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Il ciclo di produzione della carne causa dei cambiamenti climatici

Di Valeria Bonora - 19 Giugno 2012

E’ uscito oggi sul sito della LAV un articolo dove per la prima volta vengono spiegati i costi del ciclo della carne anche in riferimento a costi di vita, costi ambientali ed etici. Secondo il resoconto pubblicato dalla Lega antivivisezione, questo processo di produzione porterà a sostanziali cambiamenti climatici che secondo quanto riportato causa il maggiore inquinamento da CO2. Nel resoconto si propongono 10 punti per la nuova politica alimentare alla quale l’industria zootecnica dovrebbe attenersi per diventare aziende “sostenibili”, e nella conferenza ONU Rio+20, dove si parlerà di cambiamenti climatici, la LAV cerca un accordo imperniato su misure efficaci per una svolta sul futuro del nostro unico Pianeta.
Ecco l’articolo riportato per voi.

Per la prima volta in Europa, la LAV ha analizzato e stimato i veri e complessivi costi del ciclo di produzione della carne, analizzando tutti gli impatti – ambientali, economici, salutari, etici – che questa produzione genera, secondo i più importanti studi internazionali degli ultimi anni. Il Rapporto “I costi reali del ciclo di produzione della carne” , curato da Gaia Angelini e consegnato al Ministro dell’Ambiente Clini, è stato presentato oggi a Roma, a poche ore dall’inizio della Conferenza ONU Rio+20 dove si discuterà di cambiamenti climatici, di green economy, di obiettivi mancati e di interventi da mettere in atto. Sulla base di tale analisi, la LAV avanza una serie di proposte per una nuova politica alimentare “sostenibile”, attuabile subito sia dai Governi che dalle singole famiglie. L’Unione Europea (UE) è il più grande importatore ed esportatore mondiale di prodotti zootecnici e il primo importatore mondiale di prodotti zootecnici dai paesi in via di sviluppo, è il terzo produttore mondiale di emissioni di C02 dopo Cina e USA e, dunque, si conferma indiscusso leader politico globale per la lotta al cambiamento climatico.
Gli effetti considerati nel Rapporto LAV “I costi reali del ciclo di produzione della carne”,includono:
• acidificazione
• inquinamento ed eutrofizzazione delle acque
• cambiamento climatico
• cancerogenicità
• sfruttamento delle risorse naturali
• utilizzo di energia non rinnovabile
• inquinamento atmosferico
La nuova politica alimentare “sostenibile” in 10 punti

L’industria zootecnica deve essere oggetto di profondi cambiamenti che non rappresentano solo una trasformazione di processi industriali, ma una profonda revisione dei modelli alimentari finora orientati non in funzione delle esigenze alimentari e nutrizionali delle popolazioni, ma effetto di programmi di produzione industriale legate ad esigenze di crescita economica. Secondo la LAV è necessario adottare politiche di sostituzione della produzione delle proteine animali verso le proteine vegetali e l’eliminazione di sussidi lungo tutta la filiera zootecnica, che hanno determinato danni ambientali, economici, di benessere e alla salute dei cittadini. Tra le principali raccomandazioni che il legislatore nazionale e comunitario dovrebbero fare propri in una prospettiva collettiva di modello alimentare sostenibile:
1) riconvertire gli allevamenti intensivi che si basano su processi di tipo industriale
2) abolire i sussidi che incentivano la produzione di carne al fine di ridurne in modo significativo la produzione; incentivare la produzione di proteine vegetali per il consumo umano anziché per mangimi.
3) Abolire l’esportazione e importazione di animali vivi da paesi non-EU e i sussidi che li sostengono.
4) Promuovere tramite la Riforma della PAC, la produzione e il consumo di proteine vegetali anziché la carne come alternativa responsabile e sostenibile da un punto di vista ambientale, economico ed etico.
5) Dedicare alle proteine vegetali una linea di finanziamento nel quadro finanziario della PAC e spostamento dei sussidi alla carne verso le proteine vegetali, fino all’abolizione di qualsiasi contributo alla filiera zootecnica.
6) Effettuare studi tecnici internazionale indipendenti sulle emissioni di gas serra associate al ciclo di produzione della carne.
7) Includere le emissioni di CO2 del ciclo di produzione della carne nel sistema europeo di scambio dei diritti d’emissione e nei negoziati internazionali.
8) Fissare chiari obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 dal ciclo di produzione della carne.
9) Introdurre una tassa sulle emissioni di CO2 provenienti dalla zootecnia.
10) Introdurre una normativa di etichettatura e tracciabilità della carne e prodotti carnei in modo che i consumatori possano riconoscere senza sforzo la provenienza dell’animale, dove sia stato eventualmente trasportato, come e dove sia stato allevato, quanti chilometri abbia percorso in vita e dove sia stato ucciso e macellato. Inoltre l’etichettatura dovrà chiaramente specificare i metodi di allevamento utilizzati. Questo aiuterà a guidare i consumatori verso una scelta responsabile.
La Conferenza Rio +20 deve essere l’occasione per un accordo imperniato su misure efficaci per una svolta sul futuro del nostro unico Pianeta, tramite la riduzione degli impatti degli allevamenti intensivi sull’ambiente e sugli animali – dichiara Paola Segurini, responsabile LAV Vegetarismo e Cambiamenu.itConsiderata la richiesta sempre maggiore di carne, come discutibile simbolo di raggiunto benessere, che proviene dai Paesi terzi, sta a noi consumatori, virare verso un deciso cambiamento di menu. Rio +20 deve essere il momento in cui le istituzioni – dopo centinaia di studi scientifici che lo confermano e lo consigliano – adottino politiche per un’alimentazione sostenibile su base vegetale“.
L’insostenibilità economica, sanitaria, ambientale ed etica del modello alimentare basato sulla carne, non può essere corretta ricorrendo a delle soluzioni tecniche o tecnologiche perché esse sono inefficienti, molto costose e difficilmente applicabili ed esportabili a livello globale. Esiste invece già una soluzione semplice, accessibile e poco costosa: la promozione del consumo di proteine vegetali invece di quelle animali – afferma Roberto Bennati, vicepresidente della LAV – Ad esempio, si è calcolato che per produrre 1 kg di carne di manzo siano necessari 10 kg di mangimi e 15.500 litri di acqua e che la produzione di 1 kg di manzo emette tanta CO2 quanto un’automobile che percorre 250 Km (una distanza pari circa a quella tra Roma e Firenze). I 2/3 dell’energia consumata dal ciclo di produzione della carne proverrebbe dalla produzione e dal trasporto dei mangimi per animali“.
Il ciclo della produzione di carne sfrutta il 30% delle terre emerse del Pianeta e il 70% delle terre agricole disponibili, contribuisce ad avere un impatto negativo sul clima e sull’ambiente, arrecando agli animali sofferenze e morte – prosegue Roberto Bennati – Non è dunque più ammissibile che la politica agricola europea, che pesa per circa il 40% sul bilancio annuale dell’UE, continui a premiare produzioni a bassa qualità e alti impatti globali invece di promuovere un modello produttivo orientato all’alta qualità, alla responsabilità e alla sostenibilità, che contempli anche la promozione di proteine vegetali come sostitutive a quelle animali. Il cambiamento nelle scelte alimentare ci coinvolge tutti, dai Governi alle singole famiglie, perché tutti noi ogni giorno portiamo in tavola alimenti che incidono sulla salute del Pianeta e di tutti i viventi“.
Produzione di carne ed emissioni inquinanti

Il ciclo di produzione della carne si distingue come la terza fonte di emissioni inquinanti (CO2) dopo le installazioni industriali/energetiche e i trasporti. Secondo un recente studio della Commissione Europea[3] (2011) il settore “allevamento animali” (in cui si prendono in esame solo alcune delle fasi[4] del ciclo produttivo), viene stimato responsabile per circa il 12.8% delle emissioni totali nell’UE. Altre stime suggeriscono che sia responsabile per una quota tra il 18% (FAO) e il 51% (World Watch Institute) delle emissioni di CO2. I prodotti di carne e latte sono stimati responsabili per il 24% dell’impatto ambientale cumulativo esercitato dai prodotti sul mercato europeo. Gli allevamenti sono responsabili per circa il 60% delle emissioni antropogeniche di ammoniaca, un gas che contribuisce alle piogge acide e all’acidificazione degli ecosistemi. Se la produzione di carne continuasse a crescere al ritmo attuale, le sue emissioni di CO2 raddoppierebbero entro il 2050, intralciando seriamente lo sforzo internazionale di riduzione di emissioni da gas serra provenienti dalle altre fonti. Secondo la FAO (2006; 2011) si allevano e si macellano circa 56 miliardi di animali ogni anno e il consumo di carne dovrebbe crescere del 73% entro il 2050.
Inoltre, la fabbricazione di mangimi, l’allevamento, la macellazione degli animali vivi e la distribuzione di prodotti carnei, sono attività che incrementano il trasporto globale ed europeo e quindi le emissioni di CO2. Attualmente non sembra esistere una valutazione complessiva di questo tipo di trasporti, ma alcune indicazioni sono presenti in alcuni recenti rapporti tecnici. Il trasporto totale in Europa produce circa 992.3 milioni di tonnellate di CO2[5] . Aggiungendo a questo dato il trasporto marittimo e aereo si raggiunge la cifra di 1297 milioni di tonnellate CO2 all’anno. Il trasporto rappresenta il 19% delle emissioni totali di CO2 nell’UE[6].
Dati e comparazioni sulle emissioni di CO2 attribuibili a carne, latte/latticini e proteine vegetali

Alimento Emissioni di CO2/kg
1 broccolo o 1 cavolfiore 0.185 kg di CO2
1 litro/Kg di latte 2.4 kg di CO2
1 kg di carne di pollo 3.6 kg di CO2
1 kg di carne suino 11,2 kg di CO2
1 kg di carne manzo 28.1 kg di CO2
1 hamburger vegetariano a base di piselli 1.2 kg di CO2
1 kg di pomodori (coltivati all’aperto) 0.2 kg di CO2

Se volete un approfondimento maggiore sulla questione potete scaricate QUI il dossier completo.





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