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Le preoccupazioni non servono a niente: ecco come affrontarle

Di Cristina Rubano - 21 Marzo 2022

Le preoccupazioni, lo dice l’etimologia stessa della parola, sono attività della mente in cui ci si occupa, o ci si vorrebbe occupare, di un qualcosa “prima” che essa accada… Per questo motivo sono parenti strette del’ansia e possono rivelarsi un vero e proprio cruccio.

“Gran parte della mia vita è stata spesa a preoccuparmi di cose che non sono mai accadute.”

(Mark Twain)

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Cosa significa essere preoccupati?

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Il pensiero previsionale, di cui noi umani siamo dotati in maniera eccellente, è di per sé un tratto adattivo del nostro funzionamento cognitivo. Ci consente infatti di prevedere in anticipo le conseguenze che avrà una nostra azione o quella altrui. Ci consente anche, sulla base dell’esperienza pregressa, di prevedere che cosa potrebbe ragionevolmente accadere in una “situazione tipo” e cosa potrebbe invece andare storto. A livelli ancora più sofisticati, ci mette in condizione di programmare un’azione, fare progetti, elaborare strategie… L’ampiezza dei nostri orizzonti mentali, insomma, deve molto al pensiero previsionale così come la nostra possibilità di sopravvivenza.

Ma c’è un “però”… Quando preoccuparsi è un meccanismo ansioso di natura disfunzionale, non lavora più a nostro vantaggio ma ci rema contro depauperando man mano le nostre energie psichiche e lasciandoci vivere in uno stato di perenne inquietudine. I timori e le attese di una catastrofe o la ricerca infruttuosa di una soluzione non fanno altro che farci girare a vuoto creandoci più problemi e turbamenti di quanti vorremmo risolverne. In questi casi è in qualche modo sensato dire che le preoccupazioni fanno male

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Perché penso sempre al peggio?

L’eccessiva preoccupazione è dunque un problema che non ci aiuta a vivere meglio, né a ripararci da eventuali disgrazie, ma al contrario ci porta sistematicamente a sopravvalutare gli aspetti negativi degli eventi sia passati che potenziali e a sottovalutare le risorse esterne e interne per affrontarli. Se soggiaciamo alle preoccupazioni – è quanto accade ad esempio a coloro che soffrono di un disturbo di ansia generalizzata – queste diventano una modalità che finiamo per adottare indiscriminatamente per affrontare la vita.

Uno degli “ingredienti” cognitivi principali delle preoccupazioni come “stile di vita” è la cosiddetta cognizione perseverativa o overthinking. Si tratta di un meccanismo di ruminazione mentale che porta la persona a ritornare ricorsivamente sempre sugli stessi pensieri negativi senza riuscire né a cambiare punto di vista, né a tranquillizzarsi o a trovare soluzioni. Si tratta di una modalità insana e disfunzionale di utilizzare la propria capacità di pensare (eh sì: alle volte le nostre caratteristiche di “sapiens sapiens” ci si ritorcono contro se non sappiamo utilizzarle). In realtà si tratta paradossalmente di un non-pensiero: la persona infatti continua a ritornare ripetutamente sulle stesse questioni in modo rigido e obbligante (questi pensieri sono cioè avvertiti come ridondanti, disturbanti , invadenti ma nonostante tutto li si mantiene) senza sviluppare una riflessione costruttiva che possa allargare gli orizzonti, modificare il punto di vista, far venire in mente nuove idee… In questi casi l’ansia generalizzata prenderà a pretesto qualunque evento o dettaglio quotidiano per esprimere un tono ansioso di fondo della persona che sembra essere caduta in trappola della propria mente e non poter far altro che prendere al vita con un costante stato di allerta.

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Come affrontare le preoccupazioni?

donna con mani sula testa
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Per affrontare l’ansia e i pensieri disfunzionali che sostengono le preoccupazioni può essere di beneficio la terapia cognitivo comportamentale. Questo approccio lavora specificatamente sulle credenze disfunzionali della persona (le premesse erronee con cui ci approcciamo alla realtà, ad esempio che accadrà inevitabilmente una catastrofe), sulle modalità di pensiero e sulla connessione fra pensieri, emozioni e comportamenti. In modo da restituire alla persona una padronanza più sana e funzionale del proprio approccio al mondo.

Alcune persone, che hanno interesse e capacità di introspezione, potranno beneficiare anche di una terapia di natura più esplorativa psicodinamica ad esempio – che le aiuti a cogliere anche i significati relazionali dei propri sintomi ansiosi alla luce della propri storia di vita e di eventuali conflitti in seno alla propria personalità.

“La preoccupazione è l’interesse che paghiamo sui guai prima che essi arrivino.”

(John Garland Pollard)

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