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Grano saraceno: ecco le sue sorprendenti proprietà nutritive!

Di Marco Grilli - 10 Aprile 2015

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Al di là di quanto sembrerebbe dal nome, il grano saraceno (Fagopyrum esculentum) non è un cereale, poiché è una pianta erbacea annuale che appartiene alla famiglia delle poligonacee e non a quella delle graminacee. Noto anche come grano nero, l’etimologia del suo nome scientifico deriva dal latino fagus (faggio) e dal greco piròs (frumento) in virtù della sua somiglianza con queste due piante: nel primo caso per i semi di forma triangolare, nel secondo per la possibilità di ottenere farina dai semi.

Di origine asiatica (aree della Siberia e della Manciuria), il grano saraceno raggiunse l’Europa nel tardo Medioevo: un’ipotesi vuole che furono i turchi a introdurre la pianta nella regione balcanica, mentre un’altra teoria sostiene che il suo arrivo nel Vecchio continente fu legato alle migrazioni dei popoli mongoli, che dalla Russia meridionale portarono il grano nero fino alle attuali Polonia e Germania, da dove si diffuse nel resto dell’Europa. In Italia si ha notizia della sua coltivazione in Valtellina sin dall’inizio del XVII secolo, anche se la sua massima espansione si ebbe nel corso dell’Ottocento.

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Rustico, resistente ai climi freddi e agli attacchi degli attacchi patogeni, grazie al suo ciclo vegetativo molto breve (circa 100 giorni) il grano saraceno era impiegato in Valtellina e in tutto l’arco alpino come coltura intercalare, poiché poteva sfruttare i terreni nei mesi estivi, ossia nel periodo di riposo dopo il raccolto invernale di segale, patate od orzo.

Alimento fondamentale nella dieta povera dei contadini almeno fino all’inizio del Novecento, nel secondo dopoguerra la sua produzione è nettamente calata a causa di vari fattori, quali l’esodo rurale, il mutamento delle abitudini alimentari, l’avvento di colture più produttive, le difficoltà nella raccolta troppo laboriosa e costosa, la scarsa risposta alle pratiche agronomiche più innovative e la mancata selezione di varietà più produttive.

Attualmente in Italia resistono solo poche coltivazioni di dimensioni ridotte, così che la maggior parte del grano saraceno lavorato nel Bel Paese viene importato dalla Cina. Nell’area di produzione della Valtellina esiste però il Presidio Slow Food, che si pone lo scopo di reintrodurre il grano saraceno locale e biologico, cercando al contempo di recuperare i terrazzamenti in pietra della valle e di arginare lo spopolamento di queste terre.

Cerchiamo ora di scoprire qualcosa in più sui caratteri botanici di questa pianta, che presenta una radice fittonante poco sviluppata, fusti cilindrici glabri, eretti e cavi di colore verdognolo o rossastro (alti 60-70 cm), foglie alterne e lanceolate, infiorescenze ascellari o terminali a grappolo, che portano fiori bisessuali di colore rosso, bianco-rosato o verdastro, ed infine frutti lisci e bruni di forma triangolare, al cui centro è posto l’embrione.

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Per quanto riguarda la sua coltivazione, il grano nero si adatta ad ambienti freschi (colline e zone pedemontane), poiché soffre particolarmente la siccità e le alte temperature. Ottima coltura intercalare, preferisce i terreni poveri e si adatta bene a quelli acidi. Si semina a spaglio o a righe in primavera inoltrata e non necessità di particolare cure colturali durante il periodo d’accrescimento, mentre la raccolta, eseguita a mano con la falce a partire dalla seconda metà di ottobre, è piuttosto laboriosa e prevede di lasciare i covoni sul campo per 15-20 giorni, al fine di portare a maturazione completa i semi. Per ettaro si ottiene una resa di 15-20 quintali di granella e 30 di paglia. Il grano saraceno produce inoltre nettare in abbondanza, tanto da esser una delle specie preferita dalle api, che dai suoi fiori danno vita a un miele molto scuro e particolarmente saporito.

In commercio il grano nero si ritrova in chicchi o in farina, diffusi specialmente nei negozi biologici ma anche in molti supermercati. I chicchi sono ottimi per la preparazione di zuppe, minestre e insalate, specialmente se abbinati a verdure, legumi e cereali. La farina costituisce invece la base per la produzione di pane, pasta, biscotti, crespelle, polenta e molte specialità alimentari.

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Questo alimento dalle antiche origini si fa apprezzare per le sue elevate proprietà nutritive e fitoterapiche. Privo di glutine e a basso contenuto glicemico, il suo consumo è ideale per i celiaci e i diabetici. Il grano nero contiene mediamente l’80% di carboidrati e il 13-15% di proteine dall’alto valore biologico, perché ricche di tutti gli aminoacidi essenziali e di quelli solforati. Tale caratteristica lo distingue dal frumento e dai cereali più comuni.

Tra le altre virtù nutritive di questo alimento non possiamo poi dimenticare l’alto contenuto in fibre, vitamine del gruppo B e sali minerali, quali ferro, calcio, zinco, rame, potassio, manganese, magnesio e selenio, tanto da esser largamente consigliato anche per la dieta degli sportivi.

Fino alla metà del Novecento questa pianta era coltivata anche per uso farmacologico, poiché da essa veniva estratta la rutina, un flavone glucosidico utilizzato nel trattamento di disturbi dovuti alla fragilità delle vene. Questo importante composto fitochimico tonifica le pareti dei vasi capillari e riduce il rischio di emorragie nelle persone che soffrono di pressione alta, migliorando al contempo la circolazione nei soggetti con insufficienza venosa cronica.

Il consumo del grano nero risulta quindi molto utile per i fumatori e tutti coloro che sono alle prese con le emorroidi e le vene varicose, contribuendo in generale a migliorare la circolazione del sangue, nonché a regolare i valori della pressione e le oscillazioni della glicemia.

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Energizzante in virtù dei suoi molti sali minerali, il grano saraceno presenta un alto indice di sazietà ed è indicato per tutti i casi di stanchezza e deperimento. Le sue ottime proprietà nutritive lo rendono poi particolarmente adatto per le donne in gravidanza.

In tema di ricerca scientifica, alcuni studi hanno evidenziato che una proteina contenuta nel grano saraceno si lega stabilmente al colesterolo, così che potrebbe svolgere un’importante funzione nel caso di ipercolesterolemia. Sono in corso studi incoraggianti anche sul trattamento del diabete di tipo II col D-chiro-inositolo contenuto in questo alimento, che potrebbe avere un’influenza positiva anche nel caso di ovaio policistico. Infine, l’alto contenuto in fibre solubili e insolubili favorisce la salute dell’apparato intestinale e soprattutto del colon, mentre la ricchezza in vitamina PP (niacina) ha un effetto benefico nella protezione della pelle e delle mucose.

Unica controindicazione: un suo eccessivo consumo può originare delle reazioni allergiche (diffuse soprattutto nelle regioni asiatiche), nonché un esantema della pelle nelle zone più esposte al sole, definito fagopirismo. Un fenomeno che si può verificare anche nel bestiame alimentato con foraggio prevalentemente a base di grano nero. Nei casi più gravi quest’intossicazione può provocare un’infezione batterica seguita da necrosi.

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Per soddisfare il palato dei buongustai, chiudiamo questo contributo trasferendoci in cucina. Un tempo la farina di grano saraceno era considerata poco pregiata o comunque adatta solo ai pasti frugali della tradizione contadina. Ancora oggi, però, la farina “nera” è particolarmente apprezzata e costituisce uno dei piatti forti della cucina valtellinese. Conoscerete sicuramente la gustosissima polenta taragna, preparata con l’aggiunta di burro e formaggio, che diventa pulenta n’fiu (in fiore) quando cotta nella panna fresca, o pulenta mugna se mescolata con altre farine.

Ottimi sono anche gli sciatt, frittelle ripiene di formaggio, ottenute dalla farina di grano saraceno e frumento. Il piatto forte della cucina locale restano però i pizzoccheri, le prelibate tagliatelle fatte sempre con farina di grano saraceno e frumento, cotte con patate, verze o altre verdure condite con burro fuso e i formaggi tipici della valle.

Ecco a voi la ricetta originale, codificata e registrata dall’Accademia del pizzocchero di Teglio.

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Ingredienti per quattro persone: 400 grammi di farina di grano saraceno, 100 grammi di farina bianca, 200 grammi di burro (o margarina), 250 grammi di formaggio Valtellina Casera Dop, 150 grammi di formaggio in grano da grattugia, 200 grammi di verze, 250 grammi di patate, uno spicchio d’aglio, pepe. (Il formaggio si può omettere o sostituire con trito di mandorle e sale)

Preparazione: mescolare le due farine, impastarle con acqua e lavorare per circa cinque minuti.
Con il mattarello tirare la sfoglia fino ad uno spessore di due-tre millimetri dalla quale si ricavano delle fasce di sette-otto centimetri. Sovrapporre le fasce e tagliarle nel senso della larghezza, ottenendo delle tagliatelle larghe circa cinque millimetri. Cuocere le verdure in acqua salata, le verze a piccoli pezzi e le patate a tocchetti, unire i pizzoccheri dopo cinque minuti (le patate sono sempre presenti, mentre le verze possono essere sostituite, a secondo delle stagioni, con coste o fagiolini). Dopo una decina di minuti raccogliere i pizzoccheri con la schiumarola e versarne una parte in una teglia ben calda, cospargere con formaggio di grana grattugiato e Valtellina Casera dop a scaglie, proseguire alternando pizzoccheri e formaggio. Friggere il burro con l’aglio lasciandolo colorire per bene, prima di versarlo sui pizzoccheri. Senza mescolare, serviteli bollenti con una spruzzata di pepe.

Da almeno quattro secoli i pizzoccheri continuano a stuzzicare i palati dei valtellinesi…e quelli di tutti gli italiani!

Marco Grilli

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