La simbologia del Pavone è ricca e complessa: se ne parla nella mitologia greca e in quella romana, nella tradizione cristiana e nel sufismo, dove assume di volta in volta sfumature interessanti.
Simbologia cristiana del Pavone
Per il cristianesimo il pavone è simbolo di resurrezione e vita eterna, probabilmente perché in primavera, dopo aver perso le piume, ne acquisisce di nuove ancora più belle. Sempre in ambito cristiano è simbolo di immortalità perché si diceva che le sue carni, in particolari condizioni, non andassero in putrefazione.
Simbologia alchemica del Pavone
In Alchimia, antica disciplina dedita al perfezionamento spirituale, la coda del pavone simboleggia forse una fase alchemica, ovvero uno dei passaggi necessari per compiere la trasmutazione di se stessi. Secondo alcune interpretazioni i molteplici colori della coda simboleggiano infatti l’Albedo, la fase bianca data dall’unione di tutte le gradazioni luminose. Secondo altre interpretazioni simboleggia invece il fallimento del processo alchemico.
Il mito greco del pavone
Nell’antica Grecia il pavone divenne protagonista di un famoso mito, eccolo narrato di seguito.
La bella e giovane ninfa Io stava rientrando a casa dal padre Inaco quando lo sguardo di Zeus si posò su di lei. Tentò di fuggire correndo nel bosco per nascondersi ma Zeus non ne volle sapere e fece scendere una fitta nebbia, che gli permise di avvicinarla e di farla sua.
Giunone, moglie di Zeus, si insospettì vedendo tutta quella oscurità e così, gelosa, scese sulla terra ed eliminò la nebbia per capire cosa stesse accadendo. Zeus si accorse che la moglie era nei paraggi e per sviarla, tramutò Io in una giovenca. Giunone la vide e volle averla in regalo tanto era bella. Zeus accettò per non insospettirla e Giunone, che in realtà aveva intuito la verità, la affidò ad Argo dai cento occhi, che l’avrebbe custodita con attenzione.
Un giorno la giovenca Io si avvicinò a un fiume specchiandosi nelle sue acque ma vedendosi, si ritrasse intimorita. Vide suo padre e le sue sorelle che purtroppo non la riconobbero. Il padre però le porse dell’erba, lei tracciò con la zampa una scritta sulla polvere in modo da farsi riconoscere. Proprio in quel momento giunse Argo che la trascinò via. Ma Zeus si impietosì per la ragazza e decise di farla liberare da Mercurio.
Quest’ultimo nei panni di un pastore si presentò ad Argo suonando una dolce musica e narrando la storia di Pan e Siringa. Argo si addormentò e Mercurio gli tagliò la testa dai cento occhi. Quando Giunone lo scoprì, si arrabbiò moltissimo e costrinse Io a peregrinare per il mondo finché raggiunse le sponde del Nilo. Qui Io supplicò Zeus di avere pietà. Quest’ultimo riuscì a convincere Giunone a liberarla e Io si trasformò finalmente in una fanciulla.
Giunone raccolse la testa di Argo e per omaggiarlo mise i suoi cento occhi di luce sulla coda della sua creatura sacra, il pavone. Questi occhi simboleggiano le stelle, l’universo, la luna, la volta celeste. I Romani non a caso chiamavano il pavone “uccello di Giunone” e dicevano che accompagnasse le anime delle imperatrici nell’aldilà.
Il pavone per i Sufi
La tradizione Sufi riporta un curioso mito che vede protagonista sia il pavone che il serpente.
Il mito narra che un giovane di nome Adi il Calcolatore partì alla ricerca della conoscenza superiore. Il suo maestro gli suggerì di andare a sud e di cercare il significato del Pavone e del Serpente. Dopo un lungo viaggio Adi giunse in Iraq dove incontrò proprio questi due animali che discutevano dei rispettivi meriti.
Il pavone diceva di essere il più importante e di simboleggiare l’aspirazione, la bellezza celestiale, la conoscenza delle realtà superiori celate all’essere umano comune. Il serpente d’altra parte affermava di simboleggiare le stesse cose e di aiutare l’uomo a ricordarsi di se stesso.
Il pavone non ne era convinto e accusava il serpente di essere pericoloso e dissimulatore, caratteristiche che in effetti gli appartenevano e che erano le sue peculiarità “umane”. Ma il serpente replicò che oltre a quei difetti, aveva anche tante qualità. Inoltre disse al pavone che anche lui era vanitoso, paffuto e con un grido stridulo, zampe grandi e piume eccessive.
Adi dopo aver ascoltato il battibecco, li fermò e disse loro che non avevano totalmente ragione ma che escludendo le loro preoccupazioni personali, insieme rappresentavano un messaggio per l’umanità. Adi affermò che l’uomo assomiglia al serpente nel suo strisciare a terra nonostante sia dotato delle capacità di innalzarsi al cielo come l’uccello. Sono la sua avidità e il suo egoismo a impedirglielo perché quando tenta di elevarsi diventa eccessivamente orgoglioso come il pavone. Il pavone cela le potenzialità dell’uomo non realizzate totalmente mentre la lucentezza del serpente rappresenta la possibilità della bellezza.
Una Voce si aggiunse alle considerazioni di Adi affermando che le due creature sono dotate di vita, un fattore determinante: “Litigano perché ognuna si è accontentata del proprio modo di vita, pensando che costituisse la realizzazione di uno status reale. Tuttavia, una custodisce dei tesori, ma non può attingervi. L’altra riflette la bellezza, che in se stessa è un tesoro, ma non può servirsene per trasformarsi. Benché non abbiano approfittato di ciò che è stato loro offerto, ne sono pur sempre un simbolo, per coloro che sanno vedere e sentire” (tratto da www.sufi.it).
Il pavone per i Sufi, esattamente come il serpente, è quindi un animale prezioso per comprendere la natura umana e superare, se possibile, le proprie meschinità.
Laura De Rosa