I Bocconcini di Eva
Primo piano

Il pensiero straziante di un babbuino che non può parlare

Di Aida Vittoria Éltanin (E.V.A.) - 9 Dicembre 2013

Sepolto tra i libri di seconda mano di qualche libreria potreste ancora trovare una copia di un libro molto speciale… Un’antologia di poesie poco note, che hanno in comune il fatto di essere tutte ispirate dagli umili animali “da reddito”. Poesie dedicate a mucche, cavalli, vitellini, animali da circo e da traino.
Già il suo titolo dice tutto sulla sensibilità di chi ha voluto collezionare in un unico volume queste piccole gemme: “Una supplica della poesia per gli animali” (Poetry’s plea for animals).
In effetti, gli animali da reddito o sfruttati negli zoo raramente si vedono elevare sul piedistallo delle muse, ma quando un poeta ha la sensibilità d’animo per ritrarre a parole la capacità di sentire di questi animali, ne nascono dei piccoli capolavori…
Come questa poesia di inizio secolo scorso, intitolata “Babbuino“, la cui traduzione è il mio quarto bocconcino per voi…
Buona lettura e un bacio a tutti i babbuini ancora utilizzati e umiliati nei circhi ancora oggi, quasi 100 anni dopo la scrittura di questi toccanti versi…
 

BABBUINO (di Charles Hanson Towne – 1916)

Alle otto di sera e alle due del pomeriggio,
quel mostruoso sipario si apre
i violini stridono la loro nenia
e a quel punto davanti alla gente m’inchino –
Io, un goffo e sgraziato babbuino.
Mi domando perché lo faccio?
Cos’hanno questi umani da guardare
dalle loro file in ombra,
dietro la luce di un riflettore?
Perché mi ritrovo a fare i miei ritriti trucchi
sopra una sedia, per dare scalpore?
Loro ridono, applaudono e sghignazzano,
non paiono mai stancarsi,
perché io sono molto spassoso
mentre ballo sopra un filo per gioco,
o salto, a un cenno del padrone,
dentro grandi cerchi di fuoco.
Io non so sorridere, come le persone,
io non so neppure parlare.
Faccio solo piroette come un matto
in un impazzito carnevale ;
eppure saprei ridere anch’io,
oh come riderei
al calare del sipario!
Mi domando come mai quelle persone
si siedano in file così ben allineate
a ridere della mia stupida conoscenza,
a farsi beffa delle mie membra sgraziate,
e s’illudono di posseder saggezza!
Quanto poco sanno gli umani!
E perché si riuniscono sempre
in ambienti luminosi e riscaldati,
quando potrebbero starsene fuori all’aperto,
in posti da me mai dimenticati?
Perché vivono in un guscio in questo modo
e costringono me a condividere il loro fardello?
E perché la mia vita è tutta programmata,
da regole e da un giogo che è sempre e solo quello ?
Io non ero destinato ai teatri,
non son stato fatto per la scuola.
Non venni creato per rotolarmi qui,
ed esser chiamato “una cosa spassosa ”!
Non ero destinato ad essere lo schiavo
di un uomo con la giacca scintillante,
nè a portargli dollari d’oro, o stare in piedi
a salutarlo, come fosse il mio comandante;
il buon Dio mi ha messo a questo mondo
per essere un felice selvaggio ambulante.
Ma alle otto ogni sera e alle due del pomeriggio
quel mostruoso sipario si solleva,
i violini stridono la loro nenia
e di fronte a gente insensata mi inchino –
Io, un sensato e sensibile babbuino…
(Traduzione di Aida V. Eltanin)
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Baboon” by Charles Hanson Towne

At eight o clock in the evening,
And at two in the afternoon

The monster curtains open,
The fiddles creak and croon;
And then I bow to the people
A lumbering baboon.


I wonder why I do it?
Why do the humans stare

From even rows of shadow
Behind the footlights glare?
Why do I go through my weary tricks
On a table and a chair?
They laugh and clap and giggle,
They never seem to tire,
For I am quite amusing
As I dance upon a wire,
Or leap, at my master s signal,
Through golden hoops of fire.
I CANNOT smile, like the people,
I cannot speak at all;
I pirouette insanely
In the foolish carnival;

Yet could I laugh, O, I would laugh
When the velvet curtains fall !

I wonder why those people
Sit in such even rows,
And smile at my useless knowledge,
Laugh at my mincing toes,

And dream that they have wisdom !
How little a human knows !
And why do they always gather
I
n houses bright and hot,

When they might be out in the open
In a place I’ ve never forgot?
Why do they hive in a shell like this,
And bid me share their lot?
And why is my life a schedule,
Run by rote and rule?
I was not meant for theatres,
I was not made for school ;

I was not meant to caper here,
A thing of ridicule !
I WAS not meant to be the slave
Of a man in a shiny suit,
To bring the golden dollars in,
To stand up and salute ;
The good God put me in the world
To be a happy brute !
BUT at eight o clock each evening,
And at two in the afternoon
The monster curtains open,
The fiddles creak and croon ;
And I bow to the senseless people
A sensible baboon!
 





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