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Benessere

La musicoterapia: ecco perchè la musica ci fa stare bene!

Di Marco Grilli - 8 Giugno 2015

Secondo la definizione data dalla World Federation of Music Therapy nel 1996: «La musicoterapia è l’uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un utente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l’apprendimento, la motricità, l’espressione, l’organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali e cognitive. La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell’individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l’integrazione intra e interpersonale e di conseguenza possa migliorare la qualità della vita grazie a un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico».

Questa tecnica che utilizza la musica e i suoi elementi (ritmo, suono, melodia, armonia) come strumenti per aprire dei canali di comunicazione, si configura come una risorsa terapeutica che va a integrare le discipline riguardanti la prevenzione, il trattamento e la riabilitazione di diverse forme di disabilità, come pure il campo della salute mentale. La musica diventa dunque il mezzo mediante il quale il paziente allenta le proprie tensioni e sviluppa la propria personalità, trovando una sua modalità d’espressione individuale che gli consente di relazionarsi con l’esterno.

Nella pratica musicoterapeutica diviene centrale il rapporto di fiducia e l’accettazione incondizionata verso il paziente, che è parte attiva della terapia. Per ogni singolo caso la tecnica viene adattata e personalizzata, mentre tramite il suono si crea un legame e uno scambio reciproco di proposte tra il musicoterapeuta e il paziente.

Per quanto riguarda le origini della musicoterapia, bisogna considerare che sin dalle civiltà antiche la musica veniva utilizzata a fini terapeutici, all’interno di un modello di pensiero magico-religioso o sciamanico. Il sacerdote medico (lo sciamano) era non solo convinto che sia la vita dell’uomo che quella del cosmo fossero dominate dal ritmo e dell’armonia, ma anche che la musica potesse procurare benessere e ristabilire l’armonia perduta in caso di malattia.

Se pensiamo al mito di Orfeo, che ha segnato la civiltà occidentale sin dall’antichità, capiamo come alla musica fosse attribuita la capacità di influenzare i comportamenti e le emozioni umane. Dopo aver ricevuto l’arte della musica da Apollo, col canto e col suono della lira Orfeo riusciva a resuscitare i morti, smuovere le pietre, persuadere le bestie feroci e indurre gli alberi a seguirlo. La musica è quindi una sorta di potenza magica e oscura che può guarire, riconciliare i principi opposti su cui si regge la natura, innalzare l’uomo alla divinità o al contrario precipitarlo tra le forze del male.

Perfino due grandi filosofi come Platone e Aristotele erano convinti che il mondo fosse costituito su principi musicali e che le arti del ritmo potessero perfezionare la morale, formare il carattere, migliorare il benessere interiore e liberare le tensioni psichiche.

Il concetto di musicoterapia come disciplina scientifica si affermò all’inizio del Settecento, con la scrittura del primo trattato sulla materia da parte del medico e musicista londinese Richard Brockiesby. In Italia i primi esperimenti furono condotti da Biagio Gioacchino Miraglia nel Morotrofio di Aversa a partire dal 1843, mentre fu Karl Strumpf in Germania, verso la fine dell’Ottocento, a impostare la base degli studi della musicoterapia moderna, a partire dallo studio della nozione di psicologia del suono.

Questa disciplina si basa sul principio dell’iso, un elemento dinamico che caratterizza l’identità sonora di un individuo. Possiamo distinguerne quattro tipi:

1- l’iso universale (che riguarda o identifica tutti gli esseri umani a prescindere dal contesto storico e socio-culturale),

2- l’iso gestaltico (un fenomeno di movimento interno che riassume i nostri archetipi e tutto il nostro vissuto sonoro),

4- l’iso complementare (connesso alle modifiche che si verificano sotto l’effetto di circostanze ambientali e dinamiche),

5- l’iso gruppale (legato allo schema sociale all’interno del quale l’individuo evolve).

La musicoterapia considera inoltre il suono come oggetto intermediario, ossia come strumento di comunicazione in grado di agire terapeuticamente sul paziente senza provocare stati di allarme, e come oggetto integratore, quindi capace di uniformare le dinamiche di comunicazione in un gruppo.

Molti studi hanno dimostrato il duplice effetto psicoterapico della musica sia in ambito fisiologico che psichico. Quest’ultima infatti rafforza la personalità, evoca sensazioni e stati d’animo, media tra il conscio e l’inconscio e contribuisce a sbloccare repressioni e resistenze, consentendo agli impulsi e ai complessi che producono conflitti e disturbi neuro-psichici di affiorare a livello di coscienza, anche attraverso il processo catartico (tensione-liberazione).

La musicoterapia studia il rapporto suono-essere umano e si esprime con un codice non verbale ancora più ricco, dove le stimolazioni musicali possono causare miglioramenti nella sfera affettiva, motivazionale e comunicativa. Se la musica intreccia un dialogo, cattura l’attenzione e può condurre a un obiettivo voluto, è evidente che le tecniche psico-musicali offrono un mezzo di espressione e comunicazione complementare, che rappresentano un fattore di sviluppo per l’uomo normale e una terapia per il disabile.

Dal punto di vista terapeutico, dunque, la musica diviene attiva stimolazione multisensoriale, cognitiva, relazionale, emozionale, impiegata come prevenzione, sostegno e recupero. Il lavoro terapeutico consiste nell’attivazione-riattivazione delle abilità personali e delle capacità espressive e relazionali, mediante setting organizzati ispirati al metodo socio-psico-educazionale.

Per quanto riguarda i metodi possiamo distinguere la musicoterapia attiva – dove l’interazione tra musicoterapeuta e paziente si realizza tramite la produzione diretta di suoni ricorrendo alla voce, agli strumenti musicali o a semplici oggetti –, dalla musicoterapia passiva, basata sull’ascolto di brani mediante riproduttori, dove il paziente è chiamato a lavorare sulla percezione, immaginazione ed elaborazione delle musiche proposte. Tra i due modelli esistono ampie sovrapposizioni, mentre più definita è la differenziazione tra le scuole basate su diversi tipi d’intervento, che elenchiamo qui sotto:

1) scuola a impianto somatico, dove il paziente è un singolo e l’intervento è a fine terapeutico;

2) scuola d’impianto psicosomatico, dove l’utenza è costituita da singoli o gruppi e comprende spesso bambini, anziani e disabili mentali. In questo caso l’obiettivo è quello di sviluppare o mantenere le capacità cognitive, espressive e di apprendimento, orientamento e coordinamento motorio;

3) scuola a impronta psicoanalitica, dove i pazienti sono singoli o gruppi e l’obiettivo è di sviluppare gli aspetti sociali dell’individuo.

Gli ambiti di applicazione della musicoterapia sono molteplici: si va dall’insegnamento scolastico alla gravidanza, fino alla riabilitazione o terapia in reparti di medicina oncologica, palliativa, geriatrica e di terapia intensiva. Nel campo della riabilitazione gli interventi riguardano la neurologia e la psichiatria con specifico riferimento a: autismo infantile, ritardo mentale, disabilità motorie, varie psicosi, morbo di Alzheimer e altre demenze, disturbi dell’umore, somatoformi, del comportamento alimentare ecc.

Nel caso di autismo, ad esempio, s’interviene con la musicoterapia attiva e si mira allo sviluppo dell’individualità personale tramite la sintonizzazione. In questi soggetti che tendono a chiudersi in se stessi, infatti, la musica permette al mondo esterno di entrare in comunicazione col malato, favorendo l’inizio di un processo di apertura.

Nel campo della disabilità il musicoterapeuta lavora sul benessere, la socialità e l’integrazione ricorrendo a diversi tipi di intervento che consistono nel:

  • creare ambienti sonori (attraverso la musica si possono produrre contesti e spazi di proprietà della persona disabile, gestibili e modificabili);
  • progettare lo sviluppo della sensorialità (la musica ha un approccio multisensoriale, stimolando non solo l’udito ma anche il resto del corpo mediante le vibrazioni);
  • sottolineare il ruolo centrale del linguaggio (la musica è un ponte comunicativo che può arrivare laddove il linguaggio ordinario è insufficiente);
  • incentivare l’attività motoria (come modo per vivere lo spazio fisico in funzione dello sviluppo cognitivo);
  • procurare benessere (la musica attenua ansie e paure e trasmette armonio psico-fisica al soggetto in ascolto).

Molto importante è il setting terapeutico, ossia il luogo dove si svolge la terapia. Condurre gli utenti nella stanza adibita agli interventi consente un migliore adattamento all’ambiente e un passaggio graduale e piacevole dalla confusione del mondo esterno alla serenità della musicoterapia. Il posto deve essere piacevole e permettere di osservare e interagire, mentre grande attenzione va posta anche alla posizione giusta per i pazienti, che deve mirare a favorire la loro interazione. Infine è buona norma utilizzare la stessa musica sia all’inizio che alla fine di ogni seduta, in modo da creare anche attraverso il suono uno spazio definito dove potersi esprimere o rilassare.

Nel 1993 la rivista scientifica Nature ha pubblicato i risultati di un esperimento che ha dimostrato come la musica di Mozart riesca a migliorare la capacità di espressione e la percezione spaziale. Potenza del suono, un istinto primordiale, un mezzo di comunicazione/liberazione e una necessità che ci guida verso l’armonia e il benessere.

Marco Grilli





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