Alimentazione
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Peperoncino, voi lo amate o lo odiate? Eccovi pregi, difetti e tradizione

Di Giordana - 10 Novembre 2013


Il peperoncino è datato, secondo reperti archeologici risalenti alle civiltà Maya e Azteca, al 5000 a.C. e si aggiudica quindi il primato di spezia più antica e famosa.
Sembra, come il fuoco che rappresenta, esser stato donato agli uomini dagli dei, almeno così narrano le antiche leggende Maya e Srilankesi, nell’isola di Lanka (più conosciuta come Ceylon) infatti, come chi di voi ha letto La Maga delle Spezie di Divakaruni saprà, c’è un vero e proprio culto delle spezie e del loro utilizzo.
In ogni caso, che le leggende siano di origine Maya o Asiatica, che facciano riferimento al potere afrodisiaco o purificatore del peperoncino, rimane che questo prezioso alimento la fece in barba a tutti gli importatori di spezie del continente e grazie alla sua incredibile capacità di adattarsi a climi e terreni non riuscì mai a rientrare nella rosa delle spezie d’élite, carissime in termini economici per chi le comprava e altrettanto care in termini di qualità della vita per chi le produceva (come vaniglia, cannella, noce moscata e pepe), ma rimase sempre un signore delle tavole povere come di quelle ricche, ma rimase fedele solo a chi lo amava e lo sapeva usare, libera spezia per cuori impavidi.

Sembra che ci siano due varietà originarie, una di origine centroamericana e una di origine asiatica ed ancora oggi i due peperoncini più piccanti al mondo appartengono a questi due alberi genealogici: l’Habanera, prodotto nello Yucatan e il Dorset Naga che deriva dal Naga Morich del Bangladesh. A stabilire il grado di “piccantezza” del peperoncino è il livello di capsaicina o capseicina (un alcaloide molto discusso e molto usato) contenuto al suo interno.
Il grado di piccantezza del peperoncino è diventato un fattore di business, si fanno gare e si brevettano varietà dal contenuto di capsaicina altissimo, ma in realtà, affinché il peperoncino sia davvero un alimento e un buon ingrediente, sarà necessario scegliere varietà meno manipolate dall’essere umano, meno piccanti e più saporite, la reazione d’intolleranza che segue all’ingestione di peperoncini troppo piccanti è, infatti, un campanello d’allarme sulla possibile tossicità di quest’ultimo. Al tempo stesso, il peperoncino, se consumato con criterio e con un occhio alla tradizione, potrà rivelarci le sue infinite qualità: contiene vitamina A, E, C e ferro, è un antiossidante, uno stimolante della digestione, se usato all’esterno per lozioni e/o unguenti è ottimo come antireumatico e antidolorifico (agisce scaldando la parte e rilassando il muscolo), favorisce un corretto funzionamento di fegato e cistifellea, agisce come vaso-dilatatore favorendo la circolazione sanguigna (come sostenuto anche nella tradizione ayurvedica).

E’ sconsigliato a chi soffre di ulcera e cistite, a volte capita anche di sentirlo sconsigliare per i bambini al di sotto dei dodici anni di età, ma in realtà in questo caso la questione è molto soggettiva e culturale, in India i bambini lo assumono sin da piccolissimi e nella popolazione Rom è usato per favorire l’allattamento del bambino, quando il piccolo rifiuta ti tirare il latte dalla madre, questa metterà una piccolissima quantità di peperoncino sul seno per favorire la reazione del bambino che inizierà a ciucciare con regolarità.
L’uso in cucina è vario e caratterizzato geograficamente, In Asia, sub continente indiano incluso, si usa principalmente il peperoncino verde e fresco, (eccezion fatta per sud dell’india, Kerala e Sri Lanka, dove il peperoncino è consumato rosso e solitamente, essiccato unito al succo o alla polpa di cocco nella preparazione delle salse). In Europa è utilizzato spesso secco e comunque si tende ad utilizzare il peperoncino rosso e maturo, tipico della tradizione mediterranea. Personalmente, dopo averlo provato verde e fresco, mangiato in loco nei piatti della tradizione indiana, ho incominciato ad usarlo anch’io fresco e lo consiglio unito alla salsa di mango e/o al latte di cocco.





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