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Troppa carne rossa negli ospedali: il pericolo per i pazienti oncologici. Il servizio de "Le Iene"

Di Marco Grilli - 21 Dicembre 2016

Carne servita fino a 16 volte a settimana. Succede in alcuni ospedali italiani nei confronti dei malati di tumore, in barba ai pareri della comunità scientifica e delle regole inserite nel Codice europeo contro il cancro, un’iniziativa promossa dalla Commissione europea per informare i cittadini sulle azioni da intraprendere per diminuire il rischio di contrarre questa malattia. La denuncia viene dalla trasmissione di Italia 1 “Le Iene”, nel servizio “Cosa e come deve mangiare chi ha il cancro”, andato in onda il 18 dicembre e realizzato da Marco Occhipinti e Nadia Toffa, con Giulia Mascaro.

In Italia si stima che ogni anno vi siano circa 363.00 nuove diagnosi di tumore (esclusi i carcinomi della cute), con 1.000 casi rilevati al giorno. Fortunatamente negli ultimi anni sono migliorate le percentuali di guarigione, con il 63% delle donne e il 57% degli uomini ancora in vita a cinque anni dalla diagnosi. Merito della maggiore efficacia delle terapie e della sempre maggiore adesione alle campagne di prevenzione, una delle armi più efficaci contro questa terribile malattia.

Come rileva lo stesso Codice europeo contro il cancro, una dieta sana, composta prevalentemente da cereali integrali, legumi, frutta e verdura, si rivela fondamentale per ridurre il rischio di imbattersi in questa patologia. La comunità scientifica non ha dubbi: limitare il consumo di cibi molto calorici ad alto contenuto di grassi, zuccheri e sale, così come della carne rossa, non potrà che giovare alla salute. Da evitare la carne conservata e le bevande zuccherate, mentre è sconsigliata anche l’assunzione di alcolici.

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Il parere di esperti intervistati nel servizio, che da anni dedicano la loro vita alla lotta contro il cancro, conferma quanto appena espresso. «Sempre più studi ci stanno dicendo che l’alimentazione e gli stili di vita aiutano a sostenere le persone durante le cure», afferma la dottoressa Anna Villarini, biologa nutrizionista dell’Istituto tumori di Milano. Sui cibi consigliati nei casi di cancro è chiarissimo il noto oncologo dott. Franco Berrino: «Ci sono sempre più dati che dimostrano che ritornando all’alimentazione mediterranea tradizionale, cereali integrali, legumi, verdure, noci, nocciole, mandorle, olio extravergine di oliva e così via, si riduce il rischio di malattie di cuore e ci sono molti indizi che possa migliorare la prognosi dei tumori». Quanto agli alimenti da evitare per pazienti oncologici, uno dei più importanti ricercatori italiani negli States, il prof. Valter Longo della University Southern California, invita a eliminare la carne rossa, le bevande con alto contenuto di zuccheri e i cibi con grassi saturi.

Nessuna patologia è causata soltanto dal consumo di carne rossa, ma gli epidemiologi concordano sul fatto che coloro che seguono diete particolarmente ricche di proteine animali, soprattutto carni rosse e lavorate, hanno un maggior rischio di sviluppare patologie come diabete, infarto, problemi cardiovascolari, obesità e cancro (principalmente al colon-retto e allo stomaco).

Nell’ottobre 2015 l’International agency for research on cancer (Iarc), un’agenzia dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che valuta e classifica le prove di cancerogenicità delle sostanze, ha valutato la carne rossa come probabilmente cancerogena (classe 2A) e la carne rossa lavorata (ad esempio insaccati e salumi), come sicuramente cancerogena (classe 1).

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L’aumento del rischio è naturalmente proporzionale alla quantità e frequenza dei consumi. Secondo lo Iarc un consumo al di sotto dei 500 grammi a settimana non presenta conseguenze negative per la salute, il World Cancer Research Found consiglia di non superare i 300 grammi a settimana, mentre l’Harvard School of Medicine è più drastica, restringendo il limite del consumo di carni rosse a porzioni non superiori agli 80 grammi, al massimo due volte a settimana. Si legge sul sito dell’Associazione italiana ricerca sul cancro (Airc): «La carne rossa – e in particolare la carne rossa lavorata – è un cancerogeno umano, cioè in grado di indurre mutazioni a livello del DNA delle cellule. Una gran mole di studi condotta nel tempo ha dimostrato che un consumo abbondante di carne rossa, soprattutto se lavorata e cotta ad alte temperature, aumenta il rischio di sviluppare molte malattie, prima fra tutte il cancro al colon-retto. È bene quindi limitare il consumo di proteine animali e sostituire la carne rossa, ogniqualvolta possibile, con pollo o pesce, o meglio ancora con proteine vegetali come i legumi e la soia. Infine, vanno fortemente limitate, se non evitate, le carni lavorate come i salumi e quelle molto cotte e abbrustolite. In generale tre quarti di ciò che mangiamo complessivamente dovrebbe essere costituito da cibi vegetali».

Per i malati di cancro è dunque necessario limitare le carni rosse ed evitare quelle lavorate. Ma non solo. Come spiega la dottoressa Villarini nel servizio – al di là della premessa che un paziente oncologico deve sempre rivolgersi ad un nutrizionista esperto perché tutte le situazioni sono diverse – le cellule tumorali si nutrono di glucosio, che non è solo zucchero ma anche parte di quelle farine con cui si fanno pasta, pane, dolci e altro. In sintesi, il malato di cancro deve ridurre il consumo di zucchero in tutte le sue forme, dai cibi preparati con farine 0 e doppio zero, fino ai succhi di frutta e alle bevande zuccherate. Per tenere bassa la glicemia vanno benissimo invece i cereali integrali, i legumi e la pasta di grano duro.

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Considerate queste premesse, qual è effettivamente il regime alimentare dei pazienti oncologici negli ospedali italiani? Le Iene hanno voluto indagare, giungendo a conclusioni decisamente non rassicuranti. Primo ospedale: menù uguale per tutti i pazienti, senza nessuna limitazione per i malati di tumore. Spazio dunque a carni, insaccati, formaggi e farine raffinate, presenti in abbondanza nei piatti dei degenti. Sarà un caso? Non pare, perché in un importante Policlinico universitario cattolico, i ricoverati in chemioterapia affermano senza remore di mangiare lasagne, tortini di carne, formaggi, insaccati, scaloppine, polpette e hamburger. Non va meglio nel terzo ospedale, dove anche qui non paiono esserci limiti a tutti quei cibi fortemente sconsigliati ai malati di cancro.

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Nuova tappa: un istituto tumori, ovvero un centro specializzato per la cura di questo male. Il menù settimanale non lascia adito a dubbi. In una sola settimana sono ben nove i piatti a base di carne, senza contare le svariate aggiunte di latticini. In un altro ospedale si registra un paradosso: quando la carne viene servita come secondo sia a pranzo che a cena, non manca perfino nei primi piatti. Che dire poi degli insaccati serviti troppo spesso a cena o dei purè di patate ripetuti all’infinito nei menù? Evidentemente non si applicano limitazioni alla carne così come ad altri cibi ritenuti a rischio per i malati oncologici, poiché il purè di patate, ad esempio, tende ad innalzare l’indice glicemico.

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L’attenzione si sposta ai responsabili. L’intervistatrice decide di incontrare prima un direttore di un reparto di oncologia presso un ospedale pubblico, poi un nutrizionista ospedaliero. Nel primo caso il diretto interessato pare inizialmente non considerare e sottovalutare il problema, ma posto di fronte all’evidenza dei fatti (carta canta e il menù parla chiaro), si dichiara disposto ad incontrare i nutrizionisti per valutare eventuali cambiamenti al regime alimentare dei pazienti oncologici. Nel secondo caso l’ostilità è maggiore, perché il nutrizionista di un ospedale pubblico che ha inserito nel menù addirittura 16 piatti a base di carne a settimana, si dimostra insensibile all’argomento e riduce le stesse prescrizioni dell’Oms a semplici linee guida che possono essere rispettate o meno.

La polemica è poi tutta nel finale, quando la direttrice sanitaria e primaria di un istituto tumori, incalzata dall’intervistatrice, non accetta critiche e difende la scelta della carne servita ben nove volte a settimana, ben oltre qualsiasi limite preso in considerazione dalla comunità scientifica. Confortiamoci però: il problema non è solo italiano e anche negli ospedali dei Paesi più progrediti le linee guida dell’Oms restano ancora troppo spesso lettera morta, come confermato dal prof. Valter Longo.

Le Iene hanno lanciato il sasso e l’argomento merita ulteriori approfondimenti. In gioco c’è la nostra salute.

Marco Grilli





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