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Perché NON si Deve Costringere i Bambini a Condividere

Di Valeria Bonora - 26 Novembre 2015

Se siete genitori potete intuire il tono provocatorio del titolo di questo articolo, ma così non vuol essere, ci hanno sempre insegnato che è giusto giocare insieme e condividere i giochi, spesso cedendo ai capricci di qualche altro coetaneo, ma questo non è giusto ed ora vi spiego il perchè.

bambini

Per quanti giochi ci possano essere a disposizione, in un gruppo di bambini in età prescolare, è facile notare come tutti vogliano lo stesso gioco allo stesso momento e spesso si crea il caos, e allora interviene l’insegnante o il genitore che spiega che è giusto condividere i giochi con gli altri bimbi e quindi chi stava giocando viene messo nella condizione di cedere il gioco suo malgrado.

Ma c’è un nuovo movimento che scoraggia i genitori ad insegnare ai loro figli a condividere, e sta prendendo piede anche nelle scuole.

La dottoressa Laura Markham, autrice del libro “Peaceful Parent, Happy Siblings“, spiega:

Forzare i bambini a condividere non insegna la lezione che vogliamo far loro imparare. Siamo d’accordo che l’obiettivo per i nostri figli è quello di crescere come persone generose che sono in grado di notare e rispondere ai bisogni degli altri.” Ma in contesti educativi precoci, i bambini stanno imparando a essere in grado di soddisfare i propri bisogni, che, a questo punto della loro vita, comprende anche il lavorare e giocare nelle loro comunità. “Non vogliamo che i nostri figli si sentano in dovere di interrompere quello che stanno facendo per ‘dare’ qualcosa a un altro bambino solo perché l’altro bambino lo vuole“.

condivisione

Secondo la dottoressa Markham, piuttosto che insegnare ai bambini a gestire se stessi, la condivisione forzata insegna loro che:

• Se piango abbastanza forte, ottengo ciò che voglio, anche se ce l’ha qualcun altro.

• I genitori hanno il compito di gestire chi ottiene l’oggetto e quando, ed è arbitrario, a seconda del loro capriccio e in base a quanto drammaticamente supplico perché sia il mio turno.

• Io e mio fratello siamo in costante competizione per ottenere quello che ci serve. Lui non mi piace.

• Credo di essere una persona avida, ma questo è quello che devo essere per ottenere quello che mi merito.

• E’ meglio se gioco velocemente perchè non avrò questo gioco per il tempo che desidero.

• Ho vinto! Ma presto perderò di nuovo. Dovrò protestare di più ad alta voce quando sarà finito il mio turno, fino a ottenere ancora qualche minuto col gioco. E poi iniziare a protestare di nuovo, non appena è il turno di mio fratello. Se rendo la mamma infelice avrò più tempo con il giocattolo.

Non sono esattamente queste le cose che vorremmo imparassero i nostri bambini giusto? Ma la dottoressa Markham viene in aiuto e consiglia come fare, devono essere dati gli strumenti per gestire queste situazioni: “Noi vogliamo che sia il nostro bambino a notare quando un altro bambino vorrebbe giocare con qualcosa che ha lui, e che il bambino decida da solo di condividere. Allo stesso modo quando qualcuno ha qualcosa che il nostro bambino vorrebbe, vorremmo che lui fosse in grado di controllare i suoi impulsi in modo da non afferrare o togliere il gioco dalle mani, ma invece di usare le sue parole per elaborare un accordo in modo da poter usare l’oggetto in futuro.”

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Insegnando ai bambini di difendere il proprio diritto al gioco e non di condividere immediatamente i loro giocattoli, loro non si aspetteranno qualcuno che gli dica che il gioco è finito, e quindi potranno giocare più liberamente: “L’approccio convenzionale di condivisione forzata mina la capacità dei bambini di perdersi nel gioco, così come potrebbe minare il rapporto con gli altri creando una costante concorrenza. In questo modo il bambino riesce a sperimentare la generosità del dare agli altri.”

La dottoressa Markham spiega che è importante “Incoraggiare dei turni di gioco autoregolati, in cui il bambino decide per quanto tempo utilizzare il giocattolo in modo che possa goderne appieno, e quindi potrà donarlo all’altro bambino con un cuore aperto” in questo modo si aiuterà il bambino a sperimentare la sensazione di soddisfazione che deriva dal fare felice qualcuno, e da qui deriva l’insegnamento della generosità. Inoltre così verrà allenata anche l’importantissima arte della pazienza.

A sua volta, lei crede che sia più educativo insegnare ai bambini queste cose:

• Posso chiedere quello che voglio, a volte lo ottengo subito, a volte devo aspettare.

Va bene a piangere, ma non significa che avrò il giocattolo.

• Non so quello che voglio, ma voglio qualcosa di meglio. Il mio genitore capisce sempre e mi aiuta quando sono sconvolto.

• Dopo aver pianto, mi sento meglio.

• Posso usare un altro giocattolo e divertirmi ugualmente. Sto migliorando il tempo dell’attesa.

• Non devo piagnucolare e piangere per convincere i miei genitori a farmi un giro con quel gioco. Ognuno deve aspettare il proprio turno, e a tutti toccherà prima o poi.

• Mi piace la sensazione quando mio fratello mi dà il giocattolo. Lui mi piace.

• Posso usare un giocattolo per tutto il tempo che voglio; nessuno me lo farà dare a mio fratello quando sto giocando. Quando ho finito con il giocattolo e lo dò al mio fratello, mi sento bene dentro, mi piace cambiare gioco. Sono una persona generosa.

Il risultato finale è un bambino che impara che la pazienza ed empatia possono essere in grado di gestire meglio le situazioni, e sapranno farlo anche in futuro quando saranno più grandi.

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Cerchiamo di insegnare loro come ottenere le cose che vogliono attraverso la diligenza, pazienza e duro lavoro e non attraverso la dispotica trappola del pianto e del capriccio, e allo stesso tempo rendiamoli sicuri di sé e diamo loro il tempo necessario al gioco che hanno scelto, saranno loro stessi a condividere quando avranno finito.

Valeria Bonora.





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