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Educazione

Il bambino gioca non per divertirsi ma per diventare grande

Di Sarah Catalano - 11 Gennaio 2015

Si è appena concluso il periodo natalizio; tanti hanno vissuto un’atmosfera frizzante, carica di attesa e aspettative, spesso addirittura snervante, cercando la quadra tra scarse economie, tempi stretti e lunghe liste dei desideri, talvolta anche non del tutto realizzabili.
Per i bambini, sempre più spesso si va in cerca di giocattoli all’ultima moda proposti in ogni dove da battenti campagne pubblicitarie.
L’adulto si domanda se sarà giusto il tal personaggio o forse quell’altro, tra famiglie di maialini e combattenti di ogni sorta; se il giocattolo e i colori sono più adatti ad un maschio piuttosto che ad una femmina; se sarà qualcosa che il bambino ancora non ha ricevuto; se abbia tutte le caratteristiche e i dettagli richiesti o meno…

Ma quante volte ci si chiede: sarà davvero questo ciò che più profondamente desiderano i bambini (non solo i nostri) e ciò di cui hanno più bisogno? E soprattutto, è sempre e solo qualcosa di materiale che li può rendere felici?

Immagine by Sarah Catalano

Immagine by Sarah Catalano


Ripensando alla nostra infanzia, forse qualcuno di noi potrà ricordare come dono di felicità una bella passeggiata in montagna piuttosto che un coro o uno spettacolo natalizio con la famiglia al completo, una scatola di golosi biscotti e dolcetti fatti in casa, magari accompagnati da frutta secca e agrumi, un maglioncino confezionato con amore e pazienza dalla nonna, la gioia di scartare i regali sotto l’albero dopo aver tentato per giorni d’immaginare cosa potesse esserci dentro…
Per anni questo sentire mi ha accompagnata ed è cresciuto con me per poi abbandonarmi, come spesso capita, durante l’adolescenza, e tornare forte e vero sette anni fa, proprio in corrispondenza degli ultimi mesi della mia gravidanza, quando l’eco dell’attesa della Nascita era più che mai vivo dentro di me.

L’anno successivo, diventata neomamma, l’Avvento è stato il periodo dell’anno che più di tutti in modo profondo, amorevole e silenzioso mi ha suggerito la necessità per mia figlia (e per tutta la famiglia) di trovare un tempo e un modo speciale di vivere questo momento e non solo, lontano da quanto normalmente la società propone e che così poco mi convinceva.

Chiunque abbia in qualche modo a che fare con i bambini pensa immediatamente a gioco e giocattoli; oggi purtroppo però, soprattutto nella società consumistica, si stanno sempre più perdendo i valori di riferimento e le necessità più importanti, anche in questo mondo delicato.

Il bambino gioca perché è solo in questo modo che può conoscere e fare esperienza vera e interiorizzata del mondo, non per impegnare il tempo libero da altre occupazioni come penserebbe di fare per sé un adulto. Non lo fa per “divertirsi” (dal latino “de-vertere” ovvero spostare l’attenzione su qualcos’altro, deviare, altrove), perché anzi è proprio lì in ciò che sta facendo che vuole restare, anche per ore a volte.

Immagine by Sarah Catalano

Immagine by Sarah Catalano

Nemmeno per gratificare chi ha acquistato il giocattolo, come spesso viene chiesto di fare dopo che alcuni oggetti, se inadatti e subito sfruttati al massimo delle già poche potenzialità, vengono impietosamente abbandonati.

Il gioco prepara all’età adulta, cresce il bambino che prova cosa significhi portare a termine un lavoro da soli da cima a fondo.
Per fare questo i bambini hanno bisogno di usare la loro fantasia e di poterla esprimere: quanto più questo è loro impedito, anche attraverso giocattoli troppo definiti nella forma e negli scopi, quanto più si creeranno in lui i desideri materiali più difficilmente realizzabili.

Al bambino basta poco, sin dai primi giorni di vita, per giocare: comincia dalle sue mani e piedini che si muovono nell’aria tentando di afferrare, poi morbide stoffe e qualsiasi oggetto di materiali naturali o comunque per lui innocui da mettere in bocca per conoscere, battere in giro e lanciare per sperimentarne le sue qualità (altro che documentari di fisica!); più avanti, pezzetti di legno dalle forme più strane da tentare di impilare o utilizzare ogni volta come imitazione di un oggetto diverso, un cucchiaio e una ciotola o un pentolino che suonano e che servono ad imitare la mamma o la nonna che cucinano per lui quotidianamente. E poi teli e strani cappelli o accessori per travestirsi e creare ambientazioni, carta e pastelli a cera e cera da modellare per dare lo spazio anche ai suoi mondi interiori più nascosti; e via via che cresce, ago e filo per provare a cucire, filo di lana da intrecciare, qualche attrezzo vero per provare ad aiutare il papà nelle piccole riparazioni domestiche e così via.

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Immagine by Paola Lanza


Un bambino che durante l’infanzia ha ricevuto stimoli adatti per la sua fantasia e attraverso il gioco ha potuto svilupparla sarà più facilmente un adulto capace di affrontare e risolvere con creatività i più diversi problemi, che si approccia al mondo e al suo prossimo con gioia, interesse e partecipazione.

Appena impara a fare cose nuove, il bambino subito fa esperimenti e si pone compiti sempre più difficili per scoprire e superare i suoi limiti: migliorarsi gli è connaturato. L’adulto che gli sta vicino ha il delicatissimo compito di accompagnarlo senza interferire in questo, a meno che si tratti realmente di un possibile grave pericolo e non della proiezione di una propria paura o gusto personale, fornendo spazi e ambienti adeguati nelle misure, nei colori, nei suoni e in tutti gli stimoli variabili rispetto all’età del bambino.

Le abilità si acquisiscono completamente (e non solo cognitivamente) grazie alla ripetizione ritmica di attività quotidiane concerete collegate con la vita stessa, non dissociate in giochi didattici fini a se stessi, offerte da adulti responsabili che gli offrano gesti esteriori e interiori sani da imitare, giacché questa è la modalità principale di apprendimento del bambino piccolo.

Tra i 5 e i 6 anni, il bambino s’interessa già profondamente del senso delle azioni compiute ed elabora progetti di gioco, insieme ad altri bimbi, rielaborando le esperienze di vita con cui viene a contatto. Se impariamo a lasciar fare, col gioco abbiamo anche un preziosissimo dono spontaneo per capire cosa ama e cosa turba il nostro bambino, seguendo il suo sviluppo.

Bimba che fa i pasticcini con la terra, l'erba e il muschio. Immagine by Sarah Catalano

Bimba che fa i pasticcini con la terra, l’erba e il muschio. Immagine by Sarah Catalano

Dopo i 7 anni, molte forze, prima totalmente impegnate a creare il corpo fisico, si liberano e si possono rivolgere verso creatività e interesse per le regole del mondo, che spesso trovano spazio anche nel gioco.

Tra i 9 e i 10 anni, comincia a formarsi la prima visione del mondo: pertanto il gioco diventa costruire macchine e disegnare macchine, sezioni di fabbriche,…

Talvolta il bambino non sa cosa fare o non vuole giocare, agitandosi insoddisfatto e gironzolando per casa alla ricerca delle cause del suo disagio nell’ambiente e nelle persone circostanti: la noia è un momento importantissimo da lasciar vivere anch’esso al bambino, soprattutto se già ha molti impegni nella sua giornata. Grazie alla sua propria fantasia, riuscirà prima o poi a far ripartire la volontà e la gioia di vivere, se il comportamento degli adulti che sono con lui è opportuna fonte di ispirazione, serena, gioiosa e attiva.

Sarah Catalano
sarah@mammafatata.it
www.mammafatata.it


Riferimenti bibliografici: “Bambini e Bambole – Compagni di Gioco fatti in casa” – Karin Neuschütz – Filadelfia Editori





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