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Lo Zen: poche righe per assaporarne l'essenza

Di Giordana - 19 Dicembre 2013


Dhyana (sanscrito), ch’an (cinese), zen in giapponese. Zen è la pronuncia giapponese dell’ideogramma cinese Chan che in Cina fu utilizzato per rendere foneticamente il termine sanscrito Dhyāna che faceva riferimento agli stadi graduali di coscienza. Successivamente divenne una definizione generica per indicare i monaci che si dedicavano prevalentemente alla meditazione.
La purezza dell’azione diretta, semplice, pulita è ciò che lo zen predilige insieme all’idea di vuoto che si discosta completamente dall’idea negativa a cui questo concetto è associato in occidente; al contrario il vuoto è un contenitore, un punto di partenza, è dinamico e non statico è lo stato della mente a cui si deve arrivare e da cui al tempo stesso partire.
Lo zen è complesso nella sua linearità ed ha una lunga storia fatta di scuole di pensiero e maestri e racconti, tradurlo in poche righe e cercare di raccontarlo nei dettagli sarebbe riduttivo, ma quello che vorrei è farvene cogliere l’essenza.

Pensare, riflettere, meditare trovare una via per essere nel presente, per stabilire un contatto con il se in modo armonico e costante per essere non nel tempo passato o futuro, non nei ricordi o nei progetti, ma nel qui ed ora, nell’attimo presente, che in definitiva è quello che poi fa la differenza. La conoscenza di se stessi che arriva attraverso l’azione semplice, rituale, concentrata, fine a se stessa perché essa stessa ha un valore.
Lo zen ispirò l’arte e la cultura della terra che lo accolse, è presente nella poesia con gli haiku, nell’ikebana l’arte di disporre i fiori, nella pittura zen-ga, nella cerimonia del tè, cha no yu, rito prezioso di condivisione, sincronizzato nel presente con una precisione ed una delicatezza uniche ed affascinanti che, secondo me, ben rappresenta la teoria che l’ispirò.
Uno dei modi più comuni di indicarlo,diffusissimo anche in Occidente, è l’enso un ideogramma di forma circolare che rappresenta l’assoluto, la continuità, la quiete.
Una storia zen racconta di un monaco che passeggiando sul sentiero si imbatté in una tigre, la predatrice, affamata, iniziò a rincorrerlo, il monaco scappò, ma da li a breve si ritrovò sull’orlo di un precipizio, scivolò e si aggrappò ad una vite. Sotto di lui il precipizio, sopra la tigre. Due topi, uno bianco ed uno nero, iniziarono a rosicchiare la pianta di vite a cui era aggrappato, nel mentre il monaco scorse una fragola alla sua destra, la colse e la assaporò. Era dolcissima.
 
 





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