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Rassegna Etica

Vocazione: Seguire la Propria Strada è Importante ma NON Significa Avere Successo

Di Laura De Rosa - 23 Gennaio 2017

Ogni vita non vissuta accumula rancore verso di noi, dentro di noi: moltiplica le presenze ostili. Così diventiamo spietati con noi stessi e con gli altri. Intorno a noi non vediamo che lotta, cediamo e soccombiamo alle perfide lusinghe dell’invidia. Si dice bene che l’invidia accechi il nostro sguardo è saturo delle vite degli altri, noi scompariamo dal nostro orizzonte. La vita che è stata perduta, all’ultimo, mi si rivolterà contro.” (C.G.Jung, citato in “Jung parla. Interviste ed incontri”, Adelphi, Milano, 1999)
Vocazione. Realizzazione. Successo. Reputazione. Fama. Concetti diversi confusi tra loro. Il raggiungimento del successo/fama/realizzazione dipende dall’aver imboccato la strada giusta specchio della nostra essenza/vocazione?
Nella presentazione di un incontro incentrato sull’analisi dell’episodio “Caduta libera” della serie tv Black Mirror, organizzato dalla casa editrice Tlon di Andrea Colamedici e Maura Gancitano, leggiamo: “la reputazione rischia di scontrarsi con la vocazione, che non ha niente a che vedere con il riconoscimento e con il giudizio esterno, ma solo con l’eros che muove le azioni, con l’adesione a sé stessi. Si può davvero seguire la propria vocazione se si presta così tanta attenzione alla reputazione?
vocazione
La serie tv citata, nell’episodio shock “Caduta libera”, ha messo il dito sulla piaga mostrando una società futura letteralmente dominata dalla reputazione online. La protagonista Lacie, ossessionata dalla casa dei suoi sogni, ahimè troppo cara, tenta di aggiudicarsi un maxi sconto per esaudire il desiderio. L’obiettivo è aumentare il suo score profilo, valutato dall’app Rate Me, con una scala da 0 a 5, sulla base delle interazioni social. Questa scala, nel suo mondo, identifica diverse tipologie di persone: 2.5 si riferisce agli Outsider, 4.8 è la media dei Popolari. Il punteggio è visibile nella realtà quotidiana attraverso apposite lenti a contatto che consentono di capire a quale classe appartiene chi si incontra. Ma c’è di più perché a seconda del grado di popolarità si ha accesso o meno ad alcuni servizi basilari per l’essere umano. I più popolari hanno diritto alla casa in alcune zone cittadine, i meno popolari in quelle periferiche. Niente di nuovo sul fronte “occidentale”.
Il merito di Black Mirror, stando al tema della vocazione/reputazione/successo, è riflettere sullo strapotere della popolarità, che poi è paura dell’esclusione. Popolarità confusa con la vocazione perché nell’opinione comune realizzazione e successo appartengono, spesso, a chi riesce a trovare la propria strada autentica ma è davvero così?
Successo e vocazione non sempre coincidono
successo-e-vocazione
Il successo a mio parere non coincide sempre con la vocazione. Il problema sta nell’identificazione squilibrata. Oggigiorno la via di realizzazione più “in” passa attraverso la professione; niente di male a voler inseguire i propri sogni ribellandosi alla logica del lavoro frustrante, purché non si verifichi un’identificazione totale della persona con quell’ambito, che diventa in tal caso fagocitante. C’è poi un discorso più ampio perché a livello sociale capita che, a seconda delle fasi storiche, vi siano dei trend.
Oggigiorno la realizzazione professionale detiene, in Occidente, il primato assoluto. L’individuo realizzato, quindi di successo nel suo ambito lavorativo, si dice che “ce l’ha fatta” a trovare la propria strada autentica. Ma se tutti desiderano ardentemente qualcosa, nel caso specifico il successo lavorativo (come un tempo, per quanto riguarda le donne, la realizzazione tramite la famiglia), evidentemente quel desiderio è condizionato dalla società. A volte il proprio desiderio autentico può essere che coincida, almeno in parte, con quello “dominante” ma che i desideri della stragrande maggioranza delle persone vertano tutti sullo stesso tipo di realizzazione mi rende perplessa.
Molti dei personaggi storici che hanno seguito la propria vocazione, penso a Van Gogh, Gandhi, Martin Luther King, Frida Kahlo, Nelson Mandela, tanto per fare nomi a caso, hanno avuto un bel da fare per portare avanti le loro “idee” uniche.
E’ che la vocazione quando emerge, ma è solo una mia opinione, ti dà la forza di procedere a dispetto del pensiero dominante. Puoi decidere di seguire quella voce con tutti gli inevitabili rischi che ciò comporta, o di metterla a tacere, che è più comodo ma anche frustrante. Penso che una voce autentica offra a suo modo un contributo unico alla società e, quindi, perlomeno all’inizio possa incontrare più ostacoli di una voce omologata.
Ma allora vocazione coincide ancora con successo/reputazione/realizzazione? Non è detto perché il successo potrebbe dipendere da quanto si è bravi, astuti, preparati a inseguire e adattarsi al modello vincente.
Alla vocazione non interessa vincere ma contribuire
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Spesso si dice che se una strada fa per noi lo si capisce dal piacere che si prova nel seguirla. Ma se il piacere fosse distorto dai modelli imperanti e non autentico? Sicuramente ottenere like procura piacere ma che tipo di piacere è? Anche una sniffata di cocaina è estremamente piacevole, peccato che dia dipendenza e progressivamente ci annienti.
Come distinguere il piacere da sniffata da quello autentico? Qui si ritorna alla confusione tra vocazione e successo/reputazione perché quest’ultima ci fa sentire bene al pari di una sniffata mentre la vocazione secondo me è fatta di un piacere più silenzioso che ha a che fare con i propri ideali e che, in un modo o in un altro, vuole offrire un contributo alla società. Non per uscirne vincente, ma per migliorarla. Se il messaggio non viene compreso perché cozza con i modelli imperanti ci si può star male ma non si cambia strada. La vocazione, rispetto alla reputazione, a mio parere non segue il trend del momento, non è assoggettabile. Può perseguire i suoi scopi usufruendo dei mezzi a disposizione ma non ne è schiava.
Vocazione e nevrosi
Dice Jung a proposito di vocazione e nevrosi: “La nevrosi è un tentativo, talvolta pagato a caro prezzo, di sfuggire alla voce interiore e quindi alla
 propria vocazione […]. Dietro la perversione nevrotica si cela la vocazione dell’individuo, il suo destino, che è crescita della personalità, piena restaurazione della volontà di vivere, che è nata con l’individuo. Nevrotico è l’uomo che ha perso l’amor fati; colui, invero, che ha fallito la sua vocazione […] ha mancato di realizzare il significato della sua vita”, (C. G. Jung,Lo sviluppo della personalità,1932, XVII, pp. 183-184).
Se ne deduce che la vocazione può far paura perché ci chiede di mettere in discussione pseudo-certezze e di abbandonare le idee rassicuranti cui ci aggrappiamo. Non coincide necessariamente con il successo e con l’osannata serenità, basti pensare a Van Gogh che ottenne fama dopo la morte e come lui tanti altri. E’ semplicemente la propria strada, grande, piccola, bella, brutta, triste, felice, dipende da tanti fattori. Non coincide necessariamente con la realizzazione professionale sebbene oggi le due cose sembrino strettamente collegate.
Perché è tanto difficile individuarla? Non voglio banalizzare la risposta ma penso che la difficoltà nasca, tra le altre cose, dalla paura dell’esclusione. Perché la vocazione non è detto che conduca al successo per com’è inteso dalla società in cui si vive. Può coincidere ma anche no.

Laura De Rosa
yinyangtherapy.it





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