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Spiritualità

I Dieci Comandamenti secondo Igor Sibaldi

Di Laura De Rosa - 18 Ottobre 2016

Sappiamo tutti cosa sia la Bibbia ma quanti di noi l’hanno letta e studiata in modo approfondito? Siamo certi che le traduzioni del testo sacro siano fedeli all’originale? Quanto di ciò che è scritto nella Bibbia è frutto di manipolazioni o traduzioni errate? Siamo certi che la Bibbia sia un testo arcaico e inutile all’uomo moderno votato alla scienza e alla tecnologia? Igor Sibaldi, noto per la tecnica dei 101 desideri, si è dedicato alla traduzione della Bibbia offrendone una versione decisamente insolita rispetto quella tradizionale. Traduzione che ne svela l’estrema modernità a dispetto dell’apparenza.

Anche i Dieci Comandamenti vengono da lui riproposti in una chiave decisamente lontana dalla traduzione classica. Com’è noto, i 10 comandamenti, secondo la Bibbia, vennero donati da Dio a Mosè sul Monte Sinai, e rappresentano un precetto fondamentale dell’Antico Testamento e dell’Ebraismo. L’originale ebraico alla base dei Comandamenti è stato poi reinterpretato in modo diverso dalle 3 grandi religioni monoteiste, con differenze all’interno delle stesse.

I 10 comandamenti secondo il Cattolicesimo

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La traduzione più diffusa dei 10 comandamenti nell’ambito del Cattolicesimo è la seguente:

1. Non avrai altro Dio all’infuori di me.
2. Non nominare il nome di Dio invano.
3. Ricordati di santificare le feste.
4. Onora il padre e la madre.
5. Non uccidere.
6. Non commettere atti impuri.
7. Non rubare.
8. Non dire falsa testimonianza.
9. Non desiderare la donna d’altri.
10. Non desiderare la roba d’altri.

Nel Vangelo i comandamenti si riducono a due, l’amore verso Dio e verso il prossimo. Nel Corano pur non essendoci un testo dei comandamenti, si riscontrano alcune affinità.

I dieci Comandamenti nella tradizione di Igor Sibaldi

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Primo Comandamento: se nella traduzione cattolica questo comandamento suona come un’imposizione che costringe il fedele a non guardarsi intorno ma a rimanere fedele a un solo dio, nella traduzione di Sibaldi il significato risulta capovolto. L’autore afferma: “In realtà, il testo originale (Esodo 20,1) è: «Io sono YHWH ’Elohyim che ti ho fatto uscire dalla terrad’Egitto, dalla casa degli schiavi. Non avrai altro Dio davanti a me». E significa: «Io sono l’Energia di ciò che è reale (YHWH) e l’Energia del futuro (’Elohiym): questa energia ti libera SEMPRE dalle dipendenze che tanti nel mondo ti vogliono imporre.Se riesci ad accorgertene, non darai più ascolto a religioni che ti asserviscono.”

Secondo Comandamento: nella tradizione cattolica questo comandamento esorta il fedele a non nominare il nome di Dio invano e, aggiunge Sibaldi, a non fare immagini di ciò che è in cielo né di ciò che è in terra. Ma il significato è di tipo simbolico: “è meglio che impari a non farti un’idea precisa di nessuna cosa: a non bloccarti su uno schema, su una convinzione, pensando che sia tutto lì e non ci sia altro da scoprire. Sia in cielo sia in terra scopri continuamente elementi nuovi, in ogni cosa, se riesci a guardare le cose e non le immagini che te ne sei fatto.” In questa prospettiva, il secondo comandamento è un invito a non fossilizzarsi sull’idea che ci siamo fatti di qualcosa, persino di Dio. Aggiunge Sibaldi: “Vale per ogni oggetto, per ogni persona, e anche per Dio: anche ciò che chiami «Dio», se pensi di sapere cos’è (o se dai retta a chi sostiene di sapere cos’è) diventa per te un «invano», un’occasione perduta, una fissazione e, spesso, un fanatismo. Ma ovviamente una religione non può spiegare così il secondo comandamento, perché darebbe torto a se stessa. Che ne pensate?”

Terzo Comandamento: questo comandamento ci suggerisce di ricordarci di santificare le feste. Se per gli ebrei il giorno settimanale di festa è il sabato, per i cristiani diventa la domenica, che in quanto tale dovrebbe essere dedicata al riposo. La traduzione di Sibaldi riporta: “Ricordati che c’è il giorno di sabato, e che è Qadosh». Qadosh non vuol dire «santo», ma «sommo». È il punto più in alto di tutti.” Simbolicamente questo comandamento ci suggerisce che noi siamo più del nostro lavoro e dobbiamo capire che il mondo a noi noto non è tutto, è”solo il limite a cui ci si ferma di solito. È bene che quel mondo sia superato spesso; ricordatene!”

Quarto Comandamento: “Onora il padre e la madre” recita questo comandamento tradotto in versione abbreviata e che incoraggia il fedele a onorare la famiglia indipendentemente da tutto il resto. Ma il quarto comandamento, dice Sibaldi, in realtà afferma quanto segue: “Dà peso a tuo padre e tua madre, perché siano lunghi i TUOI giorni sulla terra”. Cioè: “Comprendi bene chi sono i tuoi genitori, considera attentamente l’influsso che hanno avuto su di te, altrimenti i tuoi giorni non saranno mai veramente tuoi”. Quindi è importante capire chi sono questi genitori e come ci hanno influenzato per poter procedere nella vita.

Quinto Comandamento: riguarda l’uccidere e nella traduzione cattolica recita “non uccidere”, ma nella versione ebraica è scritto “non ammazzerai”, senza indicare chi. Sibaldi spiega che il termine tradotto con “uccidere” in antico ebraico significava “deviare verso l’aridità”, “Cioè lasciarsi attirare da cose come sconforto, angoscia, servitù, conformismo, inerzia e altre desertificazioni, che certamente «ammazzano» i talenti, gli impulsi autentici, i migliori desideri degli individui. In pratica, il Quinto Comandamento era l’invito a non ammazzarsi.” Quindi la traduzione letterale più corretta sarebbe “non inaridirti”.

Sesto Comandamento: “Non commettere adulterio” recita questo comandamento nelle traduzioni cristiane ed ebree. Ma l’ebraico antico, che è Lo TiNe’aF, significa in realtà “Non ti prostituirai» o, più letteralmente, «non userai la sessualità come un oggetto”, come uno strumento per raggiungere qualche obiettivo”, dice Sibaldi. Ovvero un invito a fare l’amore e basta, senza utilizzarlo per ottenere altro. Nulla quindi a che vedere con il senso di colpa tipicamente cristiano che vede nell’atto sessuale qualcosa di sporco.

Settimo Comandamento: qui si parla di “non rubare” ma nell’antica lingua ebraica il termine utilizzato è GaNaB e GaN significava recinto, luogo chiuso mentre la lettera B, suggerisce Sibaldi, “simboleggiava la capacità di creare”. Quindi il settimo comandamento esorta a non porre ostacoli al proprio talento né a quello di altri, lasciandolo libero di esprimersi a piacimento.

Ottavo Comandamento: “non farai falsa testimonianza contro chi è tuo compagno” recita questo comandamento esortando il fedele a non dire bugie che danneggino gli amici. Ma secondo Sibaldi le bugie, la non-verità, si riferisce simbolicamente a ciò che “noi diciamo o pensiamo del mondo”, ovvero alle nostre convizioni errate. Quindi Sibaldi lo traduce con: “Tu non hai la verità in tasca. Perciò è normale che tu menta. Impara a cercare la verità giorno dopo giorno. E ogni volta che scopri qualche cosa di falso in te, lasciala perdere: non impuntarti, come fanno le persone in tribunale. Se no, quella tua falsità andrà sicuramente a danno di qualcuno a cui vuoi bene.”

Nono Comandamento: “non desiderare la donna di un tuo compagno” dice questo comandamento ma Sibaldi sottolinea l’errore di traduzione a partire dal termine “desiderare”. Nella versione in antico ebraico il verbo usato era KhaMaD, da “KhaM”, «passione», «slancio», «fervore», e significava: “In te c’è KhaM. È bene che tu usi questo KhaM, nell’amore, nella passione e in ogni altro ambito adeguato. Abbi il coraggio di usarlo pienamente! In amore, evita le situazioni in cui occorrano menzogne, furbizie, cautele, limitazioni… Sta’ alla larga dai cosiddetti amori infelici. Se ci caschi, è altissima la probabilità che sia soltanto perché hai paura del tuo KhaM, e vuoi tenerlo in qualche modo in gabbia. Forse perché ti preoccupa l’idea di quanto il tuo KhaM potrebbe cambiarti la vita?” Per quanto riguarda poi il significato della parola “donna”, secondo Sibaldi è stato travisato in chiave maschilista, nonostante nella cultura ebraica e in quella egizia vi fosse una notevole componente matriarcale. Sibaldi afferma che la parola tradotta con donna, ’eSheT, in realtà significava: “la capacità (’) di conoscere (Sh) il fine, il senso delle cose (T)». Oggi diremmo: l’intuizione. E il comandamento, a questo livello ulteriore, diventa: «Non voler copiare l’intuizione di qualcun altro. Impara ad adoperare sempre la tua intuizione, quando vuoi capire il senso di qualcosa.”

Decimo Comandamento: “non desiderare la roba d’altri” recita il decimo comandamento che, secondo la traduzione di Sibaldi, afferma: “Impara a non desiderare quello che hanno realizzato e quel che desiderano gli altri”. Quindi suggerisce di desiderare ciò che desideriamo realmente e non ciò verso cui siamo indotti dall’esterno.

Laura De Rosa

yinyangtherapy.it





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