Educazione

Lo sviluppo delle emozioni nell'infanzia, impariamo ad ascoltarle noi adulti

Di Milena Rota - 11 Aprile 2021

Sroufe (1986) definisce l’emozione come “una reazione soggettiva ad un evento saliente, caratterizzata da cambiamenti fisiologici, esperienziali e comportamentali”.

Questa è une delle possibili definizioni di emozione e permette di comprendere come questa sia un’esperienza complessa ed estremamente articolata e come tale implica differenti aspetti e attiva abilità e competenze importanti a più livelli. La competenza emotiva richiede infatti molte abilità che si apprendono e sviluppano nell’arco della vita e che, inevitabilmente, risentono delle esperienze di vita, dei modelli educativi e affettivi, della cultura, nonché di vissuti più o meno piacevoli o traumatici.

Il bambino quindi fin dalla prima infanzia, impara a riconoscere e identificare le proprie emozioni, a regolarle, esprimerle ed entrare in sintonia con quelle degli altri in modo empatico. Tuttavia, moltissimi sono gli aspetti che intervengono nello sviluppo emotivo dei bambini e ogni individuo ha la sua storia, con peculiarità e caratteristiche, seppur possono essere identificate alcune fasi importanti.

Il bambino nel corso dello sviluppo deve imparare quindi a: esprimere, comprendere e regolare il vissuto emotivo. L’adulto ha un ruolo fondamentale in tutte e tre queste fasi.

1- L’espressione delle emozioni nel bambino

Bambino che piange arrabbiato

Credit foto
© Pexels

L’espressione delle emozioni implica la capacità di comunicare all’esterno il proprio vissuto emotivo a livello verbale e non verbale. L’espressione avviene:

  • a livello facciale con la vasta gamma di espressioni possibili,
  • a livello corporeo esterno con gesti, posture o movimenti, o interni come alterazioni fisiologiche automatiche,
  • a livello comportamentale con atteggiamenti rappresentativi di ciò che si sta provando

Il bambino nel corso del suo sviluppo impara ad esprimere le proprie emozioni, osservando il mondo esterno, assumendo anche principi e regole di comportamento.

A livello espressivo si è osservato come esistano alcuni segnali facciali universali riconducibili alle differenti emozioni (Ekman). Tuttavia, altre modalità sono proprie della cultura e dell’educazione famigliare, e anche individuali.

Nei primi mesi di vita le risposte emotive del bambino sono automatiche e di natura quasi istintuale, volte a soddisfare un bisogno primario come la fame o la necessità di contatto con la madre. Fino circa ai due mesi quindi le espressioni sono prive di intenzionalità. Nei mesi successivi fino circa al primo anno di età si osserva una maggiore intenzionalità: il bambino nella relazione con l’adulto, specialmente la madre, comprende che il proprio agire e le proprie espressioni attivano una risposta dell’altro e quindi sempre più utilizza queste in modo intenzionale. Si osserva quindi l’insorgenza, ad esempio, del sorriso sociale.

Dal primo al terzo anno di vita nascono le prime emozioni complesse e di natura maggiormente sociale come l’imbarazzo, la vergona, la timidezza. Nel corso degli anni poi l’espressione viene arricchita dalla conoscenza e interiorizzazione delle regole sociali e dei canoni educativi.

L’adulto gioca un ruolo fondamentale in quanto è la risposta dell’adulto alle espressioni emotive del bambino, la modalità di espressione emotiva dell’adulto stesso e la relazione con le figure di riferimento, a determinare la competenza espressiva. L’educazione emotiva si gioca innanzitutto in questa relazione. Un bambino che ha vissuto in un ambiente in cui le emozioni erano tabù, il proprio vissuto non era accolto ma anzi minimizzato, faticherà nello sviluppo di un’espressione emotiva funzionale, con conseguenze anche importanti nel tempo.

Bowlby nella teoria dell’attaccamento osserva come la relazione con il cargiver e il modello di attaccamento instaurato giochino un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’immagine di sé del bambino e della sua capacità di regolarizzazione ed espressione emotiva.

“Educare alle emozioni non significa insegnare a un bambino, per esempio, a non arrabbiarsi.
Significa permettere al bambino di arrabbiarsi, aiutandolo a riconoscere quello che prova e a chiamarlo per nome.
Significa imparare a stare nell’emozione senza esserne sopraffatto.
Altrimenti non è un’educazione, ma una forma di repressione”.
Consulenza Pedagogica Russini- Urso

La regolazione emotiva nel bambino

Un’altra grande abilità che concorre alla competenza emotiva è la capacità di regolare le emozioni. La regolarizzazione quindi è quell’abilità che permette di regolare la risposta emotiva alle differenti situazioni.

È un’abilità molto complessa che implica l’analisi attenta della situazione, una buona consapevolezza di sé e delle risposte emotive solitamente attivate e quindi una modifica cognitiva e comportamentale al fine di attivare una risposta funzionale al contesto e circostanza.

Nello sviluppo la regolazione emotiva parte dall’esterno: fino a circa il primo anno di vita è infatti l’adulto ad attribuire un significato e quindi anche a regolarizzare il vissuto emotivo del bambino, il quale inizia ad attivare modalità di autoregolazione. Tra queste ad esempio la ricerca dell’adulto, l’utilizzo di oggetti che ricordano il calore materno e la suzione, ecc.

Dal primo al terzo anno di vita l’adulto è ancora fondamentale e il modello di attaccamento e la capacità di regolazione emotiva dell’adulto è determinante. Tuttavia, il bambino inizia ad elaborare le emozioni intense attraverso i giochi simbolici e di finzione al fine di dare un senso al vissuto.

Successivamente grazie anche all’incremento delle abilità di mentalizzazione e il riconoscimento del vissuto interno, il bambino impara a comprendere il proprio ruolo attivo nel regolare il vissuto emotivo. In età scolare poi, si ha lo sviluppo di maggiore abilità di autoregolazione e modifica degli stati interni.

Le abilità di regolazione sono fondamentali e anch’esse risentono fortemente delle esperienze di vita e relazionali.

“I bambini non sono in grado di dominare le loro emozioni perché il loro cervello è ancora in fase di maturazione. Essendo piccoli, non sanno ancora fare ipotesi, prendere le distanze o proiettarsi nel futuro. Il bambino non ragiona secondo la logica degli adulti, ma ha una sua logica egocentrica e magica. Gli esperti definiscono “prelogica” questa fase del pensiero. Il bambino piccolo è prigioniero dell’immediatezza delle sue risposte, non sa utilizzare il pensiero per guardare le cose in maniera distaccata o valutare la situazione obbiettiva. E’ facimente travolto dai suoi affetti e dunque ha bisogno del nostro affetto per trovare la via di uscita.”

Isabelle Filliozat, “Le emozioni dei bambini”

La comprensione emotiva nel bambino

Altra abilità fondamentale è la comprensione emotiva. Essa implica la capacità di comprendere i vissuti emotivi propri e altrui, riconoscerli e attribuirli un significato.

Nel primo anno di vita il bambino sviluppa il riconoscimento e consapevolezza delle differenti espressioni facciali, iniziando quindi a comprendere il ruolo delle stesse e il significato dei diversi stati emotivi.

Dai due anni di vita circa inizia a comprendere la natura del linguaggio psicologico e con il tempo ad utilizzarlo per esprimere le proprie emozioni e vissuti, via via anche relativi ad eventi passati e trascorsi. Contemporaneamente inizia a intuire la relazione tra una situazione e un’emozione vissuta.

Successivamente sviluppa la consapevolezza delle emozioni più complesse e di natura sociale e una vera e propria comprensione delle cause e relazioni tra eventi ed emozioni proprie o altrui. È intorno gli 8-10 anni che si sviluppa il senso morale.

Lo sviluppo affettivo è qualcosa di assolutamente delicato nella vita di un individuo e in esso il ruolo dell’adulto è molto importante poiché è primo strumento e mezzo di riconoscimento, comprensione e regolazione emotiva.

Non dimentichiamo che le piccole emozioni sono i grandi capitani della nostra vita e che obbediamo a loro senza saperlo.
(Vincent Van Gogh)

Milena Rota





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