Animalismo
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Produzione del latte di mucca: cosa ci sta dietro?

Di Gaia Di Giovanni - 30 Gennaio 2015

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Sapete che il latte di mucca (che è ricco di calcio e fa bene alle ossa) contiene così tante proteine animali dannose che devono necessariamente essere smaltite e per far questo il nostro corpo consuma più calcio di quanto ne ha assunto sottraendolo alle ossa?

Ecco perché nelle popolazioni che consumano più latte sono presenti tantissimi, anzi, troppi casi di osteoporosi.

Questo significa che il latte è davvero un alimento importantissimo, ma per il lattante, appunto, al quale la natura mette a disposizione il latte materno, fondamentale per la sua crescita fino allo svezzamento.
Gli adulti invece dovrebbero farne a meno magari sostituendo il latte di derivazione animale con quello di derivazione vegetale ugualmente ricco di calcio.

C’è poi un’altra motivazione che è in realtà quella etica e che dovrebbe essere necessaria a spingerci ad eliminare il latte dalla nostra alimentazione: i metodi di produzione.

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Essendo un mammifero, la mucca produce il latte solo dopo il parto; il latte spetterebbe quindi al vitello appena nato, proprio come noi esseri umani, invece accade che il vitello viene immediatamente separato dalla madre e, se maschio, macellato dopo circa 6 mesi, mentre la mucca viene munta per un tempo molto più lungo rispetto a quello che richiederebbe l’allattamento del vitello nato.
Ogni mucca produce infatti 120 litri di latte al giorno e, considerando che un vitello in natura ne richiederebbe 10 volte meno, possiamo considerarla una quantità insostenibile per il fisico della mucca creato e sviluppatosi per contenere ogni giorno, per un periodo di tempo limitato, soltanto una certa quantità di latte.

Quando, poche ore dopo il parto, il vitello viene portato via, per la mucca è un dolore straziante, le sue lacrime non si fermeranno presto, è davvero inconsolabile ma, fondamentalmente, è una madre; come non aspettarsi tale reazione?

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È primordiale l’amore di una madre nei confronti del proprio figlio, non possiamo non comprenderlo perché ci riguarda personalmente.
Invece, incomprensibilmente, facciamo in modo che questo disumano processo continui a ripetersi e, infatti, alla gravidanza che dura 7 mesi ne segue un’altra appena possibile in modo da provocare alla mucca, ovviamente in modo artificiale, una gravidanza all’anno.

La resistenza fisica dura alcuni anni, circa 5 o 6, troppo pochi rispetto ai 20 che questo animale potrebbe vivere; la femmina sarà sfruttata finchè il suo corpo non avrà ceduto, praticamente fino alla morte.

Per quanto riguarda poi la stabilità mentale dell’animale, è difficile credere che duri a lungo perché la perdita di un figlio una volta all’anno per tutta la vita è cosa che nemmeno un essere umano, maturo e psicologicamente strutturato dalla base, può sopportare.

Cerchiamo di immaginare il dolore che mammelle così gonfie possono provocare; le mucche sono spesso vittime di infezioni, si muovono a fatica e di certo il loro disagio motorio non è accompagnato dalle cure degli allevatori, infatti spinte e calci sono i metodi più usati per velocizzare le fasi di produzione.

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Appreso ciò, non proviamo disgusto per essere stati capaci di creare un processo così sadico, strutturato in modo da provocare una sofferenza perpetua ad altri esseri viventi per nostro personale interesse e capriccio?
È certo infatti che non si tratta di una necessità.

Molti di coloro che affermano di non poter rinunciare al latte perché si tratta di un’abitudine troppo radicata, perché il sapore è così buono da non aver voglia di rinunciarvi, sono anche quelli che, pur sapendo, mai avrebbero il coraggio di vedere con i propri occhi; sarebbe proprio in quel momento che le loro abitudini risulteranno così crudeli da non avere più motivo di esistere.

Gaia Di Giovanni





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