Anteprima
Spiritualità

Il Karma: cos'è e come funziona

Di Laura De Rosa - 21 Ottobre 2015

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Se è la sofferenza che temi, se è la sofferenza
ciò che detesti, non compiere mai azioni cattive,
perché tutto si vede per quanto segreto.
Persino un volo nell’aria non ti può liberare dalla sofferenza
dopo che l’azione cattiva è stata commessa.
Non nel cielo, né nel mezzo dell’oceano,
né se ti nascondessi nelle crepe delle montagne,
un angolo riusciresti a trovare in questa
terra tutta, dove il karma il colpevole non raggiungerebbe.
Ma se vedi il male che altri ti fanno
e se sentitamente tu disapprovi,
stai attento a non fare al medesimo modo,
perché le azioni delle persone con esse rimangono.
Quelli che imbrogliano negli affari,
quelli che contro il Dharma agiscono,
quelli che frodano, quelli che truffano,
se stessi gettano in un gorgo,
perché le azioni delle persone con esse rimangono.
Qualsivoglia azione possa un individuo
compiere,
siano esse di gioia portatrici, siano esse cattive,
un’eredità per lui costituiscono,
le azioni non svaniscono senza lasciar traccia. (…)
Un’azione cattiva non necessariamente causa subito a chi l’ha compiuta
un qualche guaio.
Essa nascostamente allo stolto superficiale
si accompagna,
proprio come un fuoco che giace sotto la cenere.
Proprio come una lama appena forgiata,
l’azione cattiva nell’immediato non provoca alcuna ferita.
Proprio il ferro produce la ruggine
che lentamente di certo lo consumerà.
Colui che il male compie,
dalle sue stesse azioni è portato
a una vita di sofferenza”. Dharmapada

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Il termine “Karma”, che in sanscrito significa “azione compiuta”, è ormai molto diffuso anche in Occidente, sebbene non tutti ne conoscano l’origine e siano relativamente pochi gli individui che abbracciano questa teoria. Il Karma, concetto base dell’Induismo, altro non è che la legge universale di causa ed effetto applicata in senso spirituale, concetto alla base della reincarnazione, di cui rappresenta il fattore essenziale.

Spesso viene erroneamente considerata come una legge deterministica che induce al fatalismo e alla rassegnazione, ma in realtà il Karma dipende da noi, dalle nostre scelte, e può ovviamente cambiare nel tempo secondo il principio “ciò che si semina si raccoglie”. In che modo? Seguendo il Dharma, ovvero vivendo secondo la propria vera natura, che andrà progressivamente armonizzata con il Dharma universale. Gli individui conquistano così la libertà dall’ego, dai desideri accumulati nel corso delle precedenti esistenze, per realizzare il Sè immortale. Il ciclo di morte-rinascita è chiamato, in sanscrito, saṃsāra: l’uomo non può sottrarsi ad esso ma deve percorrerlo reincarnandosi in numerosi corpi, non solo umani, perlomeno nell’ottica induista. Il fine ultimo è la liberazione da tale ciclo.

Il Karma per il Buddismo

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In ambito buddhista il concetto di Karma ritorna in veste nuova. Se infatti la via della liberazione induista comporta un ciclo di rinascite (saṃsāra) lunghissimo, che causa un senso di fatalismo pessimista nella vita presente, il buddismo offre un punto di vista più positivo e meno predeterminato. La parola karma, nel buddismo, significa “azione volitiva”, ovvero un atto di volontà che ha origine nella mente delle persone e che determinerà il futuro delle stesse. Un atto buono porterà del bene, un atto malvagio porterà del male. Non si tratta di etica ma di una legge naturale che, però, non ci condanna necessariamente a una vita di disagi e povertà. Tutto dipende dal libero arbitrio, ovvero dalla nostra scelta di compiere il bene o il male.

In tale ottica le persone non sono fortunate o sfortunate, ma creano il proprio destino e allo stesso modo, possono intervenire per modificarlo. Accettando tale legge, l’uomo anziché rassegnarsi a una vita caotica, ingiusta, senza senso, agisce in modo attivo, impegnandosi a modificare pensieri, parole ed azioni. Il Buddha stesso affermò che credere che le buone o cattive azioni non producano frutti è assolutamente erroneo.

A dare una definizione di Karma esaustiva fu il maestro buddhista giapponese Daisaku Ikeda: “Il concetto buddista di relazione causale differisce in modo fondamentale dal tipo di causalità che, secondo la scienza moderna, governa il mondo naturale oggettivo in quanto separato dalle preoccupazioni individuali dell’essere umano. Il rapporto di causalità, nell’ottica buddista, abbraccia la natura in senso più lato, comprendendo tutta l’umana esistenza. Per spiegare meglio la differenza, poniamo che sia accaduto un incidente o un disastro. Applicando la teoria di causalità meccanicistica si può indagarne e chiarirne le dinamiche, ma nulla si saprebbe sul perché proprio certi individui siano rimasti coinvolti nel tragico evento. Anzi, la visione meccanicistica rifiuta a priori tali domande esistenziali.” Il succo del discorso è espresso da un’antica affermazione buddhista: “Se vuoi capire le cause del passato, guarda i risultati che si manifestano nel presente. E se vuoi capire quali risultati si manifesteranno nel futuro, guarda le cause poste nel presente.”

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Quindi la legge del Karma ci vuole responsabili delle nostre azioni, non ci priva affatto del libero arbitrio, ma ci ritiene protagonisti del nostro divenire. L’importante è non stravolgerne il senso per acuire le distanze fra poveri e ricchi, come accade purtroppo nel sistema delle caste induista. Chi è ricco non è necessariamente più buono di chi non lo è, potrebbe semplicemente aver investito di più in questo settore, in termini di sforzo, soldi, volontà (in questa o nelle precedenti esistenze) ed aver ottenuto, di conseguenza, maggiori risultati. Ma la ricchezza materiale non è sinonimo, necessariamente, di ricchezza spirituale. Certo, chi è ricco spiritualmente attrae più facilmente condizioni di vita piacevoli, talvolta anche beni materiali, perché ha un atteggiamento costruttivo. Ma allo stesso modo, proprio perché ha scelto di intraprendere una strada più difficile, quella del risveglio, potrebbe trovarsi ad affrontare, lungo il percorso di rinascita interiore, ostacoli tesi a testarne la volontà e a migliorarlo. Quindi, attenzione alle generalizzazioni e, soprattutto, alle strumentalizzazioni della legge del Karma.

Tipologie di Karma

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Probabilmente molti di noi ignorano l’esistenza di numerose tipologie di Karma: oltre a quello individuale, esistono un Karma familiare, collettivo, mondiale. Il Karma familiare, per esempio, è quello che riguarda un’intera famiglia con debiti spirituali peculiari, i quali si riversano sull’intero nucleo. Il Karma collettivo riguarda invece, come suggerisce il termine, la collettività, intesa come abitanti di un quartiere, di una città o di un intero paese. Il Karma mondiale è la sofferenza, il debito internazionale. In tutti questi casi il nostro ruolo rimane attivo, non siamo semplici vittime del mondo, della famiglia o della collettività ma quel Karma ci appartiene.

Karma, legge di attrazione e fisica quantistica

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La legge dell’attrazione di cui ci parla la Fisica Quantistica è simile alla legge del Karma. Secondo questa branca scientifica l’Universo è composto da un sistema di forze energetiche invisibili detto “campo”. Esso avrebbe la capacità di influenzare la realtà visibile. Ogni cosa sarebbe formata da energia in movimento. In tale ottica tutti noi siamo fatti di energia vibrante ma esistono forme di energia con frequenze diverse: ogni corpo, come affermava Planck, vibra in modo personale e quelle stesse vibrazioni attirano vibrazioni simili. Si tratta della legge di attrazione, o legge di risonanza. Ed ecco che si comprende, quindi, come chi ci circonda sia sintonizzato con noi dal punto di vista energetico. Inutile lamentarsi se le persone con cui interagiamo non ci soddisfano, il cambiamento deve partire dall’interno.

Ma c’è di più: ritornando ai principi della fisica quantistica, i ricercatori Bohr e Heisenber nel 1927 si accorsero che le particelle di elettroni celano una natura duplice: in alcuni casi sono onde invisibili, altre volte sono corpuscoli visibili. A offrire una spiegazione a tale stranezza è Heisenberg, secondo il quale le particelle si comportano come onde, invisibili, quando non vengono osservate. Mentre, quando le si osserva, si trasformano in corpuscoli di materia. Si deduce l’importanza del ruolo dell’osservatore, che in quest’ottica determina la realtà. Basta osservare le particelle per modificarne la natura. Visto che tutta la materia è composta di particelle subatomiche, noi stessi potremmo far apparire le cose su cui poniamo il focus, l’attenzione. Se così fosse, saremmo noi a plasmare la realtà circostante, focalizzandoci su qualcosa piuttosto che su qualcos’altro.

Che c’entra tutto questo con la legge del Karma? C’entra eccome perché, in entrambi i casi, siamo noi a determinare la realtà con le nostre scelte e i nostri pensieri. Sarà il caso di iniziare a cambiare prospettiva?

Laura De Rosa

www.yinyangtherapy.it





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