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Acque italiane ricche di pesticidi: il Rapporto dell'Ispra

Di Marco Grilli - 18 Maggio 2016

Le risorse idriche italiane sono sempre più avvelenate. Tale conclusione emerge dall’edizione 2016 del Rapporto nazionale pesticidi nelle acque, elaborato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) con i dati relativi al biennio 2013-2014.

Questo prezioso lavoro, che contiene i risultati del monitoraggio delle acque interne superficiali e sotterranee, mira a rilevare gli eventuali effetti derivanti dall’uso dei pesticidi, non previsti nella fase di autorizzazione e non adeguatamente controllati in quella di utilizzo. Un’attività molto complessa in cui sono coinvolte le Regioni e le Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, chiamate a effettuare le indagini sul territorio e a comunicare i dati all’Ispra, a cui spetta il compito di indirizzo tecnico-scientifico e valutazione delle informazioni. Oltre a fornire i dati statistici sulla presenza di pesticidi nelle acque, il Rapporto esamina l’evoluzione e le situazioni più critiche di contaminazione, esplora la presenza di concentrazioni di sostanze nei campioni (fenomeno di poliesposizione), tratta in breve lo sviluppo storico di fitosanitari e biocidi, e infine illustra il rischio di esposizione dell’uomo attraverso la contaminazione ambientale.

Concepiti per combattere organismi ritenuti dannosi, una volta utilizzati i pesticidi migrano e lasciano residui nell’ambiente e nei prodotti agricoli, con un rischio immediato e nel lungo termine per l’uomo e gli ecosistemi. Il loro monitoraggio nelle acque è reso complesso dal grande numero di sostanze utilizzate e dall’estensione delle aree in questione. Basti pensare che in Italia ogni anno si utilizzano in agricoltura circa 130mila tonnellate di prodotti fitosanitari, che contengono circa 400 sostanze diverse. Tutto questo senza contare i biocidi, per i quali mancano ancora informazioni adeguate sulle quantità, gli scenari d’uso e la distribuzione geografica delle sorgenti.

Nel biennio 2013-2014 l’Ispra è riuscita ad analizzare 29.220 campioni per un totale di 1.351.718 misure analitiche. Cifre in crescita rispetto agli anni precedenti, che riflettono però una copertura del territorio nazionale ancora largamente incompleta, soprattutto per quanto riguarda le regioni centro-meridionali (Molise e Calabria non hanno inviato alcun dato) e le acque sotterranee. Il risultato complessivo dell’analisi indica un’ampia diffusione della contaminazione, poiché i pesticidi sono stati trovati nel 63,9% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali (rispetto al 56,9% del 2012) e nel 31,7% di quelli delle acque sotterranee (31% nel 2012).

In alcune regioni la contaminazione supera il dato nazionale, riguardando oltre il 70% dei punti delle acque superficiali in Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, con punte del 90% in Toscana e del 95% in Umbria. Spostando l’ottica alle risorse idriche sotterranee, le situazioni più critiche si registrano in Sicilia, Friuli e Lombardia, dove l’inquinamento interessa rispettivamente il 76, il 68,5 e il 50% dei punti monitorati. Nel complesso sono state rintracciate 224 sostanze diverse: un numero in netta crescita rispetto a quello del 2012 (175), che testimonia la maggiore efficacia complessiva delle indagini. I più rilevati sono gli erbicidi, utilizzati direttamente sul suolo, ma in netto aumento sono anche i fungicidi e gli insetticidi. Dal punto di vista territoriale l’area più contaminata risulta la pianura padano-veneta, anche se tali risultati dipendono dal fatto che le indagini sono più rappresentative nelle cinque regioni dell’area in questione, dove si concentrano poco meno del 60% dei punti di monitoraggio dell’intera area nazionale.

Come rilevato dall’Ispra, la presenza di pesticidi nelle acque pone la questione delle possibili ripercussioni negative sull’uomo e sull’ambiente. Indicazioni sulle possibilità di effetti avversi si ricavano dal confronto delle concentrazioni misurate con i limiti stabiliti dalle norme. Ebbene, il 21,3% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e il 6,9% di quelli delle acque sotterranee hanno rivelato concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali. Tra le sostanze che hanno oltrepassato tali valori si ritrovano molti neonicotinoidi, considerati una minaccia per la biodiversità e la sopravvivenza delle api, nonché l’erbicida glifosate, noto alle cronache quale sospetto cancerogeno.

L’evoluzione della contaminazione è stata esaminata usando gli indicatori del Piano di azione nazionale (Pan) per l’uso sostenibile dei pesticidi. La frequenza complessiva di quest’ultimi, riferita ai punti di monitoraggio, indica un aumento progressivo della diffusione territoriale della contaminazione nel periodo dal 2003 al 2014, con una correlazione diretta all’estensione della rete e al numero delle sostanze cercate. Nella acque superficiali i punti contaminati sono aumentati del 20%, in quelle sotterranee del 10%. Questa evoluzione si spiega non solo con il miglioramento dei monitoraggi, ma anche con la lentezza delle dinamiche idrogeologiche (specialmente per le acque sotterranee) e la persistenza di certe sostanze, che rendono difficilmente reversibili i fenomeni di contaminazione ambientale.

A fronte di una sensibile diminuzione delle vendite di prodotti fitosanitari nel periodo 2001-2014 (da 147.771 a 129.977 tonnellate/anno), nel biennio di riferimento del Rapporto sono aumentate le miscele di sostanze nelle acque, con un numero medio di quattro fino a un massimo di 48 per un singolo campione. «La tossicità di una miscela è sempre più alta di quella del suo componente più tossico. Si deve, pertanto, tenere conto che l’uomo e gli altri organismi sono spesso esposti a miscele di sostanze chimiche, di cui a priori non si conosce la composizione, e che lo schema di valutazione basato sulla singola sostanza non è adeguato. È necessario prendere atto di queste evidenze, confermate a livello mondiale, con un approccio più cautelativo in fase di autorizzazione», avverte l’Ispra.

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Negli oltre dieci anni di monitoraggio svolto vi è stato sicuramente un incremento della copertura territoriale e della rappresentatività delle indagini, tuttavia restano alcuni limiti, quali la forte disomogeneità tra le regioni del contro-nord e quelle del sud, nonché il mancato aggiornamento delle nuove sostanze immesse nel mercato. Circa 100 di quelle attualmente in uso non sono infatti incluse nei programmi di monitoraggio, pur rilevandosi pericolose per l’uomo e l’ambiente. Si nota dunque uno sfasamento tra lo sforzo di ricerca, concentrato prevalentemente su alcuni erbicidi e sui loro principali metaboliti, e le sostanze più frequenti nelle acque, gran parte delle quali non figurano tra le più cercate. Di qui la necessità di inserire nei protocolli regionali quelle responsabili del maggior numero di casi di non conformità, quali glifosate e AMPA, imidacloprid, metolaclor-esa, triadimenol e oxadixil. Oltre a ciò deve essere migliorata anche l’armonizzazione delle prestazioni dei laboratori, viste le differenze ancora presenti tra le varie regioni.

Un ambiente contaminato costituisce anche un rischio per l’uomo, che può venire a contatto con le sostanze chimiche attraverso l’aria, l’acqua, il suolo e l’alimentazione. L’Unione europea vanta un complesso di leggi in materia di pesticidi tra i più completi e avanzati a livello mondiale, ma i dati di monitoraggio dimostrano come le valutazioni preventive e le misure messe in atto per evitare effetti nocivi su ambiente e salute non siano sempre adeguate. Tra gli altri meriti, il Rapporto nazionale sui pesticidi nelle acque rappresenta uno strumento utile per l’individuazione di sostanze che potrebbero rappresentare un rischio significativo per l’ambiente acquatico, anche al fine di una loro eventuale inclusione nell’elenco delle sostanze prioritarie.

Marco Grilli





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