgendo gli equilibri del “pianeta” spaziale. E’ grazie ai problemi scatenati dall’arrivo di Wall-E sulla nave che l’uomo pasciuto e pigro, costretto dalle circostanze difficili, si risveglia, comprendendo di essere vittima di un imbroglio e di desiderare ancora la Vita con la V maiuscola, a costo di perdere qualunque comodità.
 
In definitiva quello che dovremmo chiederci ogni giorno è se, in nome della Felicità, e quindi di una vita piena, una vita Vita, saremmo disposti a rinunciare ai nostri agi economici e psicologici, alle nostre certezze, ai nostri punti di vista, alle strade asfaltate da altri, alla nostra stessa mentalità. Siamo disposti a rischiare?

Laura De Rosa

mirabilinto.com

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