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I grani antichi: tanti motivi per preferirli a quelli tradizionali

Di Marco Grilli - 14 Aprile 2015

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Senatore Cappelli, Gentil Rosso, Verna, Frassineto: sono alcuni nomi di grani antichi, ne avete mai sentito parlare? Con questo termine si indicano tutte quelle varietà selezionate prima che l’agricoltura subisse il processo di trasformazione industriale, adatte ai diversi ambienti pedoclimatici e a sistemi di coltivazione a basso impatto ambientale.

Vi chiederete come mai è importante trattare questo argomento proprio oggi, visto che la modernità, con la chimica, la tecnologia e l’ingegneria genetica, è ormai entrata prepotentemente nel settore primario. Ebbene, tutto ha ancora senso, perché se l’agricoltura ha selezionato varietà a più alto contenuto di proteine che producono molto di più (a scapito della qualità), i sani e rustici grani antichi conservano caratteristiche di notevole valore, mostrando maggiore capacità di resistere alle diverse avversità climatiche, qualità nutritive più equilibrate e aromi molto più complessi e intensi.

Oggi i cereali sono il gruppo di piante agrarie più importante al mondo, basti pensare che quasi metà della superficie terrestre è destinata alla loro coltivazione. Se la rivoluzione “verde” degli inizi del ‘900, volta a selezionare varietà di grano sempre più produttive, nasceva dal nobile fine di riuscire a fornire cibo a tutta la popolazione, dal secondo dopoguerra questo processo è stato però stravolto dagli interessi delle grandi industrie.

In pratica, le concimazioni chimiche hanno permesso di aumentare la produzione ma hanno reso le piante più suscettibili alle malattie e alle infestanti, richiedendo così il sempre più massiccio utilizzo di diserbanti e pesticidi. Il processo di miglioramento genetico ha portato quindi allo sviluppo di varietà di frumento tenero e duro sempre più resistenti a questi prodotti chimici, di ridotte dimensioni, maggiormente produttive e a più alto contenuto proteico. Tutto ciò è però andato a scapito delle qualità organolettiche e nutrizionali del grano, non solo originando problemi di allergie e intolleranze alimentari, ma comportando anche un maggior impatto ambientale e l’aumento dei costi energetici di produzione.

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Dagli anni Cinquanta, infatti, le esigenze produttive dell’industria di trasformazione degli alimenti (produzione industriale di pasta e pane) hanno finito per privilegiare l’affermazione di moderne varietà ad alto contenuto in glutine (frazione proteica poco nobile e digeribile priva degli aminoacidi essenziali), poiché quest’ultimo garantisce impasti velocemente panificabili e paste resistenti alla cottura. Si sono quindi facilitati e accelerati i processi tecnologici di produzione degli alimenti senza però migliorarne i valori nutrizionali, perché alcuni studi epidemiologici hanno dimostrato che l’elevata presenza di glutine ad alta qualità tecnologica produce una sensibilizzazione dell’organismo a tale proteina. È la celiachia, un’enteropatia causata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti, che provoca una reazione immunitaria tradotta in lesioni della mucosa intestinale, con conseguenti alterazioni dell’assorbimento.

Oggi la celiachia è una patologia sempre più diffusa, così come è in aumento la sensibilità al glutine, che riguarda ben il 25% della popolazione italiana e si manifesta con dolori e gonfiori addominali, cefalea ed eczemi. Ecco allora che ritorna l’importanza dei grani antichi, perché nelle farine ottenute dalle vecchie varietà non è detto che la quantità di glutine sia inferiore, ma sicuramente è di maggior qualità, poiché contiene meno epitopi tossici, ovvero quelle sequenze di aminoacidi riconosciute dai linfociti delle persone affette da celiachia.

I sani e nutrienti grani antichi, ricchi delle fragranze e dei sapori del tempo che fu, rappresentano quindi la forza della tradizione e hanno un valore storico, culturale, paesaggistico e nutrizionale, rispondendo alle esigenze dell’agricoltura biologica e di ogni forma di coltivazione naturale. Sono inoltre un baluardo per la difesa della biodiversità, perché frutto di un processo di miglioramento genetico dedicato a specifiche zone. Ad esempio, all’inizio del Novecento in Toscana venivano coltivati numerosi ecotipi locali, ognuno adattato alle particolari condizioni pedoclimatiche dell’area di riferimento. Ogni agricoltore era proprietario del suo seme e l’utilizzo di materiale seminativo adatto all’ambiente di coltivazione permetteva di rispettare le esigenze produttive, senza compromettere l’equilibrio ambientale.

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Le moderne varietà di frumento a taglia ridotta, invece, sono linee pure e quindi tutte geneticamente uguali, con conseguente drastica riduzione delle varietà di frumento coltivato. Vengono inoltre coltivate in ambienti molto diversi, che non rispettano le condizioni pedoclimatiche delle aziende agricole. In pratica, non è più la pianta che si adatta all’ambiente, ma il contrario. La selezione delle nuove varietà avviene quindi in una situazione di agricoltura convenzionale, che richiede forti interventi agronomici e input energetici (impiego di fertilizzanti, anticrittogamici, diserbanti). L’ingresso in campo della tecnologia va però a discapito dell’ambiente e della salute dei consumatori.

Più sani, leggeri e digeribili, i grani antichi permettono una resa stabile nel tempo e vantano migliori proprietà nutrizionali, perché se è vero che nel frumento si trovano molte sostanze fitochimiche biologicamente attive (ad esempio i polifenoli) con importanti funzioni farmacologiche, quali l’attività antitumorale, antinfiammatoria, cardiovascolare, antiossidante e antivirale, anche in questo campo sono state accertate differenze significative tra le varietà antiche e moderne, non tanto in termini quantitativi quanto di varietà di composti. I grani antichi, riconoscibili per la maggiore altezza della pianta e il colore più scuro della granella, mantengono infatti un miglior profilo di metaboliti secondari presenti, oltre a una più elevata qualità alimentare del glutine. Il recupero di varietà autoctone tradizionalmente coltivate rappresenta quindi una scelta in favore della salute dei consumatori e della biodiversità.

Biodiversità

Biodiversità

Per millenni alimenti base della dieta delle civiltà mediterranee, negli ultimi decenni i grani antichi sono oggetto di un crescente interesse da parte di agricoltori, ricercatori, industrie alimentari, dietologi e consumatori, sempre più convinti delle loro migliori qualità organolettiche e nutrizionali, nonché della loro importanza come fonti di geni utili per selezionare nuove varietà di frumento.

In varie parti d’Italia sono in corso progetti per la loro riscoperta e coltivazione, tesi a svolgere un ruolo didattico-informativo e a creare nuove filiere all’insegna dell’agricoltura naturale (ne citiamo solo alcuni, quali il veneto “Filiera corta dei cereali antichi”, l’emiliano “Cereali in rete” o il toscano “Pane nuovo da grani antichi”). Nonostante questo apprezzabile impegno restano però numerose problematiche, perché le filiere locali sono recenti e ancora poche di numero, il lavoro di miglioramento genetico non è molto diffuso e numerose varietà non sono ancora in commercio. Le possibilità di auto-produzione e scambio di sementi tra gli agricoltori sono infatti limitate da disposizione normative. Ad esempio, esiste un vuoto legislativo che non permette di commercializzare la semente delle “antiche” varietà non ancora iscritte al Registro nazionale. In attesa di un aggiornamento, gli agricoltori sono quindi costretti a moltiplicare il seme prima di poter produrre quantità rilevanti di queste varietà.

Numerose esperienze, soprattutto in Toscana, hanno comunque dimostrato come sia possibile rendere economicamente sostenibile questo tipo di produzione, che in un mondo sempre più globalizzato consente al consumatore la massima trasparenza sull’origine e la qualità del prodotto, frutto dell’antica sapienza contadina. Le stesse farine ottenute da grani antichi seguono inoltre processi naturali di panificazione, che si basano sulla macinazione a pietra e la lievitazione naturale. La prima operazione, a differenza di quella moderna a cilindri, permette di ottenere una farina più scura, meno raffinata e di miglior qualità dal punto di vista organolettico e nutrizionale, perché conserva tutte le proprietà benefiche del germe e della crusca. La più lenta lievitazione a fermentazione naturale mediante la pasta madre si fa preferire invece a quella moderna, che impiega il solo lievito di birra, perché sfrutta l’azione benefica dei vari microrganismi e produce un pane (a pasta acida) più sano, saporito, digeribile e lunga conservazione.

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Lievito madre

Intanto, una ricerca congiunta tra istituti scientifici e agricoltori nell’ambito del progetto comunitario Life “Semente parTEcipata”, ha appena ribadito che le antiche varietà di grano, più ricche per biodiversità genetica, resistono meglio alle variazioni climatiche, presentano migliori caratteristiche qualitative e nutrizionali e sono più adatte per la dieta delle persone con intolleranze alimentari. Buone nuove anche sul fronte della salute, perché un recente studio condotto dall’Università di Firenze (in collaborazione con altri enti) ha appurato che il consumo regolare di un pane integrale, ottenuto da una vecchia varietà di frumento italiano, può essere utile a ridurre la quantità di rischi cardiovascolari della popolazione in generale.

«Quando scelgo semi di frumento “antico”, lo faccio per riavvicinarmi massimamente a quelle varietà che sono il meno possibili portatrici di errori conoscitivi e intenti egoistici, cioè di quei pensieri che fanno enormemente da filtro alla luce solare, così essenziale per il frumento e così fondamentale per chi lo mangia», ha dichiarato Giovanni Cerrano, contadino e panificatore di Colle Val d’Elsa, partecipante al progetto “Pane nuovo da grani antichi”. Come dargli torto?

E’ possibile acquistare questi grani speciali nei negozi biologici, in alcuni alimentari sensibili a questa tematica oppure in rete.

Marco Grilli





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