Educazione

Generazione Alpha, i bambini immersi nella tecnologia fin dalla nascita

Di Cristina Rubano - 26 Ottobre 2021

Sono nati letteralmente immersi nella tecnologia di ultima generazione, per loro smartphone e tablet non hanno rappresentato un “di più” o uno strumento di divertimento, ma l’hummus primario attraverso il quale hanno imparato a giocare, studiare, pensare e relazionarsi.

I bambini e i ragazzi della generazione Alpha sono i nati dopo il 2010. È uno studio condotto dall’Alta Scuola in Media, Comunicazione e Spettacolo della Cattolica a gettare una nuova luce sulla generazione Alpha e le sue potenzialità. Ma vediamo prima chi sono e come si differenziano dalle generazioni “mediali” che li hanno preceduti.

I millennials: gli ultimi a ricordare il mondo senza internet

I millennials – nati fra il 1980 e il 1996 – sono coloro che hanno vissuto l’ascesa del mondo digitale in contemporanea alla crisi economico-finanziaria esplosa definitivamente nel 2008. Sono coloro che anche a causa di questo hanno convissuto più a lungo in seno alla famiglia d’origine (prima dei millennials il mondo economico e lavorativo scandiva diversamente le tappe sociali) e che hanno testimoniato la diffusione del precariato lavorativo e sociale. Si pensi a film come Tutta la vita davanti (2008) di Paolo Virzì, tratto dal libro di Michela Murgia Il mondo deve sapere; o a Parole Sante, il documentario che Ascanio Celestini realizzò nel 2007, racconti che hanno fatto un’epoca. Sono la generazione che, pur avendo preso dimestichezza e confidenza con le nuove tecnologie, ha prima conosciuto il mondo senza internet.

“… dentro di me penso che il precariato in questa situazione è la sola cosa che mi dia speranza. L’idea di fare la telefonista alla Kirby in maniera stabile è una prospettiva da reparto psichiatrico. L’unico pensiero positivo di questa situazione è che – appunto – è instabile, transitoria.”

(Michela Murgia)

La generazione Zeta: i “fratelli” del digitale

A differenza dei millennials, gli appartenenti alla generazione zeta (nati fra il 1990 e il 2010 anche detti post millennials), sono coloro che hanno approcciato alle nuove tecnologie fin dalla prima infanzia e sono per questo noti come “nativi digitali”. Hanno conosciuto il mondo dopo l’avvento di internet e la loro crescita si è evoluta di pari passo con quella delle tecnologie digitali.

La generazione Alpha: la generazione dopo la Z

bambina che guarda un cellulare

Credit foto
© Pexels

La generazione Alpha annovera invece i nati dopo il 2010 (i figli dei millennials a livello generazionale) che oltre ad essere immersi nella dimensione “onlife” (Floridi, 2016) fin dalla nascita, vantano precocissime e sofisticate competenze – non solo tecniche ma anche cognitive e relazionali – nell’utilizzo di device e dispositivi digitali.

Lo affermano i risultati dell’indagine Gen Alpha docet realizzata da Tips ricerche nell’ambito del programma di ricerca Opinion Leaders for Future dell’Alta scuola di Media, Comunicazione e Spettacolo (Almed) dell’Università Cattolica in collaborazione con Credem. La ricerca è stata condotta intervistando un campione di 600 bambini italiani di età compresa fra i 5 e gli 11 anni ed ha esplorato la “dieta mediale” dei giovanissimi e le loro interazioni “onlife” a cavallo del lockdown e delle restrizioni dovute alla pandemia da SarsCoV-2. In questo periodo, come sappiamo, bambini e ragazzi hanno dovuto rinunciare a molte occasioni di socializzazione in presenza e si sono visti costretti ad implementare l’utilizzo dei canali online sia per motivi di studio che di svago.

Un primo elemento che emerge anzitutto è quanto giovani e giovanissimi appaiano competenti nell’utilizzare i device digitali (tv, smartphone e tablet) per informarsi e fra i temi di maggiore interesse ci sarebbero quelli relativi al rispetto per l’ambiente, la natura, il futuro sostenibile.

Gli effetti della pandemia potrebbero essere stati tutt’altro che controproducenti su questi nativi digitali di terza generazione. Il rallentamento dei ritmi quotidiani e l’aumento del tempo trascorso a casa sembra aver rappresentato un cambiamento positivo che ha permesso loro sia di trascorrere più tempo con i genitori, sia di osservarli durante lo svolgimento delle proprie mansioni lavorative. Con lo smart working infatti molti bambini hanno potuto essere “spettatori” di quel misterioso mondo del “lavoro” di mamma e papà da cui ordinariamente vengono esclusi. Molti dei piccoli intervistati poi hanno poi raccontato di aver utilizzato gli strumenti tecnologici e la contemporanea presenza dei genitori per acquisire informazioni, strategie e spiegazioni riguardo alla pandemia che si è imposta come argomento di comune interesse sia dei grandi che dei più piccoli.

Ne emerge un ritratto di una generazione di giovanissimi curiosi, attratti dalle novità, competenti nell’uso delle nuove tecnologie in grado di coinvolgere gli adulti nei loro contenuti di interesse come l’amore per la natura e per la scienza.

Limiti e rischi delle nuove tecnologie per i giovanissimi

Sebbene giovani e giovanissimi siano introdotti e tecnicamente competenti all’uso delle nuove tecnologie fin da subito, questo non vuol dire che abbiano però la maturità cognitiva ed emotiva per utilizzarle senza rischi.

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Da un lato non bisogna dimenticare quanto nell’età dello sviluppo sia fondamentale avere occasioni di socializzazione vis a vis, di contatto con la natura, di gioco fisico e manipolativo che contempli la connessione con l’ambiente circostante. Se in pieno lockdown i più piccoli sembrano essersi apparentemente ben adattati all’utilizzo della comunicazione a distanza, adesso hanno tuttavia urgente bisogno di riprendere il contatto con la natura, lo sguardo, il movimento del corpo. Non facciamoci trarre in inganno dalla loro apparente competenza digitale, che certamente ha molto da insegnarci, ma che non può e non deve diventare sostitutiva del mondo offline. Alcuni esperti sconsigliano di dar loro smartphone o tablet ad uso esclusivo e personale prima della fine delle scuole medie il motivo risiede nell’immaturità cognitiva e affettiva che non consente ai ragazzi, prima del 14 anni, di decodificare opportunamente i messaggi che ricevono dal mondo virtuale.

Ne è un esempio la recente diffusione della serie tv Squid Game (in realtà vietata ai minori di 14 anni) anche fra bambini e preadolescenti che tendono poi a riproporne i contenuti nei giochi di gruppo. Il rischio, sostiene Alberto Pellai, è che contenuti così violenti e emotivamente impattanti possano risultare “traumatici” per la mente dei più piccoli che, probabilmente per questo motivo, tenderebbero poi a riproporli in giochi e comportamenti sociali come a tentare di padroneggiare ciò che eccede le possibilità di comprensione ed elaborazione per quella giovane età.

Nel riconoscere dunque l’indubbia competenza tecnica con cui bambini e preadolescenti utilizzano i device digitali, non dobbiamo rinunciare ad essere sempre, in ultima istanza, noi adulti ad insegnar loro qualcosa, a porre limiti e regole chiare, a discutere con loro dei contenuti multimediali che incontrano e non lasciarli soli in un mondo digitale nel quale possono perdersi molto più facilmente che nel parco sotto casa…

Cristina Rubano





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