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Rassegna Etica

Digitale Purpurea: Il Fiore della Sensualità Proibita e la sua Leggenda

Di Laura De Rosa - 5 Giugno 2017

La Digitale Purpurea appartiene alla famiglia delle Scrophulariaceae, si tratta di una pianta con fiori porpora tubolari che assomigliano a delle campanule. E’ diffusa soprattutto nelle zone temperate europee, in Asia e in America. I fiori sono distribuiti lungo lo stelo e ne esistono molte specie diverse, sia biennali che perenni. E’ una pianta che può sopravvivere sia all’ombra che al sole e di solito non necessita di molta acqua. Si dice sia in grado di crescere prima di altre piante sui terreni che per qualche ragione “traumatica”, per esempio incendi, sono rimasti senza vegetazione, anche detti disturbed grounds. Per quanto riguarda le proprietà si ritiene abbia principi attivi che agiscono sul cuore sebbene si tratti pur sempre di una pianta velenosa. Nel linguaggio dei fiori simboleggia la sensualità proibita, la trasgressione.

Leggende sulla Digitale Purpurea

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Essendo poco diffusa nel bacino mediterraneo, non ci sono molte leggende che la riguardano, diversamente accade in Nord Europa dove invece è molto popolare, associata a storie di folletti, spiriti, elfi ma anche alla morte, probabilmente a causa del suo veleno che la rende potenzialmente fatale. La forma delle campanule che ricordano sia un cappello che un ditale probabilmente hanno ispirato le leggende secondo le quale il fiore di Digitale sarebbe il cappello tradizionale delle fate e dei folletti.
Ma lo stesso fiore avrebbe anche la capacità di proteggere gli esseri umani dalle cattiverie degli esseri soprannaturali e di essere nocivo per chi lo distrugge o tenta di coglierlo perché all’interno ci dormirebbero proprio le fate. Specialmente in Gran Bretagna e paesi limitrofi la Digitale è protagonista di numerose storie che coinvolgono proprio il piccolo popolo.
Una leggenda inglese spiegherebbe il perché la Digitale sia chiamata foxglove, guanto di volpe. Sarebbero state le fate a dare alle volpi il fiore affinché lo infilassero nelle zampe per diminuire il rumore e non essere catturate nelle battute di caccia. A meno che foxglove non derivi, come suggeriscono alcuni, da Folk’s glove, guanto del popolo, inteso come piccolo popolo. Le diverse creature che lo compongono, incluse le fate, hanno spesso una natura ambigua, per certi versi benevola, per altri molto dispettosa e anche malvagia.
In letteratura la Digitalis Purpurea è stata molto amata tanto da ispirare diverse composizioni e poesie decadenti. Famosa quella scritta da Giovanni Pascoli ma anche nell’arte la Digitale venne omaggiata, basti pensare al Ritratto del dottor Gachet di Vincent Van Gogh. Si narra che la Digitale venisse usata dalle ianare, donne dotate di poteri magici che vivevano a Benevento, grandi conoscitrici delle erbe.
Come abbiamo visto molte leggende riguardanti la Digitale ruotano intorno al mondo del piccolo popolo, in particolare alle fate. Ma il fiore ha ispirato anche altro genere di storie, per esempio nel foklore locale si riteneva che i fiori di digitale fossero ditali per cucire, mentre altri ci riconobbero le dita guante della Vergine, quasi a voler santificare una pianta in realtà pericolosa.

Poesia di Giovanni Pascoli

digitale
Giovanni Pascoli dedicò alla Digitale una bellissima poesia, ne riportiamo di seguito alcune parti. La poesia decadente è incentrata su due ragazze, una bionda dall’aspetto rassicurante e l’altra bruna dagli occhi ardenti. E’ chiara quindi la contrapposizione tra la donna angelica, pura, innocente, e la donna demoniaca, trasgressiva e sensuale. Dopo una prima parte dedicata al ricordo del convento e della loro infanzia, si passa al presente e alle inquietudini segrete delle due ragazze, in un’atmosfera sacro-profana. La parte conclusiva è pervasa di nuovo dall’innocenza candida che tuttavia viene spezzata dal fiore proibito, che induce in tentazione la parte demoniaca, desiderosa di assaporarne il profumo nonostante si tratti di una pianta velenosa e quindi potenzialmente pericolosa.
Siedono. L’una guarda l’altra. L’una
esile e bionda, semplice di vesti
e di sguardi; ma l’altra, esile e bruna,

l’altra… I due occhi semplici e modesti
fissano gli altri due ch’ardono. «E mai
non ci tornasti?» «Mai!» «Non le vedesti
più?» «Non più, cara.» «Io sì: ci ritornai;
e le rividi le mie bianche suore,
e li rivissi i dolci anni che sai;”

“Maria!» «Rachele!» Questa piange, «Addio!»
dice tra sé, poi volta la parola
grave a Maria, ma i neri occhi no: «Io,»
mormora, «sì: sentii quel fiore. Sola
ero con le cetonie verdi. Il vento
portava odor di rose e di viole a
ciocche. Nel cuore, il languido fermento
d’un sogno che notturno arse e che s’era
all’alba, nell’ignara anima, spento.
Maria, ricordo quella grave sera.
L’aria soffiava luce di baleni
silenzïosi. M’inoltrai leggiera,
cauta, su per i molli terrapieni
erbosi. I piedi mi tenea la folta
erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni!
Vieni! E fu molta la dolcezza! molta!
tanta, che, vedi… (l’altra lo stupore
alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta
con un suo lungo brivido…) si muore!

Laura De Rosa
yinyangtherapy.it

 





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