A Caccia di Vita

A Te, Che Sei Andato Via Troppo Presto

Di Elena Bernabè - 10 Marzo 2021

Quando accade un avvenimento doloroso come la perdita prematura di un amico, di un familiare o anche solo di un conoscente la morte ci mette alle strette e ci costringe a guardarla negli occhi.

Se possiamo accogliere con più naturalezza la morte di un anziano, giunto alla fine della propria vita, vivere quella di un giovane ci scuote e ci destabilizza. Siamo tristi per la vita che avrebbe avuto ancora davanti e perché il suo morire ci ricorda che l’esistenza ha una scadenza, che riguarda tutti noi e che non dipende dall’età.

Sin dal giorno della mia nascita, la mia morte ha iniziato il suo cammino. Sta camminando verso di me, senza fretta.
(Jean Cocteau)

Morte di un giovane: come viverla

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©Pexels

Riuscire ad affrontare la morte di un giovane con fiducia nella vita e nei suoi misteri è alquanto difficile. La disperazione, la tristezza e lo shock iniziale creano dentro di noi un vuoto immenso.

Ma è proprio in questo vuoto che possiamo trovare il senso. Della vita e della morte.

Rimanere nella mancanza senza tentare di sfuggirvi, celebrarla con pensieri, preghiere, gesti di vicinanza, fermarsi nella quiete, nel silenzio, nel raccoglimento sono vere e proprie medicine per la nostra anima in un momento così doloroso. Essere presenti spiritualmente (ognuno a proprio modo) e accompagnare chi ci ha lasciato a compiere il suo nuovo viaggio è il nostro compito terrestre.

Si può accompagnare una persona nel suo cammino (di terra o di cielo) dedicandogli attenzione nella nostra mente e nel nostro cuore, cantando per lui, scrivendo poesie, anche solo pensandolo. Raccogliendoci in questo collegamento con l’altro possiamo fargli sentire la nostra vicinanza, arrivare a lui, farlo entrare dentro di noi.

E’ un modo antico e saggio di stare vicino a chi è in difficoltà, a chi ha lasciato il corpo, a chi è lontano e non possiamo raggiungere con la nostra presenza fisica. Concentrarsi sull’altro con intenzioni d’amore ci rende ancora più uniti, ci conduce ad incontrarci ad un livello più profondo, a sentirci come non mai, a vederci con gli occhi dell’anima.

Solo così possiamo trovare il senso della vita, solo vivendo la morte altrui possiamo capirne il messaggio divino che è giunta a portarci.

Se sei consapevole della morte, essa non arriverà come una sorpresa, non ne sarai preoccupato. Percepirai che la morte è esattamente come cambiarsi d’abito e, di conseguenza, in quel momento riuscirai a mantenere la tranquillità mentale.
(Dalai Lama)

Se questo modo di pensare alla morte può sembrare più facile quando si perde un anziano, per la morte di un giovane ci appare impossibile. I nostri pensieri si concentrano sulla sfortuna, sulla vita che aveva davanti e che non potrà più vivere, sull’ingiustizia subita. E non riusciamo ad essere in quello stato di raccoglimento utile ad accompagnarlo nel suo passaggio e fondamentale per elaborare la perdita subita.

Se all’inizio è lo shock a portarci in un abisso doloroso e tenebroso, con il passare del tempo dobbiamo provare a sentire e a guardare con più lucidità interiore all’accaduto.

Ciò che ogni giorno della nostra vita dobbiamo avere ben chiaro in noi è che ogni persona ha un disegno divino da mettere in atto durante la propria esistenza e che non esistono sfortune ma prove da vivere per poter attuare questo disegno. Create da mani e cuori più esperti e saggi di noi.

La morte di un giovane, come quella di qualsiasi altro individuo, ci racconta della sua vita che ha da concludersi quel giorno e in quel modo. Diverso da tutti gli altri, scritto e pensato solo per lui, adatto alla sua anima.

Con questo pensiero si può vivere la morte di un giovane in modo più libero da sensi di colpe, da pessimismo nei confronti della vita, dalla disperazione di non aver potuto fare niente per lui. E ci si può focalizzare sulla sua celebrazione. Di vita e di morte.

Quando un uomo muore, un capitolo non viene strappato dal libro, ma viene tradotto in una lingua migliore.
(John Donne)

Lettera dedicata ad un giovane che ha lasciato la vita

Scrivere o leggere una lettera per chi ci ha lasciato aiuta noi stessi ad entrare in collegamento con lui, ad onorarlo, ad aiutarlo ed ad aiutare noi stessi a vivere il suo passaggio. Questa la lettera che vorrei dedicare a tutte le persone morte giovani e a tutti i famigliari che si trovano o si sono trovati a vivere questa profonda esperienza di dolore.

“A te, che sei andato via troppo presto.

Troppo presto per me. Per le mie credenze, per le mie aspettative, per la voglia di averti ancora accanto. So che questa è la tua strada ed io non voglio ostacolarla con le mie paure e le mie mancanze. Non ti voglio distrarre in questo momento cruciale per te. Ho deciso di celebrarti, per quello che hai dato al mondo, per quello che hai donato a me. Continuerò a portarti nel mio cuore, proprio lì dove hai sempre abitato, e ti farò vivere grazie ai miei occhi, al mio sorriso, alle mie avventure. Ora stiamo compiendo entrambi un viaggio: tu verso mete lontane, io dovrò imparare a non averti accanto. Capirò tanto da questo cammino non previsto. Tu non badare alla mia tristezza, alle mie lacrime, al mio senso di vuoto: sono parti di me che hai risvegliato e che mi stanno già insegnando tanto. Ora pensa a te stesso e alla tua trasformazione. Siamo tutti qua ad accompagnarti nel tuo passaggio: le senti le preghiere, i canti, i ricordi di te? Ti stiamo celebrando, stiamo facendo festa per tutto l’amore che hai saputo donare a chiunque ha avuto l’onore di incontrarti. Ti liberiamo dalla nostra tristezza: vola leggero, verso mete che attendono solo te.”

Quando uno muore, i vivi si sentono svuotati. Poi dopo un po’ ricominciano a vivere e la loro mente si riempie di sogni e il loro cuore si riempie di battiti. E’ difficile resistere alla vita.
(Fabrizio Caramagna)

E questa, ne sono convinta, la risposta alla mia lettera:

“La morte non è niente.
Sono solamente passato dall’altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare; parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato. Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere, di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme. Prega, sorridi, pensami! Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima: pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto: è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore, ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non piangere, se mi ami: il tuo sorriso è la mia pace.”

(La morte non è niente, di Henry Scott Holland)

Elena Bernabè Scrittrice





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