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Spiritualità

Sufismo: l'origine e gli insegnamenti della via mistica dell'Islam

Di Laura De Rosa - 27 Dicembre 2015

L’Amore è il legame che unisce i cuori, la base su cui costruire. Se l’amore è il fondamento, il tuo edificio sopporterà tutti i terremoti e tutte le tempeste. Potrai costruirlo alto e ampio quanto vorrai, senza essere in pericolo. Quindi, la nostra Via è la Via dell’Amore. Abbandona ciò che ti impedisce di seguire il Sentiero e volgiti per seguirlo con perseveranza; segui la Via fino in fondo, fino alla tua destinazione…” Shaikh Nazim al Haqqani an-Naqshbandi

Sufismo, in arabo Tasawwuf, è la corrente mistica islamica, la faccia esoterica dell’Islam. Il termine arabo deriva a sua volta dalla parola “sufi“, il cui significato è lana, in arabo sûf. Difatti i cosiddetti Sufi originariamente erano asceti vestiti con tuniche di lana logore e rattoppate, che più avanti si colorarono di tonalità vivaci divenendo il costume tradizionale dei Dervish. Ma a livello esoterico il termine viene associato alla parola safâ’, purezza. I Sufi sono infatti noti come i “puri” e difatti il sufismo è considerata la via del cuore e della purezza.

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A onor del vero alcuni autori non riconoscono il legame con l’Islam, collegando il sufismo a filosofie antecedenti la sua nascita. Ma si tratta di una fetta minoritaria. La maggioranza dei Maestri sufi individua infatti l’origine della propria spiritualità nel Corano e negli insegnamenti del profeta Maometto. La differenza sostanziale fra Islam e Sufismo sta nell’aspetto, ovvero il primo è l’aspetto esteriore della legge religiosa, il secondo l’aspetto interiore. Lo stesso Maometto, secondo il sufismo, venne iniziato a questa via attraverso il ritiro, il digiuno e la preghiera nella grotta Hirâ’ vicino alla Mecca, ove ricevette la prima rivelazione del Corano. I Maestri non sono altro che discendenti del Profeta, cui è stata trasmessa di generazione in generazione la baraka, influenza spirituale.

Le congregazioni Sufi e i Murid

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Nei primi due secoli il Sufismo si caratterizzò per un forte individualismo, difatti vi appartenevano perlopiù asceti che disprezzavano il mondo, preferendogli una vita ritirata e mortificata. Verso il III secolo avvenne un mutamento decisivo grazie al fermento intellettuale che si era progressivamente diffuso a Baghdad, capitale allora del califfato abbaside. Risalgono proprio a quest’epoca le due correnti principali del sufismo, quella più sobria di Junayd al-Baghdâdî e quella più passionale di Husain ibn Mansûr Hallâj. Fu soprattutto quest’ultimo ad attirare le antipatie della religione ufficiale a causa di alcune affermazioni provocatorie, fra cui “io sono il Vero”, che gli costò la vita. A riconciliare il sufismo con l’Islam ci pensò più avanti Abû Hâmid al-Ghazâlî (1058-1111), autore del Ihyâ’ ‘ulûm al-dîn (la “Rivivificazione delle scienze religiose”).

Di lì a poco iniziarono a formarsi anche le congregazioni dette ṭawāʾif o turuq (pl. di ṭarīqa, “via”), fra cui la famosa Qâdiriyya, correlata al santo di Baghdad ‘Abd al-Qâdir al-Jîlânî (1078-1166). Confraternite che si riunivano intorno alla figura di un Maestro, il cui compito era insegnare ai discepoli la via per accedere ai saperi mistici attraverso specifici esercizi spirituali. Si passò così da uno stato di individualismo alla condivisione dei saperi, che coinvolse un numero sempre più crescente di discepoli, definiti murīd, pl. Murīdūn.

I Murid sono quindi discepoli di un Maestro il cui obiettivo è l’ascesi. I Murid vengono iniziati all’esoterismo islamico passando attraverso l’iniziazione detta ahd, patto, o bay’a, atto di lealtà. In questa fase preparatoria ogni Murid è guidato da un Murshid o Pir, che lo aiuta a interpretare le proprie esperienze extrasensoriali come le visioni e i sogni. Il Murid deve inoltre vestire con l’abito che caratterizza il suo Ordine di appartenenza.

Per quanto riguarda le confraternite attive dal XII secolo si annoverano, fra le più note, quelle dei marabutti e dei senussi, presenti tutt’oggi nell’Africa del Nord, le confraternite dei dervisci e quelle dei safavidi.

Lo scopo del Sufismo

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Come premesso, lo scopo del Sufismo è la più alta realizzazione spirituale attraverso la quale il discepolo passa dall’individuale all’universale, quindi dal mondo dell’apparenza alla Verità. Il cammino di ascesi spirituale, che si articola in numerose tappe sotto la guida di un Maestro, permette di accedere a una sorta di benedizione soprannaturale. E’ fondamentale che in ogni generazione sufi nasca un maestro “perfetto”, di cui nessuno conoscerà l’identità ad eccezione di coloro che hanno raggiunto il distacco da sé, la dipendenza da Dio e la conoscenza. Rispetto all’Islam, il sufismo riconosce valore alla musica e alla poesia, così come all’amore profano e al vino, che favorirebbero secondo alcune correnti l’estasi mistica. In ogni caso la chiave di svolta dell’ascesi mistica è il cuore, qalb. Secondo il sufismo questo organo correlato alla conoscenza di tipo contemplativo, ovvero la conoscenza intuitiva del trascendentale, fa da intermediario fra anima e spirito. L’anima, in tale ottica, è la sede dell’egoità, lo spirito sede dell’elemento sopraindividuale.

I Dervisci

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Una delle confraternite sufi più conosciute è quella dei dervisci danzanti, o Mevlevîyye, fondata nel XIII secolo da Jalâl al-Dîn Rûmî (m. 1273) e dal figlio Sultân Veled (m. 1312). Uno dei rituali praticati dai discepoli è il semâ‘, il cui scopo è far vibrare il corpo del mevlevî in armonia con una Parola o un suono melodico prodotto da uno strumento. Il semâ‘, in generale, include un’introduzione di testi coranici nel corso di 3 processioni solenni che vedono i dervisci indossare il classico mantello nero. Dopodiché i dervisci si posizionano nel proprio posto, tolgono il mantello e, progressivamente, iniziano a volteggiare su se stessi. Sono previste rotazioni in 4 cicli, l’ultimo dei quali ruota intorno al Maestro, in posizione centrale. Dopo le danza i dervisci si ritirano in meditazione. In questa danza rituale è il corpo ad essere nell’anima piuttosto che l’anima nel corpo e, infatti, l’insegnamento che se ne trae è l’idea che il corpo fisico viva del flusso creatore di cui vive la stessa anima. Il corpo danzante è l’immagine visibile dell’anima che gioisce ascoltando la parola di Dio e l’energia dell’Universo.

Laura De Rosa

www.yinyangtherapy.it

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