Educazione

"Se non capisci è colpa mia": quando l'insegnante educa con le parole

Di Elena Bernabè - 15 Settembre 2021

Ci sono parole in grado di stravolgere il modo di pensare, di alleggerire, di far aprire il cuore. Quando un insegnante rivolgendosi ai suoi alunni dice: “se non capite chiedetemi anche mille volte perché vuol dire che non sono riuscito a spiegare bene: non siete voi ad essere incapaci di apprendere ma io che non sono stato in grado di trasmettervi nel modo adeguato la lezione“, compie un meraviglioso atto educativo.

Se non imparo nel modo in cui tu insegni, insegnami nel modo in cui imparo.
(Anonimo)

L’insegnante che crede a questo modo di insegnare, che lo mette in atto ogni giorno e che lo ricorda ai suoi alunni è un adulto che non scarica l’incomprensione sugli scolari ma si mette in gioco in prima persona per riuscire ad arrivare al mondo interiore di ognuno di loro.

Con queste semplici ma rivoluzionarie parole tocca il cuore di chi lo ascolta, mette le basi di un rapporto autentico di fiducia, fa capire che l’insegnamento è un incontrarsi, un capirsi, un arricchirsi a vicenda. Aiuta l’alunno a non definirsi e sentirsi incapace, ad essere parte attiva nella costruzione della lezione.

Insegnare è toccare una vita per sempre
(Anonimo)

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Le parole che educano

bambina appoggiata adl banco

Credit foto
© Pexels

L’educazione giunge principalmente attraverso due vie: l’esempio e le parole. Ecco perché il maestro e l’adulto in generale sono chiamati ad autoeducarsi ogni giorno per poter essere delle guide sane e costruttive per il fanciullo.

Con il termine “esempio” non s’intende l’apparire secondo regole consone e adeguate solo in quella determinata situazione ma essere costantemente e autenticamente un adulto in grado di guardarsi dentro, di mettersi in gioco, di osservarsi. Solo questo esempio autentico giunge al cuore del bambino e del ragazzo e lo nutre.

Le parole di un maestro hanno poi il potere di influenzare il mondo interiore dell’alunno, sono in grado di costruire o di distruggere ed ogni insegnante dovrebbe essere ben consapevole di questo immenso potere ed utilizzarlo con grande saggezza e fermezza.

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Questi due pilastri dell’educazione possono di per sé già bastare per creare un insegnamento di altissima qualità dove i cuori vengono toccati, le anime nutrite e la mente risvegliata.

Forse è questo insegnare: fare in modo che a ogni lezione scocchi l’ora del risveglio.
(Daniel Pennac)

Il compito dell’insegnante: una missione dell’anima

Essere insegnante è un lavoro tra i più meravigliosi che porta l’adulto a crescere insieme ai suoi alunni. Come tutti noi ben sappiamo crescere però non è facile: vuol dire toccare le parti più buie di noi ed integrarle, riuscire a guardare in faccia le nostre paure, sgretolare credenze, avere il coraggio di cambiare strada. Se in altre tipologie di lavoro si può fuggire a questa crescita l’insegnante non può farlo perché non vi è solo la sua vita in gioco ma anche quella dei bambini che gli sono stati affidati. Ciò che egli non affronta lo ritrova nell’alunno che gli fa da specchio e lo invita a ritornare dentro se stesso.

Dedicarsi all’insegnamento è una missione dell’anima per chi ha il coraggio di tuffarsi nella propria interiorità, per chi riesce a navigare anche in acque spesso turbolenti e non vuole tornare a riva troppo presto, senza prima essere riuscito a trovare il tesoro che proprio quella burrasca è giunta a portargli.

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In questa ottica l’insegnante è ben consapevole che il maestro vero in realtà è l’alunno che ha di fronte, con la sua sacra individualità e con la sua indole unica ed irripetibile. E che lui è lì per bussare alla porta interiore del bambino o del ragazzo per poter entrare con rispetto nel suo mondo interiore, non per cambiarlo ma per aiutarlo a sbocciare.

L’insegnante che è davvero saggio non ti offre di entrare nella casa della sua saggezza, ma piuttosto ti conduce alla soglia della tua mente.
(Kahlil Gibran)

Elena Bernabè





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