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La lettera di un'attivsta che si racconta: cosa ne pensate?

Di Giordana - 4 Dicembre 2013


Quella che sto per condividere con voi è la lettera di un’attivista di una nota e storica associazione animalista di cui, per motivi di correttezza non farò il nome, che racconta il perché della sua scelta e dello spirito che anima chi decide di fare un passo del genere. Voglio condividerla senza esprimere giudizi o approvazioni, ma solo riportandola come testimonianza di una realtà, condivisibile o no, che esiste e che lotta tutti i giorni per quello in cui crede.

“Ho rinunciato ad un’alimentazione carnivora molto presto, un video sugli allevamenti di maiali, una lacrima di empatia, una decisione presa con la fretta e la purezza caratteristiche dell’età che avevo, che poi il tempo ha consolidato; ma non ricordo quando sono diventata un’attivista in difesa dei diritti animali, non ricordo una data o un giorno, ma ricordo un percorso, la strada che mi ha portato fin qui, il letto invaso dai libri di Peter Singer e Tom Regan, ricordo che ad un tratto le parole “Animal Rights” diventarono come una sorta di mantra nella mia mente. Quello che ricordo con chiarezza è la sensazione di impotenza, l’idea di non poter far nulla per cambiare le cose. Ritrovandomi a guardare i video di denuncia delle crudeltà che sono inflitte quotidianamente agli animali non rimanevo impressionata, ero addolorata, ma al tempo stesso la volontà di conoscere le cose per quelle che sono veramente, era più forte di tutto il resto.
Poi la rete, i contatti, la prima manifestazione. Il senso di impotenza scompare, si trasforma in desiderio di miglioramento, nella certezza che le cose possano e debbano cambiare. Non dimenticherò mai quello che ho provato la prima volta che ho preso un megafono in mano e ho iniziato a parlare, l’espressione delle persone che mi ascoltavano, l’emozione data dalla condivisione, i sabati passati al freddo davanti alla vetrina di un grande magazzino o di una pellicceria o in piazza, le manifestazioni, la divulgazione e l’informazione. Si perché anche questo fa parte della vita di un attivista, l’essere informato, informato sulle condizioni reali negli allevamenti italiani ed esteri, sulle possibilità di riabilitazione degli animali da laboratorio, sui comportamenti stereotipati e compulsivi degli animali vissuti in contesti intensivi, sulla regolamentazione italiana ed internazionale perché non si possono difendere i diritti di nessuno, animali o umani che siano, se non si conoscono le “regole”.
Non ho mai condiviso la scelta di chi per difendere i diritti animali offende gli esseri umani, di chi fa di tutta un’erba un fascio, ma credo fermamente nella lotta per i propri ideali, nelle “gabbie vuote” e nell’etica animale, credo che sia compito degli esseri umani occuparsi dei diritti animali, è una faccenda da cui non ci si può esimere e credo che le condizioni di vita dei baby lavoranti che si trovano a scuoiare animali negli allevamenti di pellicce, cuccioli che fanno sanguinare altri cuccioli in nome del sistema, sia da portare all’attenzione di tutti, ma ognuno deve poter scegliere il suo modo, il suo percorso.
Non sono d’accordo con chi sostiene che l’animalismo allontani dall’amore per i propri simili, il rispetto per il più piccolo degli esseri viventi è una scuola per imparare a volgere lo sguardo verso gli interessi dei più deboli.
Chi è un/un’attivista? Secondo me una persona come tante che in un giorno qualunque ha capito, sentito, creduto, che quella di Don Chishotte non è una scelta di follia, ma di consapevolezza”.





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