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Rassegna Etica

Il messaggio che la cicala ci dona con il suo canto

Di Valeria Bonora - 30 Giugno 2016

Chiedo scusa alla favola antica,
se non mi piace l’avara formica.
Io sto dalla parte della cicala
Che il più bel canto non vende, regala.

~ Gianni Rodari ~

Quello della cicala è il canto che proviene dal caldo, o almeno così si diceva una volta, perché questo insetto segnava l’arrivo della stagione della gioia, della vita, la stagione estiva con il suo frinire.

Il canto delle cicale è il richiamo sessuale delle femmine che dopo 24 ore dall’accoppiamento depongono le uova dalle quali escono le larve che passeranno diversi anni interrate (alcune specie arrivano a rimanere interrate anche per 17 anni). Quando le larve raggiungono la maturità ma sono ancora privi di ali, escono in superficie e si adagiano sugli alberi per effettuare la muta, e dopo poche ore prendono il volo.

La cicala spesso rappresenta l’immortalità, probabilmente dovuta al suo canto ininterrotto e così regolare.

La leggenda della Cicala

cicala appoggiata ad un ramoscello

Credit foto
© Pexels

La leggenda narra che la Eos dea dell’aurora, si fosse innamorata del terreno e bellissimo Titone, figlio del re Laomedonte e fratello maggiore del re Priamo di Troia; Eos rapì quest’uomo e chiese a Zeus di renderlo immortale, dal loro amore nacquero due figli di cui uno ucciso da Achille durante l’assedio di Troia. Da quel giorno la dea dell’aurora piange inconsolabilmente il proprio figlio ogni mattina, e le sue lacrime formano la rugiada.

Zeus donò l’immortalità a Titone ma non l’eterna giovinezza, così negli anni egli continuò ad invecchiare, mentre Eos si manteneva giovane. Il corpo dell’uomo prima si indebolì, poi pian piano si rattrappì, contraendosi sempre più nella pelle grinzosa, deposto ormai come un infante in un cesto di vimini.

La vita non lo abbandonava e con essa anche il desiderio di viverla e di cantarne le lodi, tanto che gli dei ebbero pena per qull’uomo e consentirono a Eos di trasformarlo nella cicala, amica eterna dei poeti e delle Muse e animale simbolo della bellezza per gli antichi Greci.

Da allora la cicala canta durante il giorno quando il sole è alto nel cielo e le temperature sono calde, mai si sentì cantare una cicala di notte o in stagioni fredde, canta la sua vita eterna sull’orlo della caduta, come a sancire l’immortalità e la fragilità dell’anima.

La morale di questa storia è legata anche all’amore per la bellezza, infatti Eos non si innamorò di Titone “l’uomo”, ma della bellezza di quel ragazzo che col passare degli anni andava svanendo, nonostante la sua immortalità.

In Cina c’era l’usanza di inserire una cicala di giada nella bocca dei defunti come simbolo dell’immortalità dell’anima.

Anche Platone nel dialogo “Fedro” (dialogo tra Socrate e Fedro) racconta del mito della cicala:

“…E inoltre mi sembra che in questa soffocante calura le cicale, sopra le nostre
teste, cantando e discorrendo tra di loro guardino anche noi. Se,
allora, vedessero che anche noi due, come la maggior parte della
gente nel mezzogiorno, non discorriamo, ma sonnecchiamo e ci
lasciamo incantare da loro per pigrizia del nostro pensiero, ci
deriderebbero giustamente considerandoci degli schiavi venuti da
loro per dormire in questo rifugio, come delle pecore che
trascorrono il pomeriggio presso una fonte. Invece, se ci vedono
discorrere e navigare, passando davanti alle Sirene non ammaliati,
forse ci ammireranno e ci daranno quel dono che gli dei possono
fare agli uomini ….

Si dice che le cicale un tempo fossero uomini, di quelli che
vissero prima che nascessero le Muse. Ma una volta che nacquero le
Muse e comparve il canto, alcuni degli uomini di quel tempo, furono
colpiti dal piacere al tal punto che, continuando a cantare,
trascuravano cibi e bevande, e senza accorgersene morivano. Da loro
nacque, in seguito a questo, la stirpe delle cicale, che dalle Muse
ricevette il dono di non aver bisogno di cibo fin dalla nascita, ma
di cominciare subito a cantare senza cibo e senza bevanda, e
così fino alla morte e, dopo, di andare dalle Muse ad
annunciare chi degli uomini di quaggiù le onori e quale di
loro onori… Alla più anziana, Calliope, e a quella che
viene dopo di lei, Urania, portano notizia di quelli che
trascorrono la vita nella filosofia e rendono onore alla musica che
è loro propria. Sono queste che, più di tutte le
Muse, avendo cura del cielo e dei discorsi divini ed umani, mandano
un bellissimo suono di voce.
Dunque, per molte ragioni, nel mezzogiorno bisogna parlare e non
dormire.”

Questo mito insegna a non lasciarsi incantare dalle belle parole, ma di affrontare in modo vigile, critico, accettando o rifiutando non in base al nome, spesso famoso, che l’ha scritta, bensì al suo effettivo valore o a quello che può trasmettere per arricchire il lettore.

Legata alla cicala c’è anche una bellissima storiella che insegna ai bambini che è importante lavorare e non solo cantare, gioire e trascorrere il tempo oziando.

La Cicala e La Formica

In una calda estate, un’allegra cicala cantava sul ramo di un albero, mentre sotto di lei una lunga fila di formiche faticava per trasportare chicchi di grano.

Fra una pausa e l’altra del canto, la cicala si rivolge alle formiche: “Ma perché lavorate tanto, venite qui all’ombra a ripararvi dal sole, potremo cantare insieme!
Ma le formiche, instancabili, senza fermarsi continuavano il loro lavoro…
Non possiamo! Dobbiamo preparare le provviste per l’inverno! Quando verrà il freddo e la neve coprirà la terra, non troveremo più niente da mangiare e solo se avremo le dispense piene potremo sopravvivere!
L’estate è ancora lunga e c’è tempo per fare provviste prima che arrivi l’inverno!
Io preferisco cantare! Con questo sole e questo caldo è impossibile lavorare!
Per tutta l’estate la cicala continuò a cantare e le formiche a lavorare.
Ma i giorni passavano veloci, poi le settimane e i mesi. Arrivò l’autunno e gli alberi cominciarono a perdere le foglie e la cicala scese dall’albero ormai spoglio. Anche l’erba diventava sempre più gialla e rada. Una mattina la cicala si svegliò tutta infreddolita, mentre i campi erano coperti dalla prima brina.
Il gelo bruciò il verde delle ultime foglie: era arrivato l’inverno. La cicala cominciò a vagare cibandosi di qualche gambo rinsecchito che spuntava ancora dal terreno duro e gelato. Venne la neve e la cicala non trovò più niente da mangiare: affamata e tremante di freddo, pensava con rimpianto al caldo e ai canti dell’estate.
Una sera vide una lucina lontana e si avvicinò affondando nella neve: “Aprite! Aprite, per favore! Sto morendo di fame! Datemi qualcosa da mangiare!” La finestra si aprì e la formica si affacciò: “Chi è? Chi è che bussa?

Sono io, la cicala! Ho fame, freddo e sono senza casa!

La cicala?! Ah! Mi ricordo di te! Cosa hai fatto durante l’estate, mentre noi faticavamo per prepararci all’inverno?
Io? Cantavo e riempivo del mio canto cielo e terra!

Hai cantato?” replicò la formica, “Adesso balla!

La cicala è il simbolo della bellezza, del canto, dell’immortalità e dell’ispirazione ma anche dell’ozio e della spensieratezza riguardo alle cose fondamentali della vita.

Valeria Bonora
Guarda il mondo attraverso i miei occhi





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