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Industria del cacao: donne e bambini schiavi da 2 euro

Di Valeria Bonora - 14 Maggio 2013


La notizia arriva dall’Oxfam che ha classificato le politiche adottate dalle 10 maggiori aziende del settore alimentare su 5 tematiche precise:

  1. il rispetto dei diritti dei lavoratori e dei contadini impiegati nella loro filiera nei paesi in via di sviluppo;
  2. l’attenzione alla tematica di genere;
  3. la gestione della terra e dell’acqua utilizzate nel processo produttivo;
  4. le politiche di contrasto al cambiamento climatico;
  5. la trasparenza adottata dall’azienda nella propria attività
La campagna di Oxfam si focalizza su 10 delle più potenti aziende del settore alimentare che sono: Associated British Foods (ABF), Coca-Cola, Danone, General Mills, Kellogg’s, Mars, Mondelez Internatonal (ex Kraft Foods), Nestlé, PepsiCo e Unilever .
Secondo la classifica, sono Nestlé e Unilever a registrare la performance migliore, avendo sviluppato e reso pubbliche il numero maggiore di politiche volte a fronteggiare i rischi sociali e ambientali lungo la catena di produzione. All’opposto, ABF e Kellogg’s non hanno adottato politiche volte a mitigare l’impatto delle loro attività sui produttori e sulle comunità.

La situazione peggiore la si riscontra nella situazione economica dei lavoratori del cacao soprattutto per quanto riguard lavoro femminile, ci sono ancora ingiustizie e delle scorrettezze, che non permettono un eguale trattamento, sia a livello delle retribuzioni che a quello delle minime garanzie sociali legate all’attività svolta.

Le grandi del cacao sono Nestlè, Mars e Mondelez che detengono circa il 40% della produzione globale.
Ma facciamo qualche esempio per capire meglio: In Indonesia le donne hanno diritto a 2 giorni di riposo al mese legato al ciclo mestruale, per questo spesso non vengono assunte. I bambini possono lavorare e le donne hanno comunque salari inferiori a parità di lavoro. Tutto questo nonostante il 60% della manodopera arrivi proprio dalle donne.
In Nigeria le donne impiegate nei lavori agricoli raggiunge l’80% ma solo nei lavori meno pagati e senza possibilità di mansioni migliori. Sempre in Nigeria gli agricoltori affermano di guadagnare 320 neira (meno di due euro), per ogni chilo di cacao prodotto.

Mentre in Costa D’Avorio un agricoltore guadagna circa 260 euro all’anno, da notare la soglia della povertà che in Costa d’Avorio si aggira sui 5mila euro annui.
Mars però un chilo di cacao lo vende a 20 euro, dieci volte quello che viene pagato.
Nel suo rapporto Oxfam affronta questi temi e spiega che: “In alcuni casi queste aziende indeboliscono la sicurezza nel settore dell’industria alimentare e riducono le opportunità economiche delle persone più povere del mondo, peggiorando così la situazione di queste ultime”.
E a riguardo propone l’equo compenso per la produzione del cacao, la sottoscrizione da parte dei grandi marchi dei principi Onu di pari opportunità per le donne, la promulgazioni di leggi per tutelare uguaglianza di genere nel settore agricolo e lavorare utilizzando programmi di certificazione con iniziative settoriali come la Fondazione mondiale del cacao e l’Organizzazione internazionale del cacao.
Se volete potete scaricare il rapporto completo: Scopri il Marchio
 
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