Il serpente è un animale ambiguo, inafferrabile nella forza della sua carica simbolica. Striscia nei meandri delle nostre paure, a contatto con quella parte di noi che ci affascina tanto quanto facciamo fatica ad affrontare. Il serpente contiene in sé il principio della dualità e per questo si fa metonimia di una valenza negativa e di una positiva.
Nella cultura di stampo cristiano-cattolico, l’idea del serpente come creatura maligna ha origine nelle sacre scritture. Il serpente è il tentatore, colui che incarna la malvagità del diavolo che vuole macchiare per sempre la purezza di Adamo ed Eva condannandoli ad un’esistenza al di fuori del paradiso dell’Eden. Un’esclusione che non riguarda il semplice luogo fisico ma che rappresenta in senso più profondo la condizione di esclusione da una pace, una beatitudine che sembra non poter essere raggiunta sulla terra.
E’ l’animale che viene maledetto da Dio, privato delle zampe e obbligato a strisciare e mangiare la polvere per il resto della sua esistenza. Strisciando sulla terra è stato considerato un’entità subdola, meschina. Il serpente è il colpevole, il male che arriva per deviare il corso degli eventi ed allontanarci per sempre dalla felicità. L’idea di peccato è fortemente connessa al richiamo sessuale dell’animale, simbolo fallico a cui la donna deve sfuggire a causa di un ostentato pudore che sminuisce il potere del serpente come forza vitale primordiale. Questo animale è associato ad una seduzione e ad una sensualità che vengono considerate immorali poiché riassumono al loro interno sfumature di perversione, un piacere tanto intenso da dover essere letale. Il serpente è associato quindi alla morte perché il suo veleno può, in prima lettura, uccidere, “togliere la vita”.
Allo stesso tempo, però, il serpente assume il connotato contrario di simbolo di guarigione e di conoscenza medica: il veleno cura ed il bastone di Esculapio, bastone alato con un serpente, è il simbolo della medicina stessa, quindi della possibilità di vivere, rinascere, salvarsi dalle malattie. Per questo, il serpente è un animale augurale: l’ofiomanzia (divinazione attraverso i serpenti) era una tecnica conosciuta già ai tempi degli antichi egizi. Interpretato in molteplici oracoli, come per esempio quello di Delfi in Grecia, assumeva un ruolo sacro non solo per l’interpretazione degli eventi ma era amuleto vivente per la fertilità; attraverso una tipologia di prosperità differente, diventava invece simbolo di ricchezza presso la cultura Inca.
Il serpente nelle sue molteplici rappresentazioni assume anche la forma dell’Ouroboros, il serpente che si morde la coda, allegoria del ciclo della vita, dell’eterno vita-morte-vita, il perpetuo ritorno, come possibilità quindi di auto-rigenerazione. Non è un caso che il serpente sia l’animale che cambia muta, cambia pelle. Trasportato nella concezione “umana”, si cambia pelle quando accade, più o meno volontariamente, una fase di trasformazione profonda e irreversibile. Cambiare pelle implica liberarsi da tutto ciò che nella vita arriva ad essere superfluo, tutto ciò che, per andare avanti, deve essere lasciato indietro.
Il significato nascosto negli occhi impenetrabili di un serpente racconta la genesi della nostra energia più profonda, connessa alla profondità della terra su cui striscia, in cui trova riparo, sostegno ed una ricarica di energia sempre nuova. Non, come ha voluto un Dio sicuramente male interpretato, mangiandone la polvere. Il contatto del corpo del serpente con la terra, è da intendersi come radicamento, centratura, capacità di stare nel mondo attingendo dalla sua energia per dissetare la propria nel momento in cui preoccupazioni e pensieri rendono aridi.
Nella tradizione indiana Kundalini, infatti, il serpente assume un significato positivo. Il serpente Ananta è il giaciglio di Vishnu e quindi rappresentazione simbolica di una colonna portante del mondo in perfetto equilibrio, che sostiene, dando direzione e forza. Esso diventa un emblema della vita che dalla base della colonna vertebrale si srotola attraverso i 7 chakra, i 7 centri di energia principale presenti nel corpo fino all’espansione dell’anima e della conoscenza dei meccanismi dell’esistenza.
Aver paura dei serpenti è interessante ed emblematico perché può essere una repulsione nei confronti di una sessualità che si ha paura di vivere, soffocando un impulso che potrebbe sembrare impuro, ragione o conseguenza di un male a cui non sarebbe conforme cedere. Oppure, questa paura può significare una certa resistenza al cambiamento, alla possibilità di abbracciare un cambio-pelle che è un cambio-vita a favore di una maggiore consapevolezza, un rischio che ci si può assumere solo spogliandosi dei preconcetti su ciò che è comunemente e terribilmente considerato giusto o sbagliato, bene o male, una dicotomia inutile se in sé stessa ogni cosa le racchiude entrambe.
Se si osserva al significato del serpente dopo aver dato un’occhiata alla molteplicità di sfaccettature contenute in un simbolo, alla ricchezza della duplicità intrinseca allo stesso essere, può venir meno quel senso di paura ben generalizzato e in parte giustificabile riguardo la pericolosità di questa classe animale incredibilmente potente. Timore e devozione per questa creatura che seppur rischiosa dà all’uomo la possibilità di ragionare sull’equilibrio fra le specie umana e animale e in particolar modo di interrogarsi su quali siano le leggi che dominano i nostri pensieri razionali, indotti dalla società e soprattutto dai preconcetti delle religioni degli uomini.
Chiara Pasin