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Il racconto di un parto sacro: la fusione di rito, natura e femminilità

Di Elena Bernabè - 4 Febbraio 2016

Il parto è l’evento più intenso e sconvolgente della vita di una donna, ti trasforma completamente.

Con la nascita di mio figlio sono rinata anch’io una seconda volta, sono nata come mamma, ma soprattutto ho capito cosa davvero significa essere donna, cosa realmente sia la donna.

Mi ero preparata bene per questo evento, fisicamente, psicologicamente ed emotivamente. Il respiro, lo yoga, il canto, la meditazione, l’ascolto, ma soprattutto la fede. Ero tranquilla, non avevo paura del dolore, sapevo che sarebbe stato intenso ma, sapevo anche già come affrontarlo, anzi meglio seguirlo. Era come se una parte di me, la più antica ed arcaica, già sapesse come partorire, e difatti è stato proprio così. Ho partorito mio figlio ma la sensazione che ho avuto era proprio che non fosse la prima volta, che già sapessi come fare, che il mio corpo è predisposto per farlo.

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La scelta del parto in casa era già nella mia testa prima del concepimento, se mai avessi avuto l’onore di avere un figlio, quello era il modo in cui volevo darlo alla luce, nel modo più dolce e naturale possibile. Inoltre mia sorella Elena svolge parti in casa da diversi anni per cui una certa cultura di base già c’era.

Partorire in casa non mi spaventava, sebbene abito in un luogo molto isolato e ai limiti della distanza per raggiungere l’ospedale. Molti mi prenderanno per pazza o probabilmente irresponsabile, invece per me questa decisione era pregna di significato e di fede, ero sicura che le cose sarebbero andate bene, mi sono affidata completamente, ho aperto il cuore e lasciato che liberasse le sue emozioni perché sapevo che se non lo avessi fatto si sarebbe ritrovato rinchiuso in una gabbia di paure. Non ho trattenuto nulla, ho lasciato andare tutto, me stessa, le mie aspettative ed il mio credo e mi sono affidata con molta tranquillità e serenità alla vita.

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Quella notte la luna era piena, i fastidi al collo dell’utero si erano ravvicinati ed erano più frequenti. Si è rotto il sacco e le contrazioni sono iniziate dopo circa un’ora dalla rottura. Ho avuto dei prodromi intensi e lunghi ed un travaglio molto veloce.

Non voglio raccontare molto di ciò che è successo ma piuttosto di come mi sentivo. Il dolore delle contrazioni era intenso, ma ho sempre cercato di non “affrontarlo”, di non remarci contro, ma di assecondarlo, seguirlo, nel modo che mi era più naturale possibile. Il dolore era un dolore consapevole, cercavo di mantenere sempre la calma, respirare e, per quanto difficile, cercavo di mantenere il corpo rilassato.

Penso che ogni donna debba trovare la propria modalità per assecondare questo dolore; nel mio caso muovermi, camminare, ondeggiare con il bacino o dare un abbraccio a qualcuno mi erano di grande aiuto.

Bisogna sperimentarsi con pazienza, tanta pazienza, bisogna ascoltarsi e ad ogni contrazione seguire il proprio sentire, che sia con canto, massaggi, movimento, silenzio, urla, qualsiasi cosa va bene se si lascia il corpo libero di esprimersi.

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Nel mio travaglio non ho mai esitato o cercato “pause”, e dentro a quel mare in tempesta con la mente non ho mai remato contro ma con le onde che arrivavano. Ricordo ancora quando mia sorella mi diceva che i prodromi erano lunghi perché la pancia era ancora troppo “alta”, il bimbo si doveva abbassare. Ero a 3 cm, di dilatazione, se volevo mi potevo fermare per una pausa oppure fare in modo di continuare ed entrare in travaglio attivandomi di più. Così siamo uscite, sotto la luce della luna piena, mi sono aggrappata ad una pianta, un grande melo antico, e sbattevo i piedi per terra a ritmo del tamburo che Elena stava suonando per me e mentalmente chiamavo mio figlio.

Il segreto è proprio nella mente, non farsi prendere dal panico, non aver paura; ricordo come ero entusiasta quando sono iniziate le contrazioni, ero molto connessa con me stessa, era una sorta di meditazione guidata dalle contrazioni. Il momento in cui arrivava la contrazione arrivavano anche i pensieri ma quando passava c’era il silenzio assoluto e quel dolce stato di profondo smarrimento in una connessione con me stessa, la pace, il paradiso, il silenzio più assoluto… mentre nel dolore vivo e presente della contrazione cercavo di non dar spazio ai pensieri (che sapevo mi avrebbero portato fuori pista) ma di ascoltare completamente, totalmente quel dolore così sacro x me in modo da entrarci dentro per coglierne il messaggio.

Per me è stato così… è stato si doloroso ma più che dolore è proprio un travaglio, un lavoro di corpo, mente e spirito, un lavoro di cuore… e proprio in quell’intensità che chiamiamo dolore sta la meraviglia dell’essere donna, della nascita di una nuova creatura, della vita…

Nella sofferenza non volevo rimanere sola, avevo bisogno di qualcuno lì vicino a me, anche solo una stretta di mano, una parola, un lieve tocco. Lo stravolgimento della sofferenza porta a galla conflitti interiori non risolti; personalmente c’erano momenti in cui ho provato un senso di solitudine che sono riuscita a trasformare grazie alla dolcezza delle mie due ostetriche e delle persone che avevo attorno. Per questo è molto importante avere la possibilità di scegliere le persone che ci stanno accanto in un momento così delicato e profondo della vita della donna, perché quelle persone non ci danno solo un aiuto “fisico” nel partorire, ma ci guidano, ci stanno accanto, soffrono assieme a noi e altrettanto gioiscono assieme a noi, sono in un certo senso anche loro in “travaglio attivo” ed in quel momento diventano una sorta di madre che ci cura, ci rassicura, ci tiene la mano in questo divenire a nostra volta madri.

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In tutto ciò ho sempre sentito che il lavoro lo stavamo facendo in due, io ed il mio piccolo assieme. Sono stata molto connessa con lui in tutto il processo, ho sempre percepito che anche lui stava facendo la sua parte e mi stava aiutando; ogni volta che, mentalmente, gli parlavo o gli chiedevo qualcosa, lui mi rispondeva e mi aiutava. Forse anche per questo è stato veloce.

Amo l’acqua e per questo ho scelto di farlo nascere nella piscina del parto, oltre al fatto che sapevo che l’acqua mi avrebbe aiutata molto. Ero aperta anche ad una nascita “normale” qual’ora avessi sentito che il mio cucciolo voleva nascere così, ma già in gravidanza ho sempre sentito molto il richiamo dell’acqua, sentire il mio corpo immerso e rilassato dentro l’acqua era paradisiaco ed ho percepito che per mio figlio, se ci fossi riuscita, sarebbe stato l’ideale.

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L’acqua non ha diminuito il dolore, anzi, le contrazioni erano più lunghe, ma ha aiutato il mio corpo a rilassarsi di più. Ho sentito l’esigenza di spingere dopo poco che ero entrata ma ho aspettato i tempi giusti per poterlo fare, cercando di non avere fretta, ascoltando i consigli di mia sorella e assecondando molto dolcemente questa sensazione in modo da lasciare tempo ai tessuti di prepararsi per l’espulsione, evitando lacerazioni. Sentivo che tutto il mio corpo era aperto, dai capelli alla punta dei piedi ed anche di più, anche attorno a me tutto era come espanso ed in apertura, la testa del bimbo scendeva e a tratti avevo delle sensazioni piacevoli, assecondavo ogni contrazioni senza forzare le spinte, ma solo “cavalcandole” ed usando la voce per aiutarmi.

Ricordo quando l’ho visto uscire dall’acqua, pieno di vernice, ricordo ancora i suoi occhi aperti che mi hanno guardata, il mio stupore, la mia gioia, il suo profumo, la sua tenerezza, il suo corpicino lungo, i suoi movimenti lenti. Quando è uscito il mio bimbo non ha pianto, è stato bellissimo perché ha emesso un lieve gemito, il suo primo respiro, e poi è andato avanti a guardare me e suo papà, si guardava attorno, e solo dopo un paio di minuti ha iniziato a piangere. Poi non ricordo molto, credo che i livelli alti di ossitocina ed endorfine, la gioia e lo stupore abbiano annebbiato la mia memoria e mi ricordo solo tanta luce.

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Abbiamo poi scelto la nascita Lotus, senza taglio del cordone ombelicale, nel rispetto dei tempi di madre natura. E’ stato tutto meraviglioso e il cordone si è staccato dopo 3 giorni e mezzo dalla sua nascita. Abbiamo aspettato a fargli il primo bagnetto, attendendo appunto il momento in cui il mio cucciolo si sarebbe sentito pronto a staccarsi dalla sua placenta, ed abbiamo scelto di farlo tutti e tre assieme (io, lui e papà), riempiendo nuovamente la piscina dove era nato, accompagnati da una forma di rituale con un bagno di erbe e fiori per onorare e celebrare la vita (si perché quando il cordone si è staccato è stato come se mio figlio fosse nato una seconda volta; ho percepito come se, da quel momento, io e lui non fossimo più una cosa sola, come se fosse realmente nato).

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Abbiamo poi sepolto una parte della sua placenta in un rituale intimo con il suono della tampura indiana di una cara amica e del tamburo di Elena (strumenti che mi avevano accompagnati durante la gravidanza), ringraziandola per il lavoro svolto nei 9 mesi. Ci abbiamo piantato sopra un piccolo melo antico (l’albero che sentivo più affine a mio figlio e per ringraziare l’albero che quella notte mi aveva sostenuta durante i miei sforzi), in modo che, una volta cresciuto, possa produrre buone mele e mio figlio possa, ancora una volta, “nutrirsi” dei frutti della sua placenta; mentre l’altra parte di placenta è stata conservata per fare dei rimedi di cura naturale per il piccolo.
 
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La conclusione del mio parto però va alla fine della quarantena. Quaranta giorni dopo abbiamo preparato l’ultimo rituale, il rituale di chiusura, assieme ad Elena e l’altra ostetrica (anche lei Elena per l’appunto).

Mi hanno lavata con delle erbe e poi mi hanno “chiusa” con il rebozo. E’ un’arte che arriva dal messico, dalle zone indigene. Si usa chiudere il corpo della donna dopo il parto stringendo le parti del suo corpo con un rebozo (apposito tessuto, indumento messicano, simile ad una grande stola), per facilitare la chiusura delle ossa che si sono aperte e distanziate per dare alla luce la creatura. E’ stato un momento molto emozionante e toccante ed è stato proprio in quel momento che ho capito cosa sia realmente una donna, è stato un momento di commozione e risveglio, mi sono sentita parte di un tutto e di una sorellanza tra donne che arriva da tempi molto molto antichi.

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Sono eternamente grata alla vita per questa profonda esperienza di trasformazione del mio essere donna, per avermi concesso di essere madre di questa stupenda creatura, per avermi dato la possibilità di ascoltarmi, capirmi, conoscermi a fondo, e per tutto ciò che mi porta ogni giorno della mia vita.

Il valore di ciò che è stato fatto, nel rispetto dei tempi e della natura, è un tesoro inestimabile per me e per il mio bimbo, un grande dono che auguro ad ogni donna ed ogni creatura in arrivo sulla terra.

Racconto di Giulia Cecchetto

Elena Cecchetto (sorella di Giulia) ed Elena Bisinella sono ostetriche che lavorano presso lo spazio Mamastè (sito www.mamaste.it pagina facebook Mamastè)




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