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Ragù, Formaggio o Frittata Senza Carne, Latte o Uova è Corretto Chiamarli così?

Di Aida Vittoria Éltanin (E.V.A.) - 7 Giugno 2017

Che siate vegani o meno, vi sarà capitato più volte di non sentirvi completamente a vostro agio a parlare di “ragù veg”, “fari-frittata” o di “tiramisù” per descrivere dei manicaretti senza cibi animali.
Dopo tutto, senza uova, latte o carne, quei piatti non sarebbero quello che sono.
Giusto?
A volte no…

NEOLOGISMI Sì, NEOLOGISMI NO

Il mondo vegano è diviso in due fronti in questo campo.
C’è chi preferisce usare neologismi od eufemismi al fine di:

1) far notare che questi piatti hanno qualcosa di diverso dagli altri
2) evitare che amici onnivori si mettano a fare spiacevoli paragoni

Ed ecco che quindi si sente parlare di “non-formaggi di mandorle“, di “fari-frittate” con i ceci, di “soycino” per un cappuccino con latte di soia.

Dall’altra parte invece c’è chi sostiene che sia del tutto legittimo utilizzare vocaboli italiani tradizionali per piatti veganizzati o senza ingredienti animali, per vari motivi:

a) per evitare che gli onnivori partano prevenuti e insospettiti
b) perchè spesso questi piatti sono vegani per tradizione storica
c) perchè il nome originale del piatto a volte non ha a che fare con l’ingrediente animale ma con la forma, o con il nome di chi l’aveva inventato, o con altri ingredienti vegetali utilizzati al suo interno

Chi ha ragione? Da che parte vi mettereste voi?
Noi abbiamo fatto scendere in campo un arbitro molto speciale… l’etimologia!
E quest’arbitro neutrale dice che avete ragione TUTTI!
Alcune parole si possono tranquillamente usare anche per i piatti vegani. Alcune assolutamente no.
Per altre, è assolutamente indifferente la cosa.
Partiamo dalle prime…

PAROLE CHE E’ CORRETTO USARE PER I PIATTI VEGANI

RAGU‘= dal francese “ragout”, questa parola non significa affatto “sugo con carne”, ma deriva dalla parola “gout”, cioè “GUSTO” e significava “risvegliare il gusto”. Era utilizzata per qualsiasi manicaretto o salsa che stimolasse l’appetito e riscuotesse molto consenso tra i commensali.
Corretto quindi parlare di “ragù di lenticchie” o di simili salse appetitose!

SUPPLI’= Sorpresa! Questa parola non si riferisce a un manicheretto da cui fuoriesce del formaggio o della carne, appena lo si apre.
Questo termine significa proprio… “sorpresa!”.
Supplì è infatti la storpiatura in romanaccio della parola francese “surprise”. La sorpresa era il contenuto della pasta di mezza luna, che poteva variare ogni volta. Non è quindi affatto scorretto parlare di “sorprese vegane“.
GRANA = dalla parola “granello” e dalla stessa radice della parola “grano”, a descrivere un alimento che aveva la stessa consistenza dei granelli, o di tanti piccoli “grani”. Corretto quindi parlare di “grana vegano” o “grana di mandorle”, come quello nella foto, fatta con 25 mandorle tritate con 1/4 di cucchiaino di sale. Quello che infatti piace di questo cibo è il suo alto contenuto di GRASSO e di SALE, due nutrienti che per fortuna esistono abbondantemente anche in natura.

PIADINA = Deriva dalla parola “piàdena”, dal latino medievale “pladena”, a sua volta dal greco “piatto lungo”. Questo piatto, in origine, era vegano. Già gli Etruschi la preparavano utilizzando semplicemente una pastella di cereali azzima e farcendola con verdure e ortaggi cotti. Solo nel 1600 fu introdotto l’uso dello strutto, nel sud d’Italia, dagli spagnoli invasori. Non sentitevi quindi in colpa se vi preparate, o se chiedete in qualche piadineria, una piadina senza strutto, anche se vi guarderanno male in tanti!
E’ questa la versione originale della ricetta!

FRITTATA / OMELETTE = Non può esistere una frittata senza uova, giusto?
Eppure frittata deriva dal verbo “friggere”, e si riferiva a qualsiasi piatto che veniva cotto con olio o burro in una padella piatta e tonda, di cui prendeva la forma. Anche se era tipico cucinare frittate con le uova, anche in francese la parola equivalente, “omelette”, deriva da una parola simile all’italiano “lamella” (amelelle), ovvero un coltello molto piatto, proprio perchè una “omelette” si riferiva non tanto alle uova, ma a qualsiasi piatto dallo spessore molto sottile e fritto. Approvate quindi le frittate con farina di ceci, anche senza doverle chiamare “fari-frittate”, come quella della foto seguente…

POLENTA TARAGNA = Lungi dal significare “polenta con formaggio”, la parola “taragna” deriva dal verbo “TARARE”, cioè “rimestare”, parola che a sua volta deriva da “TAREL”, un tipico bastone di legno (dal quale deriva la parola MATTARELLO!) con il quale veniva mescolata una polentina fatta con l’aggiunta di grano saraceno. Questo grano infatti differenzia la polenta taragna dalle altre. L’aggiunta di formaggi (e della farina di mais) è avvenuta solo successivamente. Prima della scoperta dell’America, la polenta era fatta di farro, grano saraceno, segale e farina di castagne. Vegana per tradizione.

FORMAGGIO = dal latino “formaticum”, cioè “forma”.
Questa parola quindi non fa riferimento al latte di una mamma mucca, ma alla forma speciale che si otteneva inserendo del latte in apposite ceste, dette appunto anche “forme”.
In greco infatti, la parola “cesta” era “phormos”. Fin dai tempi del medioevo sono conosciuti infatti i formaggi fatti con latte di mandorle. Perfettamente corretto utilizzare questa parola per parlare di “formaggio di anacardi”, “formaggino spalmabile di mandorle”, “formaggio di lupini” ecc. come quelli della foto e le cui ricette potete trovare cliccando qui (FORMAGGI VEGETALI).


ARROSTO = Mai provato un arrosto di sedano rapa o uno di seitan? Questa parola significa semplicemente un piatto cucinato al fuoco, dalla parola “rost” che in tedesco significa appunto “fuoco”.
(Ci basti pensare al termine “caldarroste”).

RAVIOLI E CAPPELLACCI ALLA FERRARESE =
Partiamo dai primi.

La parola raviolo viene dal veneto rafiol. A sua volta questa parola deriva dal termine raffio, ovvero una sorta di uncino, la forma che ricorda un raviolo a cui si allunga molto verso l’alto un lembo di pasta.
In maniera simile, il termine “Cappellacci” deriva dalla parola “cappello”, o “caplaz”, il cappello di paglia dei poveri, a cui somigliavano questi tortelli dalla forma molto più grande di quelli delle zone vicine. Parlare di “cappellacci” vegani è quindi più che corretto, se la forma del tortellone resta grande come quella originale, o a forma di cappellaccio appunto. E cosa c’era di così tipico in quel di Ferrara nel medioevo, tra i contadini, da dare il nome a questo primo piatto.
No, non era la carne. Era la ZUCCA... Questo ortaggio così umile era prodotto in abbondanza nel Ferrarese, e veniva comunemente usato come ripieno dei tortelli nella cucina POVERA dei contadini della zona.
Tutta un’altra storia era questo piatto “ingrassato” e “imburrato” per i banchetti dei nobili medievali, con l’aggiunta di zenzero e pepe, tanto che in questa forma venivano chiamati “caplaz con il butirro“, cioè con il burro, tanto inusuale era tra i poveri utilizzare questo condimento e queste spezie così costose e dall’uso non certo popolare.

Se quindi volete rifare il piatto contadino e semplice delle origini, potreste senza problemi chiamarli “cappellacci alla ferrarese”, come nella ricetta qui presente del fantastico blog La Cucina della Capra.
Se invece volete rifare la versione “da banchetto”, grassa, sfarzosa ed opulenta, allora dovreste chiamarli “cappellacci alla ferrarese con burro, formaggio e spezie”…

YOGURT = Questa è una parola turca, che deriva dal termine YOG che vuol dire “fermentare”. Non vi è dubbio ormai che può essere fatto fermentare ogni tipo di latte vegetale. Non è quindi un problema parlare di yogurt di soia, e se li avete provati (ormai ce ne sono di molte marche in tutti i supermercati), avrete notato che non vi è differenza nel sapore e nella consistenza di questo alimento.

RICOTTA = Facile capire da dove derivi questo nome, cioè dal verbo “cuocere”, e il suo passato prossimo. La ricotta era un formaggio ottenuto dall’aver cotto del latte sul fuoco. E come abbiamo visto per la parola “formaggio”, è anche la tipica forma a cestino retato che caratterizza questo tipo di alimento. Corretto quindi parlare di ricotta di latte vegetale, come la buonissima ricotta di latte di soia, o anche per la più saporita ricotta di lupini, o per la ricotta di mandorle.

SPIEDO E SPIEDINI = Dalla parola “spiedo” che significava “forca / spuntone / spina”, dal nome di un’arma utilizzata in passato e che poi venne usata per infilzare vari tipi di pietanze. E’ quindi perfettamente corretto parlare di spiedini di frutta o spiedini di verdure.

SUSHI = In Giapponese antico non vi è dubbio che questa parola significasse “ASPRO”, e non certo “pesce crudo”. A rendere leggermente aspro questo piatto era il RISO, fermentato con l’aceto. E’ quindi questo alimento vegetale la base del piatto che ormai per noi è sfortunatamente sinonimo di “pesce crudo arrotolato dentro al riso”. Anche se sicuramente la versione di sushi più famosa e originale era l’abbinata “riso+pesce crudo”, è comunque chiaro che altrettanto antico e popolare tra la gente comune (quella le cui ricette non finivano nei libri!), fosse il sushi di verdure, che si trova in tutti i ristoranti giapponesi (spesso con il nome di NORI MAKI, come quello della foto, interamente vegetale, della food-blogger vegana Roberta Nini).

PAELLA = Dallo spagnolo “PADELLA”, questo piatto in origine descriveva infatti un’enorme padella che veniva utilizzata dai contadini a metà mattina, nei campi, per cuocervi del riso e le verdure che avevano a loro disposizione. Tutti avevano un lungo mestolo di legno e si mangiava tutti in cerchio dalla stessa padella sul fuoco. E’ quindi storicamente ed etimologicamente corretto parlare di “paella vegana”, dato che le prime “padellate” erano di origine vegetale, e solo in alcune regioni si aggiunsero anche altri alimenti come pesce o carne.

PANNA = Questo termine deriva dal comunissimo vocabolo “PANNO”. Questo cibo infatti si produceva grazie a un tessuto naturale, un panno appunto, che si utilizzava per ricoprire e tenere al caldo un vaso di latte, per farlo cagliare affinchè arrivasse a galla la parte più grassa. Anche se non è certo il cibo più salutare del mondo, sarebbe corretto parlare di “panna di soia”, “panna vegetale” e “panna di mandorle”. Purtroppo i produttori di panna vegetale tendono a chiamarla “CREMA”, ma la bella notizia è che sono sempre di più queste panne vegetali nei nostri supermercati.
Sono più leggere di quelle animali, ma restano infatti anche meno sullo stomaco dopo mangiato!
Provare per credere.

E per finire…

POLPETTA = Prima del 1300 nessuno parlava di “polpette di carne” in Italia. Le prime polpette di carne macinata vengono descritte dal cuoco medievale dei nobili (Maestro Martino) ma l’origine di questa parola ci ricorda che proviene da “POLPA”, non solo intesa come la carne che veniva macinata in questo piatto, ma con il significato di “ridurre qualcosa in polpa”, e di “rotondo”. Questo piatto infatti sembra esserci arrivato dagli Arabi, attraverso la Spagna. In spagnolo la parola polpetta è “ALBONDIGAS”, un oggetto rotondo come una nocciola. Sembra infatti che le prime polpettine fossero dolci, e fatte di frutta secca schiacciata fino a farne, appunto, una polpetta… Non fatevi quindi problemi a polpettare con gli alimenti vegetali! E viva le squisite polpettine di frutta (come i baci di Eva, dolcetti crudisti fatti semplicemente con mandorle e uva passa tritate insieme!).

Nel prossimo articolo proseguiremo questo viaggio etimologico osservando alcune parole che in effetti non sarebbe corretto utilizzare per piatti vegani. Ve ne anticipiamo una?
Per esempio, la parola SALSICCIA…
A presto, e buon ragù e sushi vegetale a tutti!

Aida Vittoria Eltanin, autrice del ricettario vegano L’Arca di Eva & Friends





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